29 gennaio 2006

La vittoria di Hamas era ampiamente annunciata...

Chi semina vento…

La vittoria di Hamas nelle recenti elezioni in Palestina stupisce solo chi vuole farsi stupire: un rapporto del dicembre 2005, steso dai capi missione europei a Gerusalemme – e tenuto segreto agli stessi parlamentari europei – chiarisce che non ci si poteva attendere altro. Non lo afferma esplicitamente, ma lo lascia trasparire fra le righe:

“Le attività di Israele a Gerusalemme costituiscono una violazione sia di quanto previsto dagli obblighi previsti nella Road Map, (la demolizione delle case palestinesi e la costruzione illegale di colonie israeliane n.d.A.) che da quelli del diritto internazionale. Nella Comunità Internazionale, noi ed altri abbiamo esposto con chiarezza le nostre preoccupazioni in numerose occasioni, con diversi effetti.
I palestinesi, senza eccezione, sono profondamente allarmati per Gerusalemme Est. Temono che Israele “se la cavi”, con la copertura del disimpegno da Gaza. Le azioni di Israele rischiano inoltre di radicalizzare l'atteggiamento della popolazione palestinese di Gerusalemme Est, che fino ad ora è stata relativamente tranquilla.”

Tutti sapevano della “radicalizzazione” in atto, che in quella insanguinata terra significa semplicemente lo spostamento dalle posizioni possibiliste di Fatah a quelle meno concilianti di Hamas.
Tutta la vicenda nasce e muore in Israele, perché il vero potere è nelle mani dei dirigenti israeliani: perché tenere in carcere il principale esponente di Fatah, Marwan Barghouti, perché continuare con la strategia degli “omicidi mirati”, perché lasciare campo libero ai coloni per la costruzione di colonie in Cisgiordania?
La risposta è semplice quanto terribile: perché – nonostante la schiacciante potenza militare – Israele non riesce a “vincere” il conflitto contro i palestinesi, che non potrà mai essere vinto, eppure s’illude di farlo.
Mentre si chiede ad Hamas di riconoscere Israele, ci si dimentica che Israele non ha mai riconosciuto uno Stato Palestinese con confini precisi, ma solo una Autonomia Palestinese. Perché mai il riconoscimento non potrebbe essere reciproco? Al valico di Rafah – che segna il confine fra l’Egitto e la Striscia di Gaza (dalla quale gli israeliani se ne sono ufficialmente andati) – sventola tuttora la bandiera con la stella di Davide, ed Israele mantiene il controllo della frontiera.
Tutto ciò, come poteva essere interpretato dai palestinesi? Come l’ennesimo pasticcio israeliano, che a parole concede territori ai palestinesi – mentre nei fatti lo nega – continuando ad occupare la Cisgiordania.
Quando ci si basa sul diritto internazionale, autonomie, stati e colonie sono termini che hanno precisi significati: evidentemente, a Tel Aviv manca un buon dizionario del diritto. O forse non l’hanno mai acquistato perché non conveniva acquistarlo. Auguri, allora, per i prossimi “incontri” fra una dirigenza israeliana al collasso politico ed i “verdi” di Hamas, che negli ultimi sei mesi hanno organizzato una milizia popolare di 15.000 effettivi, ben armati ed addestrati (con l’aiuto dell’Iran). Forse, i dirigenti di Hamas hanno letto quel dizionario.

04 gennaio 2006

Fuori della notizia

La fulminea “guerra del gas” di Capodanno fra Russia ed Ucraina, terminata con una fulminea pace, impone una riflessione. Quanto vale una notizia? In altre parole, cosa ci può raccontare una notizia?
Se si tratta di qualcosa che conosciamo approfonditamente può darsi che ci dica qualcosa, ma siamo ogni giorno bombardati da migliaia di notizie: l’intero pianeta corre dietro alla notizia, alla news, allo scoop. E dopo?
Dopo, ci rimangono spesso le poche righe dell’ANSA o della Reuter – ovvero la notizia – ma quelle righe possono avere significati molto diversi, secondo il contesto dal quale sono nate, oppure dagli attributi (spesso nascosti) che non conosciamo.
Eppure sembriamo vivere solo di notizie: la fialetta d’antrace con la quale Powell cercò d’ottenere il voto del Consiglio di Sicurezza contro l’Iraq era una notizia. Falsa, ma un paio di notizie come quella che fanno rapidamente il giro del pianeta valgono quanto dieci libri o cento articoli d’approfondimento.
S’impone una riflessione approfondita non solo sulle fonti, ma anche sul valore delle notizie in sé stesse, che – private dei loro attributi naturali, ovvero del contesto dal quale nascono – valgono quanto la classica rondine che non fa mai, da sola, primavera.