25 agosto 2007

Vecchie baldracche e giullari di corte

L’uscita di Franco Zeffirelli nei confronti di Imgar Bergman e di Michelangelo Antonioni – proprio perché pronunciata in articulo mortis – non merita altro titolo. Il regista toscano ha definito i due colleghi “pesanti e noiosi”, con un tempismo ed un savoir faire degni di un beccamorto, mostrandosi per quel che è: un malcapitato e penoso impresario di pompe funebri in cerca di notorietà.
Anche sull’accostamento dei due registi, ci sarebbe molto da dire: Bergman sa di Ibsen e Ibsen sa di Kirkegaard. Tutti insieme, volano accompagnati dai gelidi violini di Sibelius. Michelangelo Antonioni è forse più legato a forme decadenti di marca tedesca (la collaborazione e l’amicizia con Wenders…), e probabilmente meno esistenziali in senso stretto: tematiche gelide e taglienti a volte, ma graffianti, come in Blow-up e Zabriskie Point. Insomma, pur essendo l’argomento complesso, da Firenze – semplificando tutto con una battuta – si finisce per osservare il mondo e non capirci un cazzo.
Recentemente, avevo scorso sullo schermo alcune scene della Bisbetica domata di Zeffirelli: ecco, da qui possiamo partire per non cadere in uno stupido alterco.
Osservando l’allegra cavalcata di un gruppo d’universitari rinascimentali, nella Padova carnascialesca, non ero riuscito a fare a meno di notare lo stridore di quella scena. Pur ammettendo la goliardia dell’epoca, mai si sarebbe espressa nei temi e nei modi nei quali la propone Zeffirelli: più che un’allegra comitiva in festa, quella scena richiama – scusate il termine – un convivio di culattoni in vacanza. Nella Padova rinascimentale, quella di Galileo e di Giordano Bruno?
Il limite di Zeffirelli è proprio questo: non riuscire a dipingere il mondo cercando l’astrazione dalle vicende umane dei singoli, il doverle forzatamente colorare con il suo essere omosessuale. Qui sono conscio d’inoltrarmi in un tabù, ma – proprio perché non avverto nell’animo pulsioni razziste e di discriminazione – lo faccio senza esitare.
Oggi, va per la maggiore credere che la creatività sia di marca omosessuale: due insiemi perfettamente coincidenti. Una cazzata che non sta né in cielo e né in terra. La moda è un’espressione artistica riservata ai soli omosessuali? Solo perché omosessuali?
Vogliamo ricordare il più geniale creatore di moda italiano, Gianni Versace?
Gianni Versace fu tale perché era un genio, e basta. I geni nascono già belle e pronti, al supermercato della cultura?
Versace studiò per anni la sartoria teatrale e cinematografica, che è una miniera per chi s’appressa a quel mondo, e ne abbiamo le prove (oggi, se ben ricordo, documentate da una sorta di museo o galleria dei suoi studi): studio, meticolosità, precisione, curiosità furono la sua forza, unite senz’altro ad una gioiosa attitudine verso le forme ed i colori. Gli altri? Saranno pure bravi, ma non sono Versace.
La musica? Elton John è un bravo autore, nulla da eccepire, ma consideriamolo alla stregua di decine di suoi colleghi. Non paragoniamolo, però, a Dylan o a De André: non regge proprio. E il teatro? Le compagnie dilettantistiche sono zeppe d’omosessuali: sembrerebbe il loro pane. Se, invece, scorriamo i nomi dei “grandi” del teatro e del cinema, fatichiamo a trovarne uno che lo sia. Giannini? Gassman? Fo? Albertazzi? Ranieri?
Chissà perché Zeffirelli non ha accomunato ai due registi appena scomparsi anche Pier Paolo Pasolini, che – in quanto a “mattonate” – mica scherzava: vogliamo ricordare la “leggiadria” di Teorema? Forse perché “cane non mangia cane”? No, perché Zeffirelli, con Pasolini, non condivide nemmeno un’unghia.
Quando Pasolini decise d’inoltrarsi nella vita di Cristo – ne Il Vangelo secondo Matteo – lo fece con la meticolosità ed il rigore dello storico, viaggiando in Israele per scoprire che, il mondo del Cristo, sarebbe stato costretto ad ambientarlo a Matera. Vogliamo mettere accanto i Racconti di Canterbury con le “incursioni” in Shakespeare di Zeffirelli?
Quella sera di novembre, quando morì Pasolini, ero tornato da una gita con degli amici. Prima di lasciarci, accendemmo il televisore e fummo colpiti come una mazzata dalla notizia. In silenzio, tutti provammo la dolorosa sensazione della perdita: uno dei nostri padri se n’era andato. Avrei provato identico dolore tanti anni dopo, quando ci lasciò De André.
Pasolini ci ha lasciato in eredità il suo mondo di poeta, spesso profetico, senza mai pretendere d’essere qualcosa di più o qualcosa di meno perché era omosessuale. Quel suo esserlo, era un anelito di libertà: sofferta, forse, ma tutte le libertà hanno un prezzo.
Quella di Zeffirelli, nei confronti di Bergman e di Antonioni, non si può nemmeno definire una caduta di stile, perché bisognerebbe prima ammettere che l’uomo sappia cosa significa possederlo. Stile ed onore sono il patrimonio di coloro che accettano le sfide dell’esistenza con la schiena ritta, non dei giullari dei potenti.
Ricordiamo allora, a chi non sa far altro che azzuffarsi con i cadaveri, l’epitaffio che James Joyce dedicò ad Oscar Wilde. Joyce difese a spada tratta Wilde dal ludibrio calatogli addosso da britannici codini e bacchettoni, rivendicò il suo diritto di mostrarsi omosessuale in un’epoca nella quale il loro destino era la gogna o il segreto. Non mancò, però, di tratteggiare lucidamente il significato di quel suo mostrarsi “sopra le righe”: “Il Wilde, entrando in quella tradizione letteraria di commediografi irlandesi che si stende dai giorni di Sheridan e Goldsmith fino a Bernard Shaw, diventò, al par di loro, giullare di corte per gli inglesi.”

10 agosto 2007

L’oro a voi e le grane a noi?

La vicenda dell’oro della Banca d’Italia – la sua ipotetica vendita – ha subito scatenato le reazioni della Banca Centrale Europea e della Commissione Europea: “a domanda risponde”. Solo che, la “risposta”, non ci sembra quella giusta.
Si fa presto ad affermare che solo le istituzioni europee sono legittimate a decidere sull’oro delle singole nazioni: bisogna sostenerlo con argomentazioni, non con dei diktat.
Curioso il fatto che, quando si parla di oro, i banchieri si scatenino subito – in piena estate – per affermare che il malloppo è di loro proprietà.
In realtà, quell’oro era – fino al 1944, fino a Bretton Wood – la contropartita aurea della Lira: non ci sembra che l’Euro di Maastricht sia garantito da depositi aurei, come nessuna delle principali monete del Pianeta. Era quindi oro italiano, del popolo italiano.
I banchieri ci solleticano ogni giorno che passa ad abbandonare le vecchie categorie dell’economia: entrate, prego – sembrano affermare – nel nuovo, dorato mondo dell’investimento. Dateci i vostri soldi senza temere, ne faremo buon uso: poi, quando si scatenano le “buriane” immobiliari o dei fondi, la carta straccia rimane a noi, mentre a loro rimangono proprio i simulacri della vecchia economia: immobili, proprietà fondiarie, miniere, giacimenti petroliferi ed oggi anche l’oro.
I presi per il sedere della Parmalat ancora si beano di qualche quintale di carta straccia, mentre lor signori affermano che l’oro della Banca d’Italia è anch’esso di loro proprietà.
La fregatura della carta straccia già la conosciamo: non ce la fai più a pagare il mutuo? Pazienza…ci dai la casa e non ci accontentiamo. Le chiamano “sofferenze”: sarebbe proprio curioso sapere chi soffre.
Sulla vicenda dell’oro, ci pare che i signori di Francoforte non c’azzecchino molto: una simile impostazione può valere per uno stato federale (USA, ad esempio) che hanno sì una banca centrale, ma hanno anche una sola economia.
L’Europa non è nemmeno una Confederazione di Stati, non ha una sola Costituzione, non ha un Parlamento sovrano, non c’è un vero Governo in carica, non ha identica politica di difesa. L’UE vale solo, allora, per gli aspetti monetari?
L’Europa è costituita, in primis, dagli europei. Se l’oro della Banca d’Italia è oro “europeo”, allora anche le leggi sul lavoro, sul welfare, sulla protezione sociale devono essere “europee”.
Tutta la vicenda richiama ancora una volta il problema di una Costituzione che non nasce: viene sì redatta dagli apparatcik di Bruxelles, ma le popolazioni non la bevono. Perché?
Diritti e doveri, sono le basi di una Costituzione: si dà e si riceve, in un mix equilibrato, non l’oro a noi e le grane a voi, altrimenti le popolazioni non ratificheranno mai la Costituzione. Ah, per l’Italia ci ha già pensato il governo di centro/destra/sinistra a farlo per noi: non si sono nemmeno scomodati a proporre un referendum per uno degli aspetti più importanti del nostro futuro. Grazie ancora.

03 agosto 2007

L’Italia su Marte!

La notizia non è confermata, ma numerosi indizi sembrano confermare l’indiscrezione.
Il Primo di Agosto, il ministro della Pubblica Istruzione – Fioroni – comunica, affranto, che la metà degli allievi italiani va avanti a debiti, trascinandosi da un anno all’altro le lacune. Un po’ come i loro padri, che si trascinano da decenni debiti e mutui.
Afferma che la “situazione è insostenibile”: troppo ignoranti e svogliati!
Noi, qui sulla Terra, già lo sospettammo nel 1994, quando furono aboliti gli esami di riparazione dall’allora ministro D’Onofrio. Gli esami di riparazione non furono aboliti per chissà quale esigenza didattica, bensì soltanto per concedere qualche settimana in più di “respiro” al turismo. Insomma, meglio un po’ di PIL oggi che altrettanta sapienza domani.
Ovvio che, eliminando gli esami, non si risolse il problema: una scuola pensata nel 1925, e frequentata dal 10% circa della popolazione, non può essere la stessa del 2007, frequentata da più del 90% dei ragazzi.
O siamo diventati tutti dei Pico della Mirandola, oppure gli obiettivi didattici non possono rimanere gli stessi: reinserire gli esami di riparazione? Può essere, ma andare indietro come i gamberi non è una soluzione: o si faranno degli esami “burletta”, oppure si bocceranno la metà degli allievi. Siccome la “seconda” è improponibile, sarà data per buona la prima.
Pensare una scuola diversa, più adatta alle nuove esigenze? Troppa fatica, e poi – su Marte – c’è poco ossigeno per il cervello.
I ministri economici – Padoa Schioppa e Visco – se la prendono invece con i 100 miliardi d’evasione fiscale: non si può andare avanti così!
Noi, qui sulla Terra, già lo sappiamo: basta portare l’auto dal meccanico per sentirsi dire: «Sono trecento euro in fattura; se, invece, me li dai “così” sono duecento”. Oppure dall’avvocato: «No, solo contanti, niente assegni o bonifici…» L’idraulico, poi, ti racconta «Una settimana di lavoro: se me li dai “così”, con mille e duecento euro te la cavi…d’altro canto, per una settimana, mi sembra un prezzo onesto…»
Peccato che un operaio, per guadagnare quei soldi, ci mette un mese.
Il Buon Samaritano Damiano, invece, viene da Cuneo. La città è da sempre famosa per i suoi dolci, fra i quali spiccano i “cuneesi al rum”, cioccolato e liquore. Damiano è invece un “cuneese alla camomilla”, con la sua aria beata da eterno sacrestano degli scout. Mette insieme una riforma del welfare che è una schifezza, e poi si lamenta se gli altri storcono il naso: provi a mettere un po’ di rum…pardon, un po’ di soldi…nella riforma (magari presi da quei 100 miliardi d’evasione?) e ci risparmi la camomilla, che se vogliamo ipnotizzarci come dei coglioni sappiamo come fare, anche senza la sua faccina sorridente, lo Smile del governo in carica.
Negli stessi giorni, un deputato dell’UDC – un certo Mele – si concede uno sfizio. Se ne va in un alberguccio del centro romano con champagne, coca e due belle figliole. Ma sì, dopo un anno di fatiche parlamentari, me lo sono meritato.
Una delle due ragazze, però, dopo bevute, sniffate e trombate si sente male: maledizione, che male c’era a divertirsi un po’…
Il giorno dopo, tutti nel confessionale…pardon…tutti a fare le analisi per dimostrare che non sniffano coca, proprio di fronte a Monte Citorio.
Frammenti di discorso «Oh, ma sei sicuro? No, perché se non sei proprio sicuro torna domani, che qui ci rovini la piazza…quanto? Due giorni, e il medico ha detto che non dovrebbero trovare più niente? Va, torna domani che è meglio…»
Insospettisce anche l’esternazione del leader della CGIL, il buon Epifanio, sulla penosa controriforma della controriforma Maroni e della controriforma Dini: «Dobbiamo chiudere adesso: a settembre non si può!»
Parole sibilline: che senso avranno?
Che tutte questa cosa capitino d’estate, insospettisce: vuoi vedere che…
L’unica spiegazione per tanta fretta è che a Decimomannu – poligono missilistico italiano – ci sia qualche segreto di Stato che non conosciamo. Fosse l’unico.
Probabilmente, il genio italiano ha già costruito lo Shuttle planetario, quello per gironzolare nel sistema solare come noi prendiamo la Panda per recarci al supermercato! Tutto quadra!
Ecco perché decidono tutto fra Luglio ed Agosto: vengono sulla Terra in ferie! Dopo, se ne vanno, portandosi appresso anche le bianche poltrone di Vespa!
Tutta la politica nostrana è allora un colossale “Capricorne one” alla rovescia: quelli, su Marte, ci stanno per davvero!
Tutto quadra, anche la carenza d’ossigeno, la quale non consente che brevi e modeste comunicazioni. Lunghe riflessioni e meditazioni, per cercare di risolvere veramente i problemi? No, purtroppo, quelle possiamo farle solo noi sulla Terra. Loro…