28 luglio 2008

Figli di un Dio minore

Sono le 10 e 15 della mattina quando saliamo ai binari, affardellati di valige, per sistemare mio figlio sul treno per Venezia. Sono le 10 e 15 di un giorno di Luglio sulle rive di un altro mare, quello di Savona. La stazione è strapiena e frotte di ragazzi e ragazze – tutti zaino e calzoncini corti – aspettano un treno che li farà partire o tornare dalle vacanze.
Un gruppo di giovani tedeschi scherza in cerchio, come sanno scherzare i ragazzi tedeschi: uno alla volta, gettano la battuta nel cerchio e gli altri ridono, sorridono o rispondono piccati. Sempre, però, con la mascella alta quando devono far scendere la frase nel gruppo, come a gettare un sasso in uno stagno. Quattro di essi potrebbero soddisfare i requisiti del vecchio Adolfo: uno, scuro, invece, probabilmente porta geni dall’Anatolia, turchi o curdi che siano. L’ultimo potrebbe essere italiano: anch’egli scuro, ma parla tedesco e non italiano.
Accanto a me, una coppia di serbi si saluta prima di partire: lui, con i baffi, i riccioli e qualche stempiatura, sembra uscito da un film di Kusturica mentre lei – bionda e grassoccia – potrebbe stare dietro al banco di una merceria a Novi Sad.

Una famiglia – probabilmente cingalese – sosta per terra fra i binari: colmi di fagotti, con un bambino che non perdono d’occhio un istante, mentre fa correre un giocattolo sul marciapiede della stazione. Anche due agenti della Polfer sostano, accaldati, ma non sembrano prestar loro attenzione.
La coppia, lui e lei francesi, sono ovviamente più chic, come anche in tenuta sportiva sanno essere: parlano piano, sorridono, si scambiano occhiate ammiccanti anche se – ad occhio e croce – hanno già superato la sessantina.
Sono le 10 e 30 quando il treno per Milano fischia e parte e quel vestito d’Arlecchino – con mille idiomi e mille modi di scherzare, d’amare, d’intristirsi un poco nei saluti – si dissolve.

Sono quasi le 11 quando la barista – nera come il carbone – porge a mia moglie la brioche, appena riscaldata, e lei si scotta il labbro. Mia moglie sorride, anche la barista sorride e mostra due file di denti bianchi come la neve, poi accenna delle scuse: «Se la scaldo, la marmellata diventa molto calda. Una signora, poco fa, mi ha chiesto come poteva fare: soffi, gli ho risposto!» Ride di nuovo. Anche una coppia di tedeschi che non ha capito bene, ma ha intuito, annuisce e sorride.
Sorbito il caffé, giro per il minuscolo bar cercando di raggiungere il giornale abbandonato su un tavolino, facendo attenzione a non travolgere la minuscola ragazzina cinese che sciorina una cantilena incomprensibile alla compagna di viaggio. Fuori del bar, scorre lentamente una corposa comitiva di scout accompagnata da due suore: le uniche col vestito “d’ordinanza”, saio marrone. Saranno pure vesti estive, ma che caldo devono avere!
Nell’attesa che la marmellata della brioche raggiunga una temperatura accettabile, scorro il giornale: le solite baggianate del Governo, un po’ di gossip…le intercettazioni…
In basso, in un riquadro, il titolo: “Il padre dei due bambini morti sul gommone, al largo di Pantelleria, racconta”.

Vorrei lasciar perdere – immagino cosa può raccontare un padre che s’è visto morire i figli in braccio – ma non ci riesco e vado alla pagina per leggere.
Racconta che sono morti di fame ma, soprattutto, di sete: disidratati. Al giornalista che chiedeva perché li avesse gettati in mare, l’uomo risponde che non li ha gettati, li ha “posati”.
Un padre non potrà mai gettare un figlio in mare, anche morto: lo poserà, dolcemente, come lo aveva senz’altro posato altre volte, dormiente, in una culla o in un pagliericcio. Non può “gettarli”.
Allora stramaledico il momento che ho aperto quel giornale, perché un universo di dolore si spalanca di fronte ai miei occhi: avranno sofferto? Certo che avranno sofferto: avranno chiesto mille volte “acqua” – chissà in quale lingua – e d’acqua c’era solo quel nemico deserto salato, infame, pronto a trasmutarsi in terra per liquide bare.

Mi chiedo perché solo quei due piccoli di due e quattro anni – Hamid e Fatma, li chiameremo così – non hanno avuto il diritto di far parte del vestito d’Arlecchino che scorre nella stazione. Solo loro.
La parte razionale si fa viva e genera immediatamente mille congetture, “fondate” ragioni, pessime risposte, “corrette” dichiarazioni. Poi, tutto torna a svanire di fronte ai visi cerei – che immagino – di Hamid e Fatma.
Chissà se adesso, con gli occhi dello spirito, veleggiano nel Canale di Sicilia ed osservano le migliaia di tonnellate di ferraglia che gli uomini hanno saputo posare su quel fondo marino, poco più di mezzo secolo fa.
Chiglie sfondate e torri allampanate, su fondali spettrali, per nascondere agli uomini la perfida insulsaggine del loro essere. Di chi fatica per costruire lamiere, le salda, le forma in navi e poi dà il via al colossale gioco al massacro della distruzione: come in un Risiko che gronda sangue, al primo lancio dei dadi la mente superiore si spegne, e l’animalità trionfa.
Oddio, non proprio tutti perdono quella che ritengono “mente”…o forse sì…perché anche i banchieri che intascano sempre denaro, quando una nave scende per la prima o per l’ultima volta in mare, rispondono forse ad istinti più elevati?
Invece, per Hamid e Fatma, qualcuno ha deciso pollice verso: e non si vengano a raccontare storie di “fatalità”, di “sorpresa”, di “impossibilità”, nel pianeta dove i satelliti contano anche quanti peli hai sul culo.

Tornano alla mente i versi di Fabrizio: «E lo Stato s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità…» ma, qui, andiamo oltre qualche provvedimento dettato solo da “audience” post elettorali.
La Chiesa si fa avanti ed afferma che bisogna essere sì “decisi”, ma ci vuole buon senso ed umanità nelle decisioni spinose. Leggasi: controllo dell’immigrazione.
Allora, mi tornano alla mente gli atti del Concilio di Trento – che terminò nel 1563 – quando il matrimonio fra cattolici fu ritenuto valido solo se in forma pubblica, ossia confermato da testimoni e da atti formali. Teniamo a mente quella data, la metà del XVI secolo.

Le disgrazie dell’Africa erano già iniziate da quasi un secolo, giacché nel 1492 – quando partì Colombo – nelle Canarie la popolazione indigena era già stata totalmente sterminata dagli spagnoli, tanto che lo stesso Colombo si fermò per riparare una nave e per godere per qualche ora – prima dell’ignoto – delle “grazie” di Beatriz de Bobadilla, sua antica “conoscenza” e vedova del governatore spagnolo, ucciso dagli indigeni negli ultimi aneliti di ribellione.
Gli spagnoli erano stati preceduti dai portoghesi, da Lanzarote de Freitas a Capo Verde fino a Cabral in Mozambico: anno più anno meno, è all’inizio del ‘500 che l’Europa prende coscienza della vera e propria “miniera” che ha a disposizione. E’ una duplice miniera.
Da un lato del Mare Oceano c’è un continente sterminato del quale non si sa nulla, ma si presume sia zeppo di ricchezze. Dall’altra c’è n’è un altro, poco conosciuto, che si sa però abitato da popolazioni primitive (in senso tecnologico e per i canoni dell’epoca).
Due più due fa sempre quattro e, se l’ipotenusa ha navi ed armi da fuoco, i due cateti saranno precipitati nel servaggio.

Così prende forma la ricchezza europea per almeno tre secoli – non dalla semplice “operosità” delle sue genti, come tanti credono – ma dalla feroce sopraffazione dei “contractors” dell’epoca: il cosiddetto “Triangolo degli Schiavi” fu la base del dominio e della ricchezza europea.
Detto in sintesi: le merci europee (armi, tessuti, ecc) erano vendute ai mercanti arabi di schiavi, i quali scaricavano mercanzie e caricavano “merce umana” per le Americhe. Giunte nelle Americhe, le navi scaricavano gli schiavi e caricavano prodotti grezzi (minerali, cotone, caffé, ecc, estratti o coltivati dagli schiavi) che erano riportati in Europa. Con quelle materie prime, si fabbricavano le merci da riportare ai mercanti in Africa, e l’infernale roulette ripartiva. Così per tre secoli: ghinea dopo ghinea, fiorino su fiorino.
Perché il Concilio di Trento?

Poiché – disgraziati loro – gli africani si convertivano…forse scambiando la croce per un simbolo animista…forse capendoci qualcosa, ma si genuflettevano ed ascoltavano la Messa. Tanto bastava per farne dei cristiani e, i “buoni” missionari del tempo, non potevano che gioirne.
Non erano così contenti i mercanti, i quali si trovavano di fronte al problema di dividere le famiglie – alla partenza od all’arrivo – secondo le esigenze di chi acquistava quella “forza lavoro”. E solo Dio può dividere.
Ecco allora i buoni giuristi cattolici creare la norma: il matrimonio è valido solo se contratto dopo regolari pubblicazioni. Vallo a dimostrare nella savana africana, vai a cercare le “pubblicazioni” sulle navi negriere.
I buoni mercanti di “forza lavoro” gratuita ringraziano, e conferiscono oboli ai santuari. Gli imprenditori ed i banchieri dell’epoca ringraziano per lo scampato pericolo, ed inviano denari al vescovo locale.
I califfi arabi, a loro volta, festeggiano la buona intuizione dei cani infedeli cristiani emettendo freschi "salatich" (permessi), per nuove razzie in altri territori. Tutto funzionò a meraviglia per tre secoli quando, al Congresso di Vienna, improvvisamente, la Gran Bretagna chiese delle limitazioni e la futura abolizione dello schiavismo. Strano: il lupo che diventa vegetariano.

Il “lupo” diventa vegetariano perché – con l’indipendenza delle ex colonie americane – i frutti del pasto erano goduti da altri, ossia dalle ex colonie stesse. Al punto da sostenere a spada tratta la causa sudista – che manteneva la vecchia impostazione del “Triangolo” – contro quella nordista (altrettanto razzista) che usava la clava dell’abolizionismo per sferrare un attacco agli ex imperiali. Ne avrebbero avuto ragione solo grazie ai sommergibili di Doenitz nel 1940, quando – in cambio d’alcune decine di vecchi cacciatorpediniere – gli USA “soffiarono” agli inglesi le basi che avevano nel mondo per “modici” 99 anni.

Curiosi e penosi, allo stesso tempo, gli “illuminati” francesi, che in Patria dissertavano su principi giuridici da fantascienza per l’epoca, mentre sostenevano sotto banco (e nemmeno troppo…) la tratta. In chiave anti-inglese, sia chiaro.
E si giunge al Novecento, dove alla Mecca ed a Medina – giocando sul fatto che le città erano off-limits per gli occidentali – la tratta continua ad essere attuata.
In pochi decenni, ci si mettono tutti: per l’Africa scoppia un’altra disgrazia biblica chiamata “colonialismo”.
Si va direttamente là, per gestire le miniere locali con la mano d’opera a costo pressoché nullo, per farli lavorare come schiavi nella loro terra, per consentire agli europei di riempire le zuccheriere.
Ci si mettono proprio tutti: francesi, olandesi, belgi, tedeschi, inglesi e italiani. Spagnoli e portoghesi hanno abdicato da tempo, e nuovi capi-branco hanno allungato le zanne. Sono i bisnonni di coloro i quali sottoscriveranno il Trattato di Lisbona: buon sangue non mente. Ieri lo zucchero e la gomma, oggi l’Uranio e il petrolio: l’Oro, sempre.

Gli italiani – visto che la cosa ci riguarda – pensarono bene, nel 1935-36, di bombardare – in Etiopia – anche i campi della Croce Rossa Internazionale: tutto documentato nel reportage “Fascist Legacy”, che circola quasi illegalmente in Italia, giacché la Grande TV di Stato non lo ha mai trasmesso, dopo averne acquistato i diritti per l’Italia dalla BBC. Identico trattamento per il film libico “The desert’s lion” – protagonista addirittura Anthony Quinn – che narra le nostre impiccagioni di massa in terra libica.
Mai doppiato e trasmesso: vogliamo, per una volta – dopo aver doppiato anche le schifezze più meschine della filmografia americana – fare un atto d’orgoglio? Doppiatori italiani, dove siete? Registi, produttori, restauratori: dove siete fuggiti?

La nostra percezione dell’Africa e della vicenda dei migranti è minata – sul piano storico – da una trave lunga un miglio marino, conficcata in un occhio divenuto cieco per la troppa salsedine.
Dovremmo inchinarci di fronte a questa gente che sbarca sulle nostre coste, piangere e chiedere scusa.
Siamo colpevoli? No, noi – europei del XXI secolo – non siamo colpevoli per la distruzione di un continente, nel senso che la “colpa” è considerata, generalmente, un sentimento individuale.
La “responsabilità”, invece, valica luoghi e secoli, poiché i frutti delle azioni non scompaiono, bensì generano nuove tragedie. E siamo sì responsabili: noi, proprio noi, perché non è del tutto nostra questa ricchezza. Per secoli, l’abbiamo accumulata spremendo il sangue altrui con un torchio chiamato schiavitù.
Non ci sono assoluzioni, per nessuno: nemmeno per la Chiesa. Provino con un nuovo concilio.

Oggi, mettiamo in dubbio le parole di quel padre poiché ci sembrano troppo dolenti, troppo incongrue con la melensa estate italiana delle abbuffate e delle discoteche. Vogliamo non credere a quelle persone? Benissimo: tre secoli di documentazione storica c’inchiodano alle nostre responsabilità.
La perversione mediatica, giunge ad identificare i migranti come “invasori” e noi – antichi colonialisti – come “portatori di civiltà”. Ieri in Africa, oggi in Asia.
Chissà, se le tonnellate di nequizie che abbiamo – incoscienti – sulle spalle pesano anch’esse, e non ci fanno più fare figli. Non vogliamo più mettere al mondo nuovi lupi? Chissà.
Di certo, con l’attuale trend demografico, fra qualche anno ci saranno soltanto più loro a scaldare pizzette, guidare trattori, accudire animali, potare alberi e raccogliere alimenti. La nostra fisicità, dimenticata, sarà la nostra trappola definitiva.
Finiremo come vecchie e sterili zitelle inglesi, ad osservare il cappellino nuovo della regina, mentre il tempo e gli anni scorrono – oramai – distanti dal nostro vivere.

Loro, fuggitivi da una disperazione che noi abbiamo creato e continuiamo a creare, continueranno ad arrivare e le nostre cannoniere saranno ammutolite, forse dal senso di colpa infuso nelle lamiere da secoli d’ignavia, forse dalla consapevole inutilità del nostro essere. Chissà, se le navi hanno anch’esse uno spirito, chissà se tramandano: dal legno marcescente delle navi negriere, dal tanfo di morte di quelle stive, al puzzo di gasolio nella sala macchine di una corvetta. Chissà.

Gente che non si commuove più, quando due piccoli muoiono a poche miglia dalle spiagge dell’opulenta estate italiana, che nelle città scavalca un morto a terra perché è “fastidioso” senza chiedersi ragione, che non si ferma quando investe un suo simile per non sborsare qualche euro in più d’assicurazione, non merita futuro.
Abbiamo mercificato tutto: quello che non abbiamo considerato, è che esiste anche la merce avariata. Noi.

18 luglio 2008

Fascismi paralleli

Gli ultimi atti del governo – il cosiddetto decreto sicurezza in particolare – contengono provvedimenti che sono stati bollati come razzisti dalle principali cancellerie europee: il prelievo delle impronte ai bambini ROM, ad esempio, è qualcosa che evoca pessimi ricordi, soprattutto nell’Europa che non dimentica cosa fu l’Italia.
Il tutto, come chi s’informa sa bene, senza nessuna urgenza per prendere un provvedimento del genere: non esiste, nelle cronache giudiziarie o nelle investigazioni, nessun elemento che porta a concludere che i ROM sequestrino bambini italiani. I quali, talvolta, spariscono (come in altre parti del mondo “civilizzato”): sarebbe meglio, forse, gettare l’occhio su altri traffici, quali le adozioni illegali o, peggio, il traffico clandestino d’organi destinati ai trapianti. I ROM, in questo caso, sono perfetti come capro espiatorio: se non ci fossero, bisognerebbe inventarli. E si “beccano” pure le leggi razziali.
E’ chiaro che, parlando di leggi razziali, la memoria corre subito a quelle emanate dal Fascismo anche se, ad onor del vero, esse non condussero – nella società italiana – a nessuna “caccia all’ebreo”. Negli stessi giorni nei quali Mussolini emanava le famose leggi del ’38, promuoveva al grado di generale un tal ufficiale Levi, segno che le leggi razziali furono più un “pegno” dovuto all’alleato germanico che frutto del regime. Diversa fu la situazione durante la guerra, quando a comandare furono i nazisti.

Nelle analisi che spesso appaiono sul ventennio fascista, l’accento cade sempre sulla guerra (civile, oppure di liberazione, secondo i punti di vista), sull’impreparazione bellica del regime, sul “gossip” dell’epoca, sulla debolezza della monarchia, sulla fine di Mussolini, ecc. Esistono ovviamente testi analitici, dove s’affronta la genesi e l’affermarsi del Fascismo, ma pochi li affrontano: al massimo, si cita la classica suddivisione fra primo e secondo fascismo, ossia la fase movimentista e quella di governo. E morta lì.
E’ interessante, invece, raccogliere testimonianze dirette – i cosiddetti “fatti” che il giornalismo italiano spesso finge di dimenticare – fin quando abbiamo a disposizione testimoni diretti. I quali, ovviamente, non possono avere valore d’universale, ma raccontano cose avvenute: situazioni, persone, luoghi, sui quali è difficile compiere operazioni di disinformazione. Vedremo, in seguito, che il lupo perde il pelo ma non il vizio, poiché le stesse metodologie sono usate ancora oggi, con più discrezione, intorno a noi.

Ho perciò deciso d’intervistare mia madre – classe 1927 – che ben ricorda ciò che avvenne in quegli anni in una delle “frontiere” più calde del regime: l’area del basso Po, a cavallo fra Emilia e Veneto.
I ricordi di mia madre hanno duplice valenza: da un lato ci sono le memorie personali, dall’altra quelle ricevute dai parenti che furono però comprovate – come vedremo in seguito – dall’esperienza personale.
Quando mia madre nacque, la famiglia possedeva casa e terreni nella cosiddetta “bassa”. Inutile citare luoghi: tanto, la “bassa” è sempre “bassa”, ovunque la si osservi. Avevano bestiame, terreni coltivati ad erba medica, grano, granturco, barbabietole da zucchero e vigna: il problema, era che la famiglia era socialista.
Le condizioni economiche della famiglia erano buone, tanto che i “vecchi” si recavano a “passar le acque” a Recoaro Terme, segno che quei campi rendevano abbastanza da consentire anche qualche modesto svago e qualche “investimento” in cultura. La “cultura” della grandi famiglie patriarcali era quasi esclusivamente musicale: ancora impregnati dalla musica di Verdi, dalla grande stagione risorgimentale, non lesinavano qualche lira per affidare i figli ad un maestro di musica.

I primi ricordi di mia madre, però, narrano un’infanzia segnata da ripetuti crolli economici, che coincisero con i suoi primi anni di vita.
La cagione di tutti i guai fu il rifiuto di rimuovere, dall’ingresso della grande casa patriarcale, le fotografie di Felice Cavallotti e di Giacomo Matteotti. Una bestemmia, per il Fascismo in ascesa.

Due parole – sempre tratte dai ricordi di mia madre – per definire chi fossero i fascisti dell’epoca.
Alcuni erano ricchi proprietari terrieri – talvolta aristocratici, di quella aristocrazia che il primo Fascismo intendeva abbattere – ma non rappresentavano la grande proprietà terriera: altri possidenti, non avevo affatto aderito al movimento di Mussolini.
Quelli che invece erano compresi quasi all’unisono nei Fasci Littori, erano una schiera raccogliticcia di reduci che non avevano ricevuto nulla dopo i sacrifici della Grande Guerra, oppure sottoproletari, perdigiorno, abituali frequentatori di bische e taverne. La gran parte della popolazione, che continuava a coltivare la terra od a gestire i commerci di sempre, non era attratta dalle idee “rivoluzionarie” di Mussolini: le interpretavano come un’intemperanza, una “scapigliatura” che non avrebbe avuto seguito. Se, un Re imbelle, non avesse ceduto altrimenti.

Il primo atto che si materializzò, per quella famiglia socialista che non aveva mai torto un capello a nessuno, fu la confisca del bestiame: un colpo gravissimo per l’economia dell’epoca. Difficile trovare paragoni: forse, sarebbe come togliere oggi, all’improvviso, l’intero parco automezzi ad un’azienda di trasporti.
Colpiti senza preavviso, il percorso divenne difficile: per alcuni anni cercarono di vendere la produzione agricola – ma la concomitante crisi economica non li favorì – e, in breve tempo, contrassero dei debiti che li portarono a dover vendere la proprietà.
Un parente, però, s’offrì d’acquistare per loro una modesta casa di otto camere con un po’ di terreno, per salvaguardare almeno la sopravvivenza. La vendetta dei fascisti, però, non si fece attendere.

Appena insediati nella nuova casa, quattro delle otto camere furono requisite per collocarvi la “Casa del Fascio” locale, ed i terreni prospicienti furono anch’essi immediatamente confiscati, per crearvi attività ricreative per la popolazione che accettava d’aderire al Fascismo: giochi da bocce, sale da ricreazione, ecc.
Così, il mio bisnonno – che amava giocare a Ramino – si trovò impossibilitato ad entrare nella struttura “ricreativa” che era stata creata rubandogli la terra, giacché non aderiva al Fascismo.
Quelli che non avevano aderito al Fascismo, decisero allora di ritrovarsi – semplicemente – in una casa privata per non rinunciare al poco divertimento dell’epoca: un mazzo di carte.
Saputa la cosa, i fascisti irruppero nella casa sfondando la porta e distruggendo mobili e suppellettili; il messaggio era: se non aderisci, nemmeno una “mano” di Ramino ti sarà concessa.

Dopo pochi anni trascorsi in quell’inferno, s’aprì quasi necessariamente la via dell’emigrazione: la diaspora fu europea ed americana, dal Sud al Nord, dell’Italia, dell’Europa e delle Americhe.
A fronte di pochi successi, le miserie e le privazioni furono incommensurabili: non racconterò nulla, perché sarebbe un inutile concedersi ai sentimentalismi personali. Quello che mi spaventa, è l’oggi.

Sull’opposto versante – quello delle concessioni – il Fascismo collocava nelle aree bonificate famiglie che, ovviamente, dovevano aderire al regime, pena l’emigrazione o l’emarginazione economica. Anche le avventure coloniali altro non furono che il tentativo di placare la spinta demografica interna: sempre, però, accompagnate dal necessario imprimatur del regime. In altre parole, una regia semplice come lo erano i mezzi di persuasione dell’epoca: aderisci, o perisci. In questo quadro, spesso sono state ricordate le bastonature e l’olio di ricino – pur avvilenti e dolorose – mentre nessuno pone mai all’attenzione del grande pubblico i mezzi che garantirono la sopravvivenza sociale del regime: un’attenta scelta operata per anni, nella quale era premiata l’adesione e scacciata l’opposizione.
“Scacciata” è forse il termine più esatto: il regime mostrò anche il viso duro – ricordiamo i fratelli Rosselli – ma si limitò al confino per tanti antifascisti. La necessità primaria del regime era quella di mostrare l’adesione di massa al Fascismo: episodi violenti avrebbero turbato il “sogno” mussoliniano, meglio allora “dimenticare” gli oppositori a Ventotene.

Nei confronti della Chiesa cattolica, poi, ci fu il “grande successo” dei Patti Lateranensi: anche in quel caso, era necessità primaria del regime garantirsi l’appoggio della Chiesa sul fronte sociale. Detto fatto: le concessioni fatte alla Chiesa con quel trattato – che durano tutt’oggi – hanno riconosciuto privilegi impensabili, ad uno Stato estero, sul territorio italiano. La Chiesa ricambiò generosamente, e non solo con la benedizione dei gagliardetti littori – memoria corta, monsignori? – bensì con il finanziamento dell’apparato bellico fascista tramite lo IOR, prontamente “sdoganato” dalle sole opere di carità, da Pio XII.

Altre nobili iniziative del regime furono la creazione dell’Ordine dei Giornalisti – memoria corta, direttori? – per controllare ancor meglio la stampa già controllata e il ferreo appoggio alla classe industriale dell’epoca – memoria corta, imprenditori? – che culminò con l’icona di Benito Mussolini e Giovanni Agnelli che inauguravano la Fiat Mirafiori.

Quel “ferreo appoggio”, però, non generò frutti, al punto che gli aviatori italiani andarono a morire contro gli Spitfire inglesi sui biplani FIAT CR-42[1], mentre i marinai italiani sparavano decine d’inutili salve sulle navi inglesi, poiché la cariche italiane erano così imprecise da non consentire la valutazione del tiro[2], e gli alpini gelavano nella steppa russa con le suole di cartone.
Vuota retorica? No, perché l’appoggio senza condizioni – ossia senza elaborazione politica – sulle “vie” da seguire in campo tecnologico ed industriale, condusse la nazione che aveva inventato la radio a non sapere cosa fossero il radar e l’ASDIC[3]. Fino al 1943, i cacciatorpediniere italiani non ebbero mezzi per individuare un sommergibile immerso!

Riassumendo, il regime mostrò cedimento e connivenza con la classe imprenditoriale e con la Chiesa cattolica, promozione sociale soltanto per chi aderiva senza condizioni e rimozione – perlopiù “morbida” – di qualsiasi opposizione.
E veniamo all’oggi.

Ciò che mi ha suscitato sorpresa – e la necessità di una “immersione” nel passato – è stata la lettura di un articolo del recente Decreto Ministeriale n. 112, appena “partorito” – si dice “in un quarto d’ora” – dal governo Berlusconi. Si tratta dell’art. 72[4]:

1. Per gli anni 2009, 2010 e 2011 il personale in servizio presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le Agenzie fiscali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli Enti pubblici non economici, le Università, le Istituzioni ed Enti di ricerca nonché gli enti…può chiedere di essere esonerato dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione della anzianità massima contributiva di 40 anni…La disposizione non si applica al personale della Scuola.

Quale magnanimità! Dopo le forche caudine di Maroni/Damiano sulle pensioni, ecco che il generoso Berlusconi concede cinque anni d’anticipo sull’età del collocamento a riposo! E’ per tutti? No, la Scuola non è prevista. Fatto singolare, giacché uno studio della Banca d’Italia indica proprio nell’anzianità dei docenti uno dei principali ostacoli a qualsiasi riforma della scuola italiana. Prontamente, la governante di casa Brunetta – una tal Mariastella Gelmini – s’è affrettata a dichiarare che “non si tratta d’età, bensì di motivazioni”: ci risparmi le riflessioni che compie mentre pulisce l’argenteria di un “professore bravo”, come Brunetta ama autodefinirsi. Curioso anche lo “studio” prontamente pubblicato dalla Banca d’Italia – ossia da Draghi – il quale sosta sulla riva del fiume, nell’attesa che passi il cadavere – politico, ovviamente – di Berlusconi.
Non sono previsti gli Enti Locali ed altre amministrazioni…viene da chiedersi: perché?

Il D.M. 112 è un vero atto di guerra nei confronti dei soli dipendenti pubblici: riduzione del 30% dello stipendio anche per pochi giorni di malattia, reperibilità per le visite fiscali dalle 8 alle 20; in pratica, gli arresti domiciliari – e quando ci si deverecare nelle strutture sanitarie per curarsi e, quindi, cercare di guarire? Mah… – e “risparmi” sulla sola Scuola per quasi 8 miliardi di euro, contro gli improbabili 4 della tanto sbandierata Robin Tax.

Aprendo una parentesi, vogliamo ricordare che la nuova “creaturina” di Tremonti è la riedizione della “tassa sul tubo” del suo precedente governo. Una barzelletta, giacché lo Stato è il principale socio di ENI ed ENEL: si tratta, in definitiva, di una pietosa partita di giro, nella quale i soldi cambiano solo collocazione nel bilancio. Il solito trucco di Trecarte…pardon…Tremonti…

Torniamo al “regalo” pensionistico di Berlusconi. Tutti quei dipendenti potranno fruirne? Sembra di no…

2. E' data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze funzionali, di accogliere la richiesta dando priorità al personale interessato da processi di riorganizzazione della rete centrale e periferica o di razionalizzazione o appartenente a qualifiche di personale per le quali e' prevista una riduzione di organico.

Ecco, si fa chiarezza: è “facoltà dell’amministrazione”. Nel senso: tu sì, lui no. Dipende dal processo di “riorganizzazione”.
Già c’insospettisce che siano rimarcati nel decreto i dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri: conoscendo Berlusconi, non ci sarebbe da stupirsi se tutto il can can fosse stato creato per sistemare qualche “velina”…no, sarebbe troppo “attempata” per i suoi gusti…forse, allora, qualche dipendente al quale si deve riconoscenza? Approfondiamo la questione.

3. Durante il periodo di esonero dal servizio al dipendente spetta un trattamento temporaneo pari al cinquanta per cento di quello complessivamente goduto…al momento del collocamento nella nuova posizione. Ove durante tale periodo il dipendente svolga in modo continuativo ed esclusivo attività di volontariato, opportunamente documentata e certificata, presso organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni di promozione sociale, organizzazioni non governative che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, ed altri soggetti da individuare con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, la misura del predetto trattamento economico temporaneo è elevata dal cinquanta al settanta per cento…
Allora: stai “a riposo” per cinque anni con metà stipendio[5]. Se, invece, svolgi attività di volontariato, la tua retribuzione sale al 70%. Un bel regalo – veramente sorprendente – per tutte quelle attività “sociali” della Chiesa cattolica, già ampiamente remunerate con trasferimenti della pubblica amministrazione. Uno dei tanti esempi, le colossali “torte” sui tossicodipendenti. Così, la Chiesa avrà a disposizione manodopera gratis la quale – è bene sottolinearlo – per quel 20% in più non sarà più volontaria – e quindi libera – ma legata a filo doppio alle “caritatevoli” istituzioni religiose.
Inoltre, i destinatari di tali provvedimenti non saranno tutti, bensì soltanto coloro per i quali l’amministrazione concederà il placet – fin troppo facile capire a chi sarà concesso – ed addirittura Brunetta & soci scoprono le loro carte quando affermano che ne godranno “altri soggetti da individuare con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze…
Con una simile legge – che lascia tutte le porte aperte alle sole circolari ministeriali od a decreti “attuativi” – il governo potrà gestire a piacimento le generosa elargizione.
Non ti basta quel misero 70% dello stipendio? Ebbene, lo Stato ti riconosce la possibilità d’arrangiarti:

5. Il trattamento economico temporaneo spettante durante il periodo di esonero dal servizio e' cumulabile con altri redditi derivanti da prestazioni lavorative rese dal dipendente come lavoratore autonomo o per collaborazioni e consulenze con soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche…

Così, oltre al 70% dello stipendio, potranno raggranellare denari da consulenze od altre prebende di varia natura, come confermato nello stesso decreto all’art. 46:

1…le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria…

Insomma, una legge “ad personas” per facilitare gli “amici degli amici”.

Scorrendo gli articoli del decreto, mi sono chiesto cosa pensassero gli eventuali “gonzi”, dipendenti pubblici, che avessero votato Berlusconi. Non è un caso che la scuola sia esclusa dal decreto: analizzando i flussi elettorali, sanno benissimo che il centro destra non gode nella scuola d’ampi consensi.
Conseguentemente, ne sono esclusi i dipendenti degli Enti Locali, in gran parte governati – oggi – dal centro sinistra.

Rimane il problema di compensare proprio quei “gonzi”, considerando che il novello PDL non ha un’organizzazione territoriale diffusa. Il poco sul quale possono contare è in gran parte di Alleanza Nazionale – partito destinato all’estinzione, con la nomina di Fini al posto che fu di Bertinotti – che finirà per scomparire mediaticamente e, quindi, anche politicamente. Tentando un parallelismo storico, il Berlusconi/Mussolini riserva al Fini/Balbo medesimo destino (politico), ossia la distruzione di qualsiasi Delfino.

C’è il problema di creare quadri sul territorio – dove la pallida opposizione conserva importanti posizioni – e catalizzare lo sviluppo dei Circoli della Libertà/Fasci Littori: e chi paga?
Ecco allora il buon Ministro dell’Economia – del quale alcuni hanno apprezzato le “innovazioni” – stendere “entro novanta giorni” l’elenco dei misteriosi “altri soggetti” che godranno dei pensionamenti anticipati. A questo punto, il quadro diventa chiaro: daremo 5 anni di “bonus pensione” ai nostri, e che gli altri si fottano. Alalà.

Per gli stinti epigoni della sinistra italiana, che ritengono il berlusconismo un animale privo di cervello e vaneggiano imprecisate “superiorità culturali”, sarà una sorpresa scoprire come Berlusconi non solo li abbia gabbati più volte (e continuerà a farlo!), bensì riesca con decreti all’apparenza “innovatori” a finanziare con le casse dello Stato la nascita di un ceto politico a lui fedele.
I penosi Veltroni, Fassino, D’Alema & Co, si consolano affermando – loro dichiarazioni – che il governo perde consensi. E chi se ne frega, risponde – in pieno stile fascista – Berlusconi: ho una maggioranza schiacciante, pieno potere sui media, appoggio dagli USA. Chi sono, queste fastidiose zecche, per importunarmi?
Le scelte economiche condurranno al disastro? E’ già pronta la solita filastrocca del Tremonti[6] “innovatore”:

«Non ci sono tesoretti ereditati, non c'è alcuna giacenza. I numeri che abbiamo trovato sono tutti negativi… riteniamo importante blindare la manovra finanziaria dello stato per i prossimi tre anni prima dell'estate per metterlo al riparo dalle tempeste…»

La solita solfa: siamo in braghe di tela…la congiuntura internazionale negativa…eccetera…
In realtà, i soldi per i grandi “interessi” del regime berlusconiano si troveranno, anche facendo debiti: TAV, Ponte sullo Stretto, centrali nucleari, (forse) Alitalia…
Ecco la medesima saldatura del Fascismo con la classe imprenditoriale: una connivenza acritica, che non considera le reali necessità del Paese, bensì i metri cubi di cemento che saranno affidati in appalto. Sempre, ovviamente, con il noto “teorema di Craxi”, ossia il 30% in tangenti. Del Turco docet.
L’Italia rimarrà definitivamente indietro nei settori tecnologici di punta? Non investendo nell’istruzione, in formazione e ricerca è assodato: lo riconosce anche la governante di casa Brunetta.

La Lega sarà accontentata con la solita caramellina, ossia una sorta di federalismo fiscale che assomiglierà tanto alle vecchie “gabbie salariali”, così da non penalizzare l’economia meridionale: la quale, continuerà tranquillamente – con gran pace di Lombardo e del suo Movimento – a campare nella più completa evasione fiscale. Con la mafia bisogna convivere: parola di Lunardi, gran cementiere.

Rimane un aspetto mai abbastanza sottolineato: Berlusconi non fa tutto quello che fa per difendersi dalla Magistratura – se se ne andasse, riceverebbe immediatamente completo salvacondotto – bensì per soddisfare un delirio d’onnipotenza che è più materia per strizzacervelli.
E’ sì appoggiato dagli imprenditori e dalla Chiesa, ma in un rapporto subalterno come lo fu Mussolini: difatti, il Badoglio della situazione è già in panchina, ossia Mario Draghi.

Rimangono da definire i contenuti, ovvero il “credo” del potere berlusconiano: i valori del berlusconismo sono un’acquiescenza totale ed acritica verso il liberismo e la globalizzazione. Ieri il Fascismo contro le “democrazie plutocratiche”, oggi il Berlusconismo contro la “democrazia partecipativa”: lui stesso, ha affermato che per governare “bastano una trentina di persone: gli altri, devono solo votare e procacciar voti”. Basta ed avanza il Gran Consiglio.
Ieri le avventure coloniali per procacciare il grano, oggi quelle neocoloniali per rapinare petrolio e minerali necessari al vagheggiato capitalismo senza limiti di sviluppo. Ciò che chiede Berlusconi ai suoi elettori, difatti, non è un percorso ragionato, bensì un atto di fede.

Tutti coloro che s’oppongono non verranno contrastati, bensì – come dal Fascismo – semplicemente emarginati: quanti giovani laureati italiani scelgono, già oggi, l’Europa ed il Mondo? Una nuova emigrazione – devastante per il Paese – perché ad emigrare sono, spesso, le migliori menti. Cosa riceverebbero in Patria? Un posto in un call centre, oppure una raccomandazione dopo ore d’anticamera presso un notabile che occupa quel posto per semplice e totale affidamento al potere. Quando non sia “una” notabile, che lo ha ottenuto per ben altri meriti.
Riassumendo, ecco un quadro generale della situazione:

Settore
Fascismo
Berlusconismo
Industria
Bassa tecnologia
Bassa tecnologia
Struttura politica
Partito Unico
Partito Unico
Opposizione
Aventino
Inesistente
Emigrazione
Bassa scolarità
Alta scolarità
Politica Estera
Avventure coloniali
Avventure neo-coloniali
Controllo dell’informazione
Ordine dei Giornalisti
Controllo delle TV
Istruzione generalizzata
Assente
Demolita
Credo politico
Autarchia
Liberismo sfrenato
Energia
Carbone del Sulcis
Nucleare
Rapporto con la Chiesa
Succube
Succube
Cultura
Avanspettacolo
Talk-show

Ciò che i poveri Veltroni e Fassino – menti all’ammasso della politica italiana – non comprendono è che il berlusconismo non è mai stato così vivo: non fu così nel 1994 e nemmeno nel 2001. Se qualcuno spera ancora in Antonio Di Pietro, sappia che sulla manovra economica del governo l’ex pubblico ministero ha dichiarato “disponibilità”: forse, Di Pietro è ferreo sulle questioni legate alla giustizia, ma sull’economia è uomo di destra, convinto assertore del capitalismo internazionale. Non c’è nessuna speranza, tanto meno dalla diaspora della ex sinistra.
Quello che lascerà Berlusconi, e la sua compagnia di nani e ballerine, come il Fascismo, saranno solo macerie, materiali e morali: prepariamoci.

[1] Ancora prodotti e consegnati nel 1943!
[2] Il tiro navale dell’epoca, si basava sulla semplice ricognizione ottica sui punti d’impatto dei proiettili in mare. Per regolare l’alzo dei cannoni, però, era necessario disporre di cariche di lancio (esplosivo) esattamente uguali l’una all’altra, cosa che l’industria italiana non riuscì mai ad attuare. Nessuna nave inglese fu mai affondata o gravemente danneggiata dal tiro delle corazzate italiane.
[3] Strumento per rilevare un corpo immerso, altrimenti detto SONAR.
[4] Ho volutamente omesso le parti del decreto che richiamavano a precedenti leggi e decreti, per agevolare la lettura. Le parti omesse non contraddicono né inficiano in alcun modo il testo proposto.
[5] Il generoso “regalo” è completato dal conteggio degli anni, ai fini previdenziali, come lavorati a stipendio pieno.
[6] Discorso di Tremonti alla Camera, del 17 Luglio 2008, per la presentazione del decreto fiscale.

10 luglio 2008

Dalla Luna alla Terra

Cari lettori, vi saluto dalla località di villeggiatura che ho scelto per le vacanze. Quest’anno, per festeggiare la nascita del mio 38° criceto, ho deciso di farla un po’ “grossa” e mi sono detto: ma sì, crepi l’avarizia, e sono andato sulla Luna.
Come? Mi sono rivolto ai discendenti del barone di Munchausen, che hanno organizzato tutto: comodo viaggio in dirigibile, orbita panoramica sul satellite prima della discesa, infine la confortevole sistemazione in camera singola con vista sulla Terra.

Da qui, ieri, ho osservato – grazie al potente telescopio della struttura turistica – la grandiosa manifestazione chiamata “NoCav”, con annesso audio ed effetti speciali.
Devo confessare che la cosa, vista con il sottofondo degli spazi siderali, più di tanto non mi ha stupito: ho ammirato l’eloquenza e la fine satira di Travaglio, il “grido di dolore” di Moni Ovadia, le esternazioni un po’ “osé” della Guzzanti e la constatazione – ovvia – di Grillo, che Pertini non avrebbe mai firmato quell’atto. Eh, lo credo bene che “U Sciandru” non l’avrebbe mai fatto: quando abitavo a Stella (SV, paese natale di Pertini), ricordo che Pertini non si recava nemmeno per un semplice saluto nella Federazione del PSI dell’epoca, a Savona. Perché?
Poiché sapeva che – a riceverlo – ci sarebbe stato un certo Alberto Teardo, tessera P2 in tasca, e “U Sciandru” non amava le società segrete. Soprattutto quella. “U Sciandru”, nonostante le spesse lenti, sapeva ben distinguere chi lavorava per la Repubblica e chi, invece, complottava per affossarla.
Se, invece, Napolitano accetta di firmare un decreto per salvare da un giusto processo un altro piduista incallito, sta dall’altra parte della barricata. Almeno, così si vedono le cose dalla Luna.

Il resto non l’ho visto perché era ora di cena e qui, sulla Luna, si è molto attenti all’etichetta. Mi hanno riferito che Di Pietro ha ricordato la P2 – pietra miliare se si vuol capire cosa sta succedendo nel nostro disgraziato Paese – e che nessuno è stato “tenero” con il “Cav”. Normale amministrazione.
Oggi, invece, dopo una lauta colazione, sono ritornato al telescopio e…insomma, non riuscivo a capire…tutto lo schermo era occupato da un colossale ditone. Sulle prime, non ho compreso, poi è giunto l’audio.
Era sempre Di Pietro, che indicava me…cioè, la Luna…ed affermava, confusamente, che:

«Guardare soltanto le sbavature e non vedere il lago di immoralità e di illegalità che all'interno delle istituzioni commettono coloro che devono governare, vuol dire ancora una volta guardare il dito perché si ha vergogna di guardare la luna di cui si fa parte[1]

A parte l’ingombrante ditone dipietrino, la dichiarazione mi sembrava un pochino confusa, soprattutto perché, la sera stessa della manifestazione, Di Pietro aveva detto:

«Italia dei Valori e io personalmente ci dissociamo del tutto, considerandole fuori luogo e fuori tema nello spirito e nel significato, dalle polemiche ingiustificate con il Papa. Quando il diavolo entra in azione, bisogna prendersela con il diavolo e non con il Papa. Confermo il doveroso rispetto di tutti noi per il Papa, per il presidente della Repubblica e per coloro che hanno un modo differente dal nostro di fare opposizione[2]».

Infine, Di Pietro sembra decidere (con un occhio attento ai sondaggi d’opinione):

“Noi gridiamo ad alta voce: non mi dissocio. Lo grido io in via personale e poi come responsabile dell'Italia dei Valori, dalla manifestazione di ieri, non mi dissocio dal senso vero delle parole di Grillo, da quelle di Travaglio. Non mi dissocio dalle parole delle persone di piazza Navona[3]".

Allora…mumble, mumble…con il Papa o contro il Papa? Con Napolitano o con Pertini? Di Pietro decida, e non per mera convenienza politica dell’ultima ora. Fare politica con l’occhio attento ai sondaggi elettorali, genera la pessima prassi denominata “politica reattiva”, ossia azzerare ogni forma d’elaborazione per seguire le semplici richieste degli elettori.
Agli antipodi di questo percorso stanno, da una parte, Winston Churchill – “sangue e lacrime, ma sconfiggeremo Hitler” – e dall’altra i Taliban: la gente esulta se impicchiamo qualcuno con i carri-attrezzi? E impicchiamoli…
La politica reattiva è la rinuncia a qualsiasi elaborazione politica autonoma: è il puro cedimento ai desideri della piazza. Qualsiasi piazza.

Può affermare, Di Pietro, che il Papa e le gerarchie vaticane siano candide come agnellini ed incolpevoli di tutte le nefandezze italiane? Vada a rileggersi le molte pagine che parlano dello IOR, di mons. Marcinkus, Roberto Calvi, Michele Sindona, il Banco Ambrosiano e, dulcis in fundo, Licio Gelli.
Se ancora non basta, chieda a qualcuno del suo staff d’erudirlo su chi fu Bernardino Nogara, che trattò – come presidente dello IOR – con tutti: dai nazisti ai Rothschild, dagli ustascia croati alla Chase Manhattan Bank. Gli italiani devono sapere cosa si è nascosto e si nasconde dietro ai paramenti delle finanze vaticane: che ne dice, Antonio? Facciamo ancora una volta una genuflessione? Oppure scegliamo una parte e non ci voltiamo più dall’altra?
Non dimentichiamo che il buon Antonio – oggi sulla cresta dell’onda, mentre cerca di cavalcare meriti non suoi – fino a qualche mese fa sedeva su una poltrona ministeriale, dalla quale – ovviamente, per puro caso – si guardò bene dal liquidare la società “Ponte sullo Stretto”, creata a suo tempo da Berlusconi, che tuttora ringrazia per il gentil regalo. Così, il Cavaliere – impalato metaforicamente a Piazza Navona – potrà tranquillamente regalare ai suoi amici (leggi: Lunardi) miliardi di euro per la costruzione di un inutile ponte, che saranno pagati da noi, dai nostri figli e nipoti. Grazie, Antonio.

Non vorrei che questa mia fosse considerata un attacco senza ragione a Di Pietro. Purtroppo, conosciamo da decenni la tecnica che prevede – a sinistra di una formazione riformista – quella più “radicale” Insomma, PDS e Rifondazione.
La tecnica è nota. Serve ad acchiappare gli scontenti del partito riformista affinché non “si perdano”, per ricondurli nell’alveo dove tutti i politici di questo Parlamento finiscono per essere conniventi. Non ci credete?
Proponiamo a Di Pietro di presentare tre leggi:

Ritorno della sovranità monetaria al popolo, ossia eliminazione del signoraggio delle banche private.
Conto Energia generalizzato per tutti, con criteri di “silenzio assenso” dopo aver presentato le certificazioni.
Obbligatorietà, per tutti i candidati al Parlamento, di dichiarare anticipatamente tutte le società ed associazioni – palesi o segrete – delle quali fanno parte, pena l’immediata perdita dell’incarico.

Proviamo a vedere se ci sta? Se ne presenta una sola?

Già che abbiamo scomodato il Cavaliere, riflettiamo sulla sua risposta al “NoCav day”: “Preferisco il clima del G8 ed occuparmi dei fatti”.
Ora, sul “clima” del G8 sarebbe stato meglio sorvolare, vista la brutta figura rimediata dopo le dichiarazioni statunitensi sull’Italia, contenute nel “kit” consegnato alla stampa con tanto di cartellina ufficiale dell'Amministrazione di Washington:

«…un uomo d'affari con massicce proprietà e grande influenza nei media internazionali…è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio.»

Mica male, dall’amico Bush per il quale stiamo rivoluzionando le regole d’ingaggio in Afghanistan e, sotto mentite spoglie (“consiglieri”, “addestratori”, ecc), il governo sta studiando come far tornare i nostri soldati in Iraq. Balle?

Qui, sulla Luna, abbiamo a disposizione l’ADSL a 7 Gbyte il secondo: provvede a tutto Telecom-Luna.
Grazie alla potenza della linea, sono andato a cercare i decreti legge approvati dal Governo nei famosi “15 minuti”. Intercettazioni telefoniche? Leggi ad personam? No: leggi “ad personas”, ovvero dirette a noi, che ci balocchiamo con le boutade del Cavaliere – che già conosciamo – con l’insipienza di Veltroni – per la quale non è nemmeno necessario sprecare una parola – e con le “intemperanze” dell’eroe del giorno, ovvero Antonio di Pietro.

Non è cambiato niente nelle nostre missioni all’estero?
Guarda a caso, abbiamo già due feriti in zona d’operazione: è andata bene perché – come recita il proverbio – “meglio due feriti che un morto”. Non possiamo, però, sperare che vada sempre bene se mandiamo i nostri soldati a dare la caccia ai Taliban sulle montagne afgane. I russi ne sanno qualcosa.
E chi paga? Carissimi: noi. Difatti:

1. L'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 1240, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e' incrementata di euro 90 milioni per l'anno 2008, per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace. A tal fine e' integrato l'apposito fondo nell'ambito dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze. (Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, art. 63[4])

Dove prendere i 90 milioni per inviare più carne da macello a disposizione di Bush?
Il decreto n. 112 è una vera e propria “miniera” di “soluzioni”. Ad esempio (uno fra i tanti…):

Art. 71. Assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni
1. Per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei primi dieci giorni di assenza e' corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio…I risparmi derivanti dall'applicazione del presente comma costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa.

Dopo aver sbandierato l’importanza della contrattazione integrativa, si rimangiano tutto e taglieggiano i malati “di qualunque durata” per far cassa! L’essere malati, per lor signori, significa essere subito accolti nelle strutture sanitarie riservate che hanno alla Camera ed al Senato. Se non basta, godono di convenzioni ridicole (non per noi che le paghiamo…) nelle più esclusive cliniche private.
Per noi – i paria del settore pubblico – non basta pagare ormai tutto, i ticket e quant’altro, non è sufficiente sperare di trovare qualcuno che ti curi sul serio, no: dobbiamo anche essere privati di parti di salario per partecipare al “miglioramento dei saldi di bilancio”!

A parte l’evidente incostituzionalità di questo articolo – perché solo i dipendenti pubblici? I quali, è bene ricordarlo, non hanno tassi d’assenteismo molto diversi dai dipendenti privati[5] – c’è qualcosa che indigna e sconcerta allo stesso tempo. Che dovrebbe allarmare tutti, pubblici e privati.
Vi siete accorti che è sparito il Ministero della Sanità/Salute?
Il Ministero è stato “accorpato” a quelli del Lavoro e del Welfare, sotto l’attenta regia di Sacconi. Ora: qualcuno può spiegarci cosa c’entra la gestione il lavoro con la salute?
Se consideriamo i bisogni primari delle popolazioni, nulla.
L’autentica bestemmia, contenuta in questa scelta, è quella di considerare la salute solo come un ostacolo alla produzione: non conta più se hai mal di denti o mal di pancia – non ce ne frega proprio niente dei tuoi malanni – l’importante è che tu produca lo stesso, a qualsiasi costo. E, per farti passare la voglia (sic!) d’essere malato, ti paghiamo di meno! Questa, signori miei, si chiama solo in un modo: trattamento da schiavo.

Non importa se gli studi epidemiologici[6] narrano di malattie endemiche e fastidiose che colpiscono gran parte degli italiani – che il 27,2% fa uso quotidiano di farmaci, che effettuano più di 15 milioni d’accertamenti diagnostici il mese, che quasi 300.000 persone facciano ogni mese un day hospital, che quasi il 25% soffra di malattie dell’apparato scheletrico, che una famiglia su dieci ha un disabile del quale si deve occupare, ecc – per lor signori la cosa non ha alcuna importanza. Sentiti i banchieri e Confindustria, hanno decretato – de facto – che la malattia non esiste e, qualora si faccia viva, come atto demoniaco va punita privando chi è malato di parte del salario.

Il “bestiario” del decreto n. 112 prosegue, e ne forniamo alcuni brevi stralci:

Art. 44. Semplificazione e riordino delle procedure di erogazione dei contributi all'editoria
a) semplificazione della documentazione necessaria per accedere al contributo e dei criteri di calcolo dello stesso, assicurando comunque la prova dell'effettiva distribuzione e messa in vendita della testata, nonché l'adeguata valorizzazione dell'occupazione professionale;
b) semplificazione delle fasi del procedimento di erogazione, che garantisca, anche attraverso il ricorso a procedure informatizzate, che il contributo sia effettivamente erogato entro e non oltre l'anno successivo a quello di riferimento.

Non bastava la vergognosa legge che mantiene con stipendi da nababbi i vari Feltri, Ferrara, Padellaro & soci: bisogna “semplificare”, perché i soldi arrivino loro subito! Una chicca, poi – considerando il “basso stato” del giornalismo italiano – quel “l'adeguata valorizzazione dell'occupazione professionale”, che suona come uno sberleffo.

Art. 46/6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità…

Ma…non era stata promesso un vigoroso “taglio” alle consulenze? Leggendo il decreto (anche nei successivi commi) sembra che non cambi nulla. Anzi.

Art. 36. Class action
1. Anche al fine di individuare e coordinare specifici strumenti di tutela risarcitoria collettiva, anche in forma specifica nei confronti delle pubbliche amministrazioni, all'articolo 2, comma 447 della legge 4 dicembre 2007, n. 244, le parole «decorsi centottanta giorni» sono sostituiti dalle seguenti: «decorso un anno».

Così, la legge sulla class action diventerà operativa nel 2009, quando ci sarà stata un’altra Finanziaria di mezzo per toglierla definitivamente di torno. I risparmiatori gabbati di Parmalat, genuflettendosi, ringraziano.

Art. 58. Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali
1. Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Province, Comuni e altri Enti locali, ciascun ente con delibera dell'organo di Governo individua, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il Piano delle Alienazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione.

E così, un’altra bella fetta del patrimonio pubblico passerà in mani private. Di chi? Ah, saperlo…io, però, qualche idea l’avrei…dei soliti “alienanti”?

Il decreto n. 112 ha però un pregio: ha spiegato alcune situazioni poco chiare, che adesso sono di diamantina lucentezza.
Uno dei vari “rebus” di questo governo riguarda le cosiddette “competenze”, per le quali gli stessi ministri si sono divertiti a duellare. Ad Umberto Bossi, che accusava la Gelmini di non aver insegnato un solo giorno, la Ministra dell’Istruzione ricordava le sue profonde competenze professionali come costituzionalista.

Ora, è evidente che non si può chiedere la competenza diretta dei politici nei loro dicasteri: altrimenti – se sono vere le intercettazioni citate da Sabina Guzzanti su Mara Carfagna – la Ministra delle Pari Opportunità dovrebbe immediatamente spostarsi al comando dei Vigili del Fuoco. Altrimenti detti…
Non vale neppure il paragone con Monica Lewinsky: ammettendo una parità di prestazioni, la povera Monica è stata dimenticata, mica è diventata ministra. Non c’è proprio giustizia.

Invece, Mariastella Gelmini, al suo primo incontro con i sindacati svoltosi il 12 di Giugno, aveva accolto molti dei suggerimenti – almeno di metodo – proposti dai sindacati per cercare di mettere fine all’insulso tourbillon della scuola italiana.
Qui, ogni volta che cambia ministro, ne inventano una nuova, sempre peggiore della precedente: ne sanno qualcosa i ragazzi che frequentano la gran puparata dei corsi estivi di Fioroni.

I sindacati erano rimasti sorpresi dalla disponibilità e dalla competenza della Gelmini, al punto che il segretario della CGIL/scuola era soddisfatto: «…apprezzando l'approccio, la sobrietà e l'ascolto di un corpo sociale da più parti malamente sollecitato…». Traduzione: ci possiamo capire.
Da parte sua, la Ministra aveva dichiarato d’essere disponibile ad affrontare «…i problemi dovuti agli stipendi troppo bassi dei docenti, alla sburocratizzazione del linguaggio ministeriale e all'alleggerimento del numero di provvedimenti amministrativi che soffocano l'autonomia scolastica… a chiedere il re-investimento nella scuola dei tagli operati sul sistema, a sbloccare il contratto quadriennale dei Dirigenti scolastici…»
Insomma, una bella fiera di buone intenzioni. Tutti soddisfatti.
Passano un paio di mesi, e il decreto n. 112 chiarisce chi tiene il bastone per il manico:

Art. 64
3- il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze…
4- il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze…

Cosa dovranno fare “di concerto” i due ministri? Lo raccontano i commi precedenti:

1. …a decorrere dall'anno scolastico 2009/2010, sono adottati interventi e misure volti ad incrementare, gradualmente, di un punto il rapporto alunni/docente, da realizzare comunque entro l'anno scolastico 2011/2012, per un accostamento di tale rapporto ai relativi standard europei.

2. Si procede, altresì, alla revisione dei criteri e dei parametri previsti per la definizione delle dotazioni organiche del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA), in modo da conseguire, nel triennio 2009-2011 una riduzione complessiva del 17 per cento della consistenza numerica della dotazione organica determinata per l'anno scolastico 2007/2008…

Gli “standard europei”, ovviamente, riguardano l’innalzamento degli alunni per classe, non gli stipendi.
I due commi, significano la perdita – in un triennio circa – di 100.000 docenti e 43.000 ATA: una scure pesantissima, mai vista di tali proporzioni. Il compito della povera Gelmini sarà – “di concerto” – quella di garantire i diktat di Tremonti (e Brunetta).
E i “risparmi”? Saranno re-investiti nella scuola?

6- …devono derivare per il bilancio dello Stato economie lorde di spesa, non inferiori a 456 milioni di euro per l'anno 2009, a 1.650 milioni di euro per l'anno 2010, a 2.538 milioni di euro per l'anno 2011 e a 3.188 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012.

In tutto, quasi 8 miliardi di euro. E cosa ne faranno?

9. …parte delle economie di spesa di cui al comma 6 e' destinata, nella misura del 30 per cento, ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola a decorrere dall'anno 2010…

E il restante 70%?

…saranno resi disponibili in gestione con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca…

Ecco da dove andranno: da Tremonti. Di concerto.
E la scuola? A cosa serve oramai? Per laureare ingegneri e mandarli a lavorare nei call centre? Il ricorso alla cassa integrazione è aumentato del 22% negli ultimi quattro mesi, e si teme per 300.000 posti di lavoro nell’industria.
Giustamente, se l’industria italiana decide di estinguersi, a cosa serve investire – come fanno in Europa – sull’istruzione? Meglio risparmiare, così avremo quattro soldi per le “tessere” alimentari dei pensionati. In un’ottica di guerra, non farebbe una grinza.
Ma, non c’erano roboanti promesse di risparmi?

Raggiante, Silvio Berlusconi – il 15 Aprile 2008 – dichiarava al Sole 24 Ore:

«Dobbiamo modificare la nostra architettura istituzionale: più poteri al premier, una sola camera legislativa, dimezzamento dei parlamentari e anche dei consiglieri regionali e comunali, eliminazione delle province».

Detto fatto: il 17 giugno del 2008 è in dirittura d’arrivo il provvedimento che sancisce la fine delle province di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli. Tutte province governate dal centro sinistra, ovviamente. La provincia di Palermo – chissà perché – manca.
Poi, intervengono “nuovi fattori” ed il governo medita di “rinviare” a dopo la Finanziaria (alle calende greche, nell’attesa che la gente si dimentichi delle promesse elettorali): così, il 18 Giugno, in un silenzio pressoché totale, l’abolizione delle Province e delle Comunità Montane passa nel dimenticatoio.

Insomma, se non fosse vero, il decreto n. 112 sembrerebbe un’accozzaglia d’appunti gettati lì senza ragione, senza senso, senza nessun obiettivo. Una specie di “lista” della spesa incongrua, che squalifica chi l’ha scritta. Non parliamo, però, sempre male dei nostri governi: qualcosa di buono fanno.

Molto interessante, invece, il Decreto “Provvedimenti Energia” del 30 Maggio 2008 dove, finalmente, si liberalizza la produzione d’energia elettrica con gli aerogeneratori. Liberi tutti. Potrete far quello che vorrete e produrre tutta l’energia che desiderate. Rivolgersi all’ENEL.

Art. 11
3) …gli interventi di incremento dell’efficienza energetica che prevedano l’installazione di singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro…non sono soggetti alla disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23…

No, non avete letto male. Si parla proprio – in un decreto ufficiale dell’attuale governo in carica! – di “liberalizzare” gli aerogeneratori alti un metro e mezzo e larghi un metro! Ma, ci hanno preso per il paese dei nanetti? Oppure la “statura” – in tutti i sensi – del premier c’entra qualcosa? Similis similia…mah…
Con alcune modifiche tecniche, a questo punto, ciascuno di noi che possiede un ventilatore di buon diametro (attenti a non superare il metro!) potrebbe diventare produttore in più modi:

1) Tenendo il ventilatore nel soffio del vento con il braccio, dalla finestra. Unico inconveniente: durante l’Inverno, si rischia la polmonite.


2) Sul balcone. Attenti, però, a regolare la piantana ad un’altezza di mezzo metro: sommata al metro del ventilatore, rientra ancora nei termini di legge. Con quel coso che gira vorticosamente all’altezza delle vostre palle, non potrete più uscire sul balcone? Tanto, vi rendeva qualcosa quel balcone?


3) Trovando accordi – su base condominiale – per sistemare a turno i ventilatori sul colmo del tetto, incollandoli con l’Attak. Bisogna però mettere in conto lunghe riunioni condominiali e turni di sorveglianza sul colmo del tetto. Con l’Attak in mano.

Dopo questa – che sembrerebbe una storia pazzesca raccontata dalla Luna, ed invece è il vero testo di un Decreto Ministeriale! – devo ritirarmi per iniziare ad organizzare il ritorno sulla Terra. Devo tornare nel Paese dei mulini da un metro e mezzo, dei nanetti politici e dell’energia.
C’è un dirigibile della società Munchausen in partenza per Saturno…mo’ ci penso…


[1] La Repubblica, 8 Luglio 2008.
[2] Corriere della Sera, 8 Luglio 2008.
[3] Repubblica, 9 Luglio 2008.
[4] Fonte: Altalex.com.
[5] 11,5 giorni/anno nel settore pubblico contro 9,6 dei metalmeccanici privati. Fonte: CGIA di Mestre su elaborazione dei dati forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato.
[6] Fonte: ISTAT, Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari, 2005.