25 novembre 2008

Finalmente una buona notizia

Devo confessare che ho provato una stretta al cuore, fissando lo sguardo di quel ragazzo – Vito Scafidi – morto tragicamente nel crollo del soffitto in un liceo di Rivoli. Sarà perché di qualche morte tragica – dopo tanti anni d’insegnamento – sono stato, ahimè, spettatore attonito e ricordo la triste liturgia di quei casi.
Motorino od auto, talvolta una bieca malattia, strappano ai genitori ed a noi insegnanti qualche giovane vita, un paio d’occhi ammiccanti, talvolta sbarazzini, sempre curiosi sguardi d’adolescente.
Il copione è sempre lo stesso: la bara sistemata al centro di una struttura (talvolta a casa o in ospedale) ed una classe tremante che – appoggiata al muro per lunghe ore – piange, consola, ricorda.
La prima badilata sul viso che la vita ti dà è, in certe circostanze, questa: la perdita, repentina, dell’illusione dell’immortalità. A 17 anni non si muore, non si dovrebbe. Eppure avviene.
Poi, mesi per recuperare il salvabile, cercare – nessuno di noi ha magiche ricette in tasca – di metabolizzare l’accaduto, perché la classe è un organismo vero e proprio, complesso, sempre diverso, che quando perde una mano od un piede urla di dolore.
Se, poi, la morte avviene per mano degli adulti – o, perlomeno, così viene percepita – allora…apriti Cielo! Sale la rabbia contro qualcosa o qualcuno – che è tipico dell’adolescenza, sempre ribelle – e quel qualcosa o qualcuno si trasfigura nella perversa Crudelia Demon, nel malvagio Capitan Uncino, nel sanguinario principe Vlad di turno.

Per noi adulti la questione si pone in altro modo. Se scorriamo le statistiche sulla sicurezza nelle nostre scuole, c’è da rabbrividire[1]: la metà di esse – i luoghi dove inviamo, fiduciosi, i nostri figli – sono luoghi insicuri.
Le testimonianze raccolte dal quotidiano “Repubblica”[2] fioccano a centinaia, da tutte le parti d’Italia, da destra a sinistra, e cadono tutte sulla testa di questa classe dirigente che, per bocca del Presidente del Consiglio, afferma trattarsi di “fatalità”. Sarà come per gli incidenti sul lavoro? Per le tragedie familiari? Per la povertà endemica? Cosa siamo, un popolo destinato antropologicamente alle tragedie?

Scusate: dimenticavo la buona notizia. Finalmente.
Non so se la mia scuola sia provvista proprio di tutte quelle certificazioni (mi pare di sì), ma ne conosco la storia e le vicende degli ultimi tre decenni. C’è qualcosa da imparare.
Anzitutto, la fondazione: 1621, ad opera dei Padri Scolopi. Mura squadrate, spesse, costruite col vecchio criterio di mantenere la base più larga della sommità: come nella mia abitazione (sec. XV), i muri non sono dei parallelepipedi, bensì dei tronchi di piramide.
Non sono un tecnico, ma queste mura hanno resistito ai secoli: perché?

Poiché quando costruire costava tanta, ma veramente tanta fatica – dal raccogliere le pietre nei torrenti per chilometri, fino all’erezione manuale di tutte le impalcature, all’impasto a forza di braccia di tutto quel che serviva – si conservava memoria del sudore e si facevano le cose per bene.
Ho assistito anche alla grande ristrutturazione che avvenne quasi trent’anni or sono, poiché la Preside – donna di classe ed orgogliosa della sua femminilità – riteneva, semplicemente, che quelle faccende fossero “cose da uomini”. Punto e basta.
Non ci furono fumosi “progetti”, “assegnazioni”, “responsabili” – se ben ricordo non ci furono nemmeno dei soldi di mezzo – perché s’andava ancora con il vecchio buon senso. Chiamò in presidenza un paio di docenti e l’assistente tecnico (tutti rigorosamente maschi, ovvio) e chiese loro con gentilezza e signorilità d’occuparsi al posto suo della questione, perché lei – lo ammetteva senza remore – non ci capiva nulla.

Fu una bella esperienza.
C’accorgemmo che il pavimento di un laboratorio “tremolava” un pochino e lo segnalammo al Geometra del Comune: detto fatto, fu organizzata durante le vacanze estive una prova di carico – la quale consiste nel caricare sul pavimento molti sacchi di cemento e poi fare delle misurazioni – dalle quali i tecnici stabilirono che si trattava di normale elasticità della soletta in robusto castagno, ancora perfettamente integro.
Ci fu poi la necessità di ricavare nuove aule dalle vecchie celle dei frati, abbattendo muri divisori che non erano semplici tramezzi, bensì strutture portanti. Il Geometra voleva realizzare aule più grandi abbattendo due tramezzi, ma l’Ingegnere della Provincia s’oppose poiché riteneva che la cosa avrebbe indebolito la struttura.
Ci furono parecchie discussioni – compresi noi, che tecnici non eravamo – per spiegare, capire, decidere. Alla fine, tutti fummo d’accordo che era meglio avere aule più piccole ma sicure. Vallo a dire alla Gelmini – miss “so tutto io” – che adesso ti mette 30 allievi per classe e non sai dove piazzarli.
Per il tetto, l’impresa che aveva vinto l’appalto ci disse a chiare lettere che spendere 40 milioni per il tetto era come buttarli al vento: «Dando solo una “ripassata”, tante tegole si cambiano e tante se ne rompono camminando: meglio aspettare, metterci più soldi e rifare il tetto da capo».
Seguimmo il suo consiglio e, pochi anni dopo – grazie ad un nuovo stanziamento – fu possibile rifare completamente il tetto. Il quale, gode tuttora d’ottima salute.

Poi venne la nuova stagione dei “Dirigenti Scolastici” i quali – poveretti loro – sono stati nominati pomposamente “Dirigenti” e di tutto devono sapere e capire. Dal Diritto alle ristrutturazioni.
Modesta e recente revisione dei pluviali e delle discese d’acqua dal tetto: tre discese partono dal tetto, diventano due al livello di un terrazzo intermedio e terminano in una sola a terra. Tutte, ovviamente, d’identico diametro. Risultato: allagamento. Ci vuole tanto a capire il problema?
Di chi la colpa?

Di nessuno e di tutti, perché oggi vige la “dittatura degli esperti”, le famose imprese chiamate a ristrutturare con i soldi pubblici le quali – guarda a caso – sono sempre le stesse.
Altro “esperto” fu l’idraulico che piazzò – questa volta a casa mia – una vaschetta zincata per un impianto di riscaldamento fatto con tubi di rame. Provai a balbettare qualcosa sulla pila di Volta. Mi fu risposto che “ne aveva messe tante”. Due anni dopo, vaschetta bucata ed allagamento invernale: quella volta fui io ad imporre una vaschetta di rame, la quale sta benissimo dopo tanti anni.
Insomma, tirando le conclusioni, la bella notizia è che io – a scuola – mi sento sicuro perché la struttura fu costruita in tempi “non sospetti” quando, a parlare di “obsolescenza programmata”, t’avrebbero bruciato sul rogo. Ma, con tutta questa fatica, dobbiamo farla male per poi rifarla?!?
E devo riconoscere che, le persone chiamate a ristrutturarla trent’anni fa, lavorarono bene perché avevano a cuore quel che facevano (uno, era addirittura un ex allievo): ciò non significa che lavorassero per pochi soldi, ma a fronte dei soldi richiesti fornivano una prestazione brillante.
Perché?

Poiché non ci sarà mai nessuna “tabella”, nessun “metodo” meritocratico in grado di competere con la semplice buona volontà, con l’etica professionale di chi desidera fare una cosa al meglio.
Cosa serve, allora?
Per prima cosa ascoltare quel che raccontano gli istituti di statistica da anni: il dato più pericoloso, per il futuro d’Italia, è rappresentato dallo “scollamento” sociale, dalla mancanza d’unità negli intenti, nel “tutti contro tutti” alimentato dall’assenza di vera cultura e dai media asserviti.
Siamo “pappetta" sociale e questo, in una nazione che ha avuto un percorso d’unificazione assai tormentato, concede troppe frecce al rischio di un’involuzione di tipo balcanico.
Se non riusciremo a ricostruire i legami amicali, comunitari, se non saremo in grado di ripartire cancellando di brutto gli ultimi decenni, buttando con gioia nel cesso tutta la paccottiglia che ci hanno propinato sulla “competitività”, sul “merito” (che decidono loro) e tutto il resto finiremo di certo a carte quarantotto.

In seconda battuta spendere, ma saper spendere con competenza ed onestà: a cosa serve costruire faraonici ponti ed altre facezie del genere, quando sono le scuole a crollare? Chi va a raccontare ai genitori di Vito Scafidi che si taglia sulla scuola per costruire un ponte che non servirà a niente – il futuro dei trasporti è l’acqua, non la terra, ancor più per la Sicilia – ci andrà quel tizio che ha il coraggio di chiamarla “fatalità”?

Da ultimo, dobbiamo ficcarci in testa che – se non riusciremo a cacciare questa pletora di politici inefficaci ed inefficienti – loro cacceranno noi. Lo stanno già facendo: Vito, se fosse diventato un bravo scienziato od un valente ingegnere, sarebbe dovuto emigrare come tanti suoi simili già stanno facendo.
Un Paese che non sa garantire la sicurezza nelle scuole, che costruisce anche quelle con il criterio dell’obsolescenza programmata – per domani foraggiare nuove tangenti – può attendersi solo nuove disgrazie ed un fosco futuro.
E non tiriamo in ballo il Fato – per favore – perché per gli antichi era cosa assai seria, mica le barzellette da Bagaglino che ci ammansiscono dai teleschermi. Spegniamoli, per favore, spegniamoli, sempre di più.

[1] Fonte: http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/maltempo/allarme-bertolaso/allarme-bertolaso.html
[2] Fonte: http://redazione-repubblica.blogautore.repubblica.it/2008/11/23/le-scuole-sono-sicure-racconta-la-tua-esperienza/
E' nata ContrAgorà - http://contragora.blogspot.com/ - un blog collettivo formato, oltre che dal sottoscritto, da Carlo Gambescia, Barbara Albertoni (Cloro), Marco Cedolin, Antonio Saccoccio, Miguel Martinez, Nicola Vacca, Stefano Moracchi, Guido Aragona, Truman Burbank e Valter Binaghi.
L'idea è nata dall'Appello alla Rete che lanciammo per la crisi economica, ed ora proseguirà come luogo dove posteremo i nostri pezzi, a volte solo su Contragorà, altre in parallelo sui nostri blog.
E' importante, a mio avviso, essersi trovati - pur avendo storie personali diverse - per impiantare questo piccolo, nuovo luogo d'aggregazione e discussione sul Web.
Lunga vita a ContrAgorà!

09 novembre 2008

A bocce ferme

Ogni istante che trascorro in questa stanza, divento più debole. Charlie sta là, acquattato nella jungla, ed ogni istante che passa diventa più forte.”
Dal film “Apocalypse now” – di Francis Ford Coppola, (1979).

Di questi tempi, pare che lo sport nazionale non sia più il calcio bensì l’ “Obama Wordl Cup”, ossia la previsione sul “come sarà” l’America di Obama. Io, quello che avevo da dire su Obama, lo esternai in tempi non sospetti, quando scrissi “Uomo della Provvidenza o Cavallo di Troia?”, il 7 gennaio 2008. Potrete trovarlo facilmente sul mio blog o sul Web. E, questo, è tutto quello che ho da dire sul personaggio Obama.

A dire il vero, mi sembra che questo sport stia diventando una para-Olimpiade per non vedenti, dove schiere di solerti giornalisti continuano a fissare, ostinatamente, il dito. Guardiamo un po’ il cielo, per favore.
Per non tediare i lettori con le solite solfe ritrite dello Stivale e dallo Stivale, ho preferito chiedere lumi ad un collega statunitense – noto cronista delle vicende di quel Paese – il quale mi ha inviato una corrispondenza molto originale, perché testimonia che gli umori del Belpaese non sono poi così sconosciuti negli Iuessé.
Non perdo altro tempo e vi copio/incollo la sua mail. Solo, vi prego di scusare il linguaggio un po’ “confidenziale” e ricco d’espressioni colorite:

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Caro Carlo,
mi stupisce, come tu stesso racconti, che da voi qualcuno ancora spilluzzichi sul particolare che Obama è nero. Da noi, salvo qualche decerebrato nazistoide, nessuno ci pensa un solo istante, nemmeno qui in Alabama ove – tu ben sai – su queste faccende scherzano poco. Abbiamo altro cui pensare.
Gli alchimisti di Wall Street ci hanno giocato proprio un brutto scherzo, ed io – mentre raso il prato di casa – osservo gli occhi dei miei vicini, apparentemente intenti a far scorrazzare i loro tosaerba: mi sembrano assai preoccupati per il futuro e tutti la pensano allo stesso modo. Per dirla con una vostra espressione – che ben ricordo d’aver udito più volte in Italia, ma che per decenza non posso riportare – sono veramente “ca… da ca…”.

Cosa vuoi che gliene freghi se Obama è nero: fosse anche stato verde e fosse giunto da Marte, dopo Bush tutto andava bene. L’importante, è che riesca a tirarci fuori dalle peste.
L’altro, Mc Cain, non convinceva: potevamo scambiare un cow boy del Texas con uno dell’Arizona? No…non avrebbe funzionato: voi avete provato a cambiare presidenti democristiani, banchieri e comunisti – tutti rigorosamente ottuagenari – e vedete come siete messi. Quando le cose vanno male, caro Carlo, bisogna avere il coraggio di cambiare e sperare nella Dea Bendata. Fintanto che non cambi niente, potrai star certo che le cose andranno sempre nello stesso modo: di merda.

Ho letto quel che scrivono di Obama i vostri politici e – scusami, sai – ma sembrano non capire proprio un cazzo. A parte quello stupidotto che va a fare le battute cretine al Cremlino – come se Obama fosse solo abbronzato, no: è nero come il carbone, originario del Kenya – anche gli altri non scherzano. Nessuno, qui, crede che sia la reincarnazione di Kennedy, e nemmeno un Clinton al quale hanno dato una mano di vernice: Obama ha convinto soprattutto con la promessa di “5 milioni di posti di lavoro nei nuovi settori energetici”, questa è stata musica per le orecchie degli americani, mica gli strampalati sogni di un ex sindaco di Roma che vorrebbe esser nato a Rome, quella che abbiamo qui, in Georgia.
Provate voi, ad avere il coraggio d’eleggere, alla presidenza della Repubblica italiana, un tale Beshim Hashtalachi jr, figlio di Beshim Hashtalachi sr, nato in Romania o in Albania, soltanto perché è bravo. Provateci.

Vedi, Carlo, qui la gente ha fatto un ragionamento molto semplice: se con il petrolio – seguendo la politica di Bush – siamo finiti a carte quarantotto, vorrà dire che il petrolio non è più un buon affare, meglio cambiare, a new way.
So che a te, proprio a te che lo hai sempre scritto in tanti articoli e libri, queste cose non le dovrei certo ricordare, ma è un fatto che, se punti sul petrolio, ti tocca giocare la partita con una serie di soci che mai desidereresti avere accanto, nemmeno a Las Vegas, figuriamoci nel piatto di Risiko del Pianeta.

Anzitutto, ti tocca metterti in affari con la famiglia regnante saudita che – t’assicuro – è meno affidabile di un serpente di Key West. Un giorno te le fanno buone, il giorno dopo fanno zacat e sadaqua alla Fratellanza Musulmana, che mai saprai a chi darà quei soldi, il giorno dopo ancora – per non correre il rischio di rafforzare troppo l’Iran – manderanno direttamente armi ai loro cugini iracheni. Poi c’è l’Iran – e se vuoi il petrolio iraniano devi chiudere entrambi gli occhi sui loro desideri espansivi verso l’Iraq – ma, se “tralasci” troppo la questione nucleare, sono gli israeliani ad incazzarsi, e allora vai nei guai con le loro banche…
In passato, abbiamo fatto ottimi affari con Saddam Hussein poi, sempre per colpa del petrolio – grazie al fatto che Bush il Vecchio aveva concessioni petrolifere in Kuwait, proprio sul confine iracheno – siamo andati ad infilarci per la prima volta nel casino iracheno. E la Unocal? Per quelle storie d’oleodotti che s’incrociavano in Afghanistan, siamo stati costretti a ricevere alla Casa Bianca dei pecorai del cazzo…quei Taliban…gli stessi che adesso ci sparano addosso…
Eh, ma allora le Russia non era nessuno…in braghe di tela…e siamo stati proprio noi, con questa cavolo di politica del petrolio, a rifornirla di tutto punto. Adesso sono fuori dai casini, hanno pagato i debiti e – voi europei lo sapete bene – siete costretti a dire di sì a tutto, altrimenti vi chiudono il rubinetto del metano.
A noi, i cinesi potrebbero chiudere il rubinetto del credito: non lo faranno, ma più di tanto non possiamo più fidarci.
Il mondo è cambiato, caro Carlo: un peones del cazzo come Chavez si permette di sputarci in testa, i vietnamiti, i nipoti di Charlie, scorrazzano in cielo sui Su-27, gli iraniani costruiscono caccia, gli indiani missili…

Obama è un tipo semplice, di quelli che non si riempiono la testa di piscio e vento; s’è svegliato un mattino ed ha detto alla gente:

“Ehi, ragazzi: vi ricordate chi siamo? Siamo i grandi Iuessé, il Paese che tutto può, se vuole. Abbiamo le migliori università del mondo, i migliori centri di ricerca del pianeta, nessuno è in grado di fare impresa – presto e bene – come noi. Se desideriamo farlo.
Perché cavolo dobbiamo continuare ad impestarci con le guerre, con ‘sta merda di petrolio e con tutte le guerre del cazzo che si trascina appresso, se abbiamo la possibilità di primeggiare senza dover mandare i nostri figli a morire in quelle merdose strade irachene del cazzo?
Invece di mettere loro un fucile in mano, armiamoli di cacciavite e di computer e mandiamoli a costruire la migliore tecnologia del mondo: facciamo in modo che, se gli altri producono un kwh elettrico per 10 centesimi, con la nostra tecnologia ne costi 5. Verranno a frotte – dovranno venire a frotte a comprare da noi – perché non avranno scelta: o venirci a leccare il deretano, oppure andare fuori mercato.
Le premesse ci sono tutte: i cinesi vogliono continuare a produrre bamboline e computer? Bene! Noi compreremo milioni, miliardi di bamboline e computer e, con un solo impianto energetico che venderemo loro, avremo bamboline e computer per un anno.
Gli europei? Gli europei non hanno scampo: cosa volete che possano fare con la loro “Unione”, quando persero anni a discutere il colore della copertina per il futuro passaporto europeo? Quella è gente che ciancia e basta, che si riempie la bocca di vento: come sempre, s’inchineranno ai nostri desideri.
La Russia gongola perché sa d’avere gas per mezzo secolo ma, se con quel gas produrrà energia a prezzi maggiori rispetto alle nostre tecnologie, potranno farci i clisteri con il loro gas. Degli arabi e di tutta l’altra gente del cazzo non c’importa niente: che s’arrangino, oppure che crepino.
Dite che è una storia difficile da realizzare? No, era difficile solo perché quell’idiota di Bush dovevano sorvegliarlo a vista, altrimenti si soffocava da solo con le noccioline. E quell’altro fetente…quello che mi ha chiamato “abbronzato”…che rovescia i leggii mentre blatera che «Bush sarà ricordato come il più grande presidente degli USA»?
Quello dev’essere il suo degno compare: uno che caccia un premio Nobel per la Fisica – che gli aveva appena creato una tecnologia d’avanguardia sul solare – per costruire centrali nucleari! Non facciamolo, però, sapere in Italia: prima d’avere nuovi sistemi da esportare, pensiamo a far fuori tutto il rottame nucleare che abbiamo in casa. Fesso com’è, è capace di pagarcelo a peso d’oro.
Io avevo già preso contatti con Stanford: affermano che in soli tre stati abbiamo sufficiente energia eolica per alimentare l’intera nazione! E poi: le innovazioni sul fotovoltaico…non passa giorno senza che qualcuno inventi qualcosa…presto arriveremo a superare il 30% di rendimento delle celle, forse più…
E il mare? Quel fessacchiotto di Mc Cain e la sua compare…quella ballerina dell’Alaska…pensavano di trivellarlo per il petrolio…che idioti…
Semplicemente, in Florida, stanno progettando enormi generatori sospesi a grandi boe, da immergere al largo, nella Corrente del Golfo. Praticamente eterni, produrranno energia per 365 giorni l’anno, costantemente.
Cari americani: l’energia non manca, quel che ancora non hanno sondato per bene (per nostra fortuna!) è il modo più economico per ricavarla. Anche Bush, però, ci ha dato una mano: con i soldi che hanno speso in disinformazione le compagnie petrolifere, negli ultimi decenni, solo i tedeschi (sempre loro…) non ci sono cascati.
I maledetti Deutsch hanno tuttora 400.000 persone che lavorano nelle nuove tecnologie energetiche, e sono 80 milioni. Ebbene? Con lo stesso rapporto, noi dovremmo mettere a lavorare sul sole e sul vento un milione e mezzo di persone. Invece, nei prossimi 10 anni, saranno cinque milioni a lavorarci: tre volte tanto! Giovani americani che combatteranno ancora una volta contro la Germania ed il Giappone, ma con cacciavite e computer: basta con le armi, è roba desueta!
I tedeschi sono un pericolo, ma sono in Europa: basterà lavorare ai fianchi i tanti utili idioti europei – che si dicono ancora di destra e di sinistra! – per avere carta bianca. Ancora una volta, la Germania dovrà capitolare: bisogna sapersi scegliere gli alleati!”

Questo è stato il discorso che ha convinto gli americani, gli amici che tagliano il prato nella mia stessa via, e che ha convinto anche me.
Mi ha convinto perché non vedo proprio la ragione di continuare su una strada perdente: cosa sarebbe stata l’America di Mc Cain? La fotocopia sbiadita di quella di Bush: pericolosa per sé e per gli altri.
Questo non significa che Obama sarà quell’angioletto che credono alcuni ingenui della politica italiana: saprà farsi valere, sapendo che oggi è debole – troppi debiti, troppe industrie migrate all’estero – ma che è alla testa di una delle nazioni che più hanno possibilità di riscatto.
Qui, nessuno vuole rinunciare al sogno americano: se gli USA, domani, dovessero svegliarsi senza il loro sogno, finirebbero come gli italiani, a grattare nelle tabaccherie dei talloncini per sperare di diventare milionari. Questa è la differenza fra una nazione che ha un sogno collettivo, ed un’altra che non l’ha mai avuto o, se l’ha avuto, da troppo tempo l’ha scordato.
Ogni continente ha i suoi sogni – pensa ai latino-americani ed ai loro libertador – ed è giusto averli: l’importante, per chi crede nella pace, è che il tuo sogno non sia quello d’abbattere i sogni altrui. Difficile? Impossibile?
Non lo so, però so che questo pianeta sta diventando terribilmente piccino, e non potremmo più permetterci un tale sabba di distruzione come l’ultima Guerra Mondiale. Consumeremmo quel poco di risorse che ancora restano.
Certo, da domani la CIA non smetterà d’infiltrare agenti, l’FSB di comprare “gole profonde” il Mossad di fare altre nefandezze…questo è di là dei nostri desideri…però, la vicenda sembra oggi incamminata verso una competizione economica. Perché? Poiché è quella che più favorisce noi, che possiamo scegliere fra la pace e la guerra, non perché siamo improvvisamente diventati più buoni. Queste illusioni, lasciamole ai sognatori.
Per noi, il fatto che domani ci sia la speranza di una bomba in meno di oggi, è già qualcosa.

Fatti sentire, il tuo sempre amico e cronista

Nathan Bedford Forrest Gump

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Che dire…non posso che sottoscrivere…certo, sentire aria di cambiamento, mi ha fatto tornare alla mente i più brutti incubi degli americani, spossati da anni nei quali la peggior fobia assumeva un nome gentile, Charlie, quasi che i vietcong della jungla fossero personaggi di Disney.
Quelle scritte sui muri iracheni – “questo è il vostro nuovo Vietnam” – devono averli spaventati, anche se oggi la media dei soldati USA uccisi in Iraq è scesa a “solo” 2 il giorno.
La scorsa volta, per uscire dalla sconfitta vietnamita, finirono in un altro incubo: quello di Reagan, continuato da Bush il Vecchio, praticato in silenzio da Clinton e sparato poi nel Pianeta da Bush il Giovane. Com’è finita la vertigine unipolare di New American Century, è lì da vedere.
Oggi, gli USA non hanno più margini per perdere un’altra guerra, fosse anche una semplice competizione economica: la strada è obbligata, ed Obama è l’unico ufficiale che può farli uscire dalla jungla.

Si fa presto a dire che praticherà un politica neo-rooseveltiana, perché la situazione finanziaria e di bilancio non consente il deficit spending dell’epoca: nessun Keynes all’orizzonte.
In quegli anni, però, gli USA seppero diventare leader nella radiotecnica, poi nell’elettronica: oggi, la sfida è sull’energia ed Obama ha dichiarato di volerla mettere al centro del suo programma. Mica scemo.
Mentre qualcuno continua a blaterare su questioni come l’Iran o lo scudo stellare, non si rende conto che il mondo ha voltato pagina. Qualche rimpianto? No, proprio rimpianti no, ma un’altra occasione persa per l’Europa, incapace di sottrarsi all’egemonia statunitense anche quando ne riceverebbe solo vantaggi.

03 novembre 2008

Fuori del tempo

Vivere fuori del proprio tempo è un lusso che spesso ci concediamo: nella fiction dei sogni, della cinematografia, talvolta della letteratura. Chi non ricorda i vari “Ritorni al futuro”, oppure il meraviglioso “Non ci resta che piangere”, nel quale Benigni e Troisi cercavano di costruire il primo sciacquone della storia?
Abbiamo definito quel volo pindarico – che talvolta spicchiamo nella nostra mente, e che difficilmente saremmo disposti a riconoscere – un “lusso”, giacché è veramente un grosso regalo, per la mente affollata del quotidiano, trovare un’oasi di sosta che corrisponde ad un sogno ad occhi aperti. Che non lascerà nulla, salvo una sensazione dolce di sogno, di riposo: chissà cosa provò Dante nell’immersione fuori del tempo e dello spazio della Divina Commedia, o Verne nel descrivere macchine del futuro che appena intuiva.

Il sogno ad occhi aperti – il gestalt[1], catalizzato da un’impressione esterna convogliata dai sensi, oppure da un semplice pensiero vagante – è dunque un formidabile strumento per calmierare angosce e timori, per riportare la mente in uno stato di maggior quiete ed affrontare, magari, la quotidianità con più ragionevolezza.

L’uso del gestalt, di uno strumento così raffinato, è molto studiato nella comunicazione, laddove chi riesce a comprenderne le potenzialità, ed a gestirle oculatamente (od occultamente), ha a disposizione un mezzo infinitamente potente.
Nei suoi aspetti minimali, la pubblicità sfrutta il corpo femminile per scatenare brevi associazioni del piacere sessuale con l’oggetto da proporre: notiamo che, con il trascorrere del tempo, appaiono sempre di più anche corpi maschili, a testimoniare che il messaggio è rivolto, oramai, ad entrambi i sessi.
Siamo ancora, però, ad un livello bassissimo rispetto a quello che può scatenare il gestalt a livello sociale: salendo di un gradino, ricordiamo quale colossale “sogno collettivo” fu la partenza della nave Vlore dall’Albania, stracarica d’albanesi che s’avviavano (nel loro gestalt) verso la terra promessa d’Italia. Non a caso, rimane l’icona più suggestiva del film “Lamerica” di Gianni Amelio.

Lo scatenarsi dei gestalt collettivi dipende da alcuni fattori.
Il primo, è che esistano delle condizioni per proporlo: se l’Albania fosse stata il paese del Bengodi, nessun “sogno italiano” avrebbe attecchito.
Il secondo è la disponibilità dei canali di comunicazione: se gli albanesi non avessero seguito la TV italiana, nessuno si sarebbe mosso.
Il terzo è la capacità di gestire attentamente il messaggio: se gli albanesi non avessero visto, in TV, gli italiani vincere cifre stratosferiche per delle risposte a mediocri quiz, non si sarebbero mossi di un centimetro.

Quei quiz – che continuano ad imperversare nei palinsesti televisivi – non erano però diretti a loro, o solo parzialmente, perché erano principalmente per noi italiani.
Di conseguenza, anche noi italiani siamo sottoposti all’attenta gestione dei media, non tanto per informarci/disinformarci, quanto per inviarci migliaia, milioni di messaggi – all’apparenza “comuni” – i quali sono altrettanti pensieri, stimoli di riflessione: bandoli di matassa per scatenare gestalt. Quei gestalt: non altri.
Per prima cosa, mettiamoci nei panni di quegli albanesi che non trovavano più via d’uscita al crollo del loro sedicente sistema comunista: ci sono similitudini?

Noi non percepiamo “crolli” politici imminenti, e nemmeno catastrofi economiche estreme – del tipo: domani non avrò nulla da mangiare – eppure siamo la nazione che fa meno figli al mondo. Se non ci fossero quelli generati dagli immigrati, il saldo demografico – secondo tutti gli istituti di statistica – sarebbe negativo. Strano modo di comportarsi, per una popolazione che non sembrerebbe avere, nell’immediato, il problema della sopravvivenza.
Ci vengono in aiuto, allora, le recenti dichiarazioni dell’OCSE (Fonte: ASCA, 22/10/2008) sulle disparità di ricchezza nel pianeta.

Un divario sempre più ampio, dove i ricchi hanno rafforzato i propri redditi allontanandosi sempre più dalle condizioni estremamente difficili sofferte dai poveri. In questo scenario, tra i 30 stati membri dell'OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, l'Italia e' tra quelli che mostrano più disparità economiche e sociali.

Questo divario iniziò (sempre secondo l’OCSE) intorno al 1985: furono gli anni nei quali s’affermarono le riforme iper-liberiste di Reagan e della Thatcher, e nei quali – in Italia – mosse i primi passi Silvio Berlusconi. Acquistò il Milan Calcio per acquisire visibilità mediatica, mentre finanziava il PSI (la vicenda è fosca, ed affonda le radici nei presunti finanziamenti illeciti Fininvest al Congresso del PSI di Bari del 1991. Uno dei protagonisti di quelle vicende – ovviamente ex condannato per Mani Pulite – è Aldo Brancher, attuale Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio).
A margine, notiamo quanti ex PSI ci sono o sono passati per Forza Italia: Cicchitto, Sacconi, Brunetta, De Michelis, Stefania Craxi, ecc.
Negli stessi anni, Craxi proponeva l’abolizione della “scala mobile”, primo assalto alle retribuzioni ed ai diritti dei lavoratori, con il quale s’ottenne un importante risultato: qualsiasi “tempesta” economica avesse condotto ad alti tassi d’inflazione, sarebbe stata pagata dai lavoratori dipendenti. Completarono poi il quadro, nel 1993, gli accordi-capestro con i sindacati che introdussero il concetto di “inflazione programmata” al posto di quella reale. Gli effetti, sono tutt’ora “all’attenzione” di coloro che devono campare con meno di mille euro il mese.

La disuguaglianza è maggiore di quella riscontrata in Italia solo in cinque paesi come in Messico, Turchia, Portogallo, Usa e Polonia.

“L’Italia non è sola” s’affrettarono a dichiarare i ministri, per la querelle con l’UE sulle direttive ambientali (20-20-20): anche nelle disuguaglianze sociali non siamo soli. A parte il Paese più indebitato del Pianeta, che ha fatto oramai della sua finanza uno strumento di truffa planetaria, siamo sempre con la Polonia e con pochi altri Paesi, palesemente di “prima grandezza”. La nostra vocazione a giocare sempre in serie C è notoria: quando c’è, però, da tagliare qualche diritto, guarda a caso i Paesi da prendere come esempio sono sempre la Germania e la Francia. Chissà perché.

Per quanto riguarda l'Italia l'OCSE ritiene che il gap di reddito è molto evidente: estremamente ridotti i salari di livello basso mentre gli standard socio-economici dei ricchi sono elevatissimi.

Non avevamo certo bisogno che l’OCSE venisse a raccontarcelo, perché l’abbiamo capito da soli: basta girare un po’ per hard discount e, all’opposto, sapere che le vendite delle “barche da sogno” non sono mai in crisi[2].

Le stime, basate sul coefficiente chiamato “Gini” (che rileva la differenza del reddito con un numero compreso tra 0 e 1, eguaglianza perfetta nel primo caso e completa disuguaglianza nel secondo), mette ai primi posti Paesi come la Danimarca, la Svezia e il Lussemburgo con un bassissimo livello di disuguaglianza (fino allo 0,25). In questo schema l'Italia, al sest'ultimo posto, ha un coefficiente intorno allo 0,35 a fronte dello 0,38 circa degli Usa e dello 0,48 del Messico, al primo posto per la disequità sociale tra i paesi membri.

Insomma, solo i poveri peones messicani se la cavano parecchio peggio, mentre noi possiamo confortarci di stare accanto agli USA, dove il 30% della popolazione è tagliata fuori da qualsiasi welfare. E, domani, chissà quanti saranno.

L'unica strada sostenibile per ridurre le disuguaglianze all'interno di un Paese rimane – conclude l'OCSE – l'opportunità di lavoro e di un'occupazione sicura.

Quindi, stando all’OCSE, tutta la paccottiglia dei contratti a termine, di quelli a progetto e la panoplia di sfolgoranti novità nel mondo del lavoro – spacciate per il sancta sanctorum del III Millennio – sono orpelli da gettare nel cesso. Meno male, adesso – dopo aver saputo che quando una banca è in difficoltà la si statalizza – sappiamo che un altro cardine del liberismo è definitivamente crollato. Dunque, il primo passo dovrebbe essere l’abrogazione della Legge 30/Biagi ed il ritorno ai consueti contratti senza limiti di tempo. Lo dice l’OCSE, mica noi.

Il reddito medio del 10% degli Italiani più poveri è circa 5.000 dollari (tenuto conto della parità del potere di acquisto) quindi sotto la media OCSE di 7.000 dollari. Il reddito medio del 10% più ricco è circa 55.000 dollari, sopra la media OCSE. I ricchi hanno beneficiato di più della crescita economica rispetto ai poveri ed alla classe media.

E veniamo ai denari, a quanto ci lasciano. 5.000 dollari (pressappoco 4.000 euro l’anno) non sono solo “sotto” la media OCSE – come afferma la stessa organizzazione – sono “ben” sotto. Perché? Poiché, se quel 10% a 4.000 euro rappresenta grosso modo i pensionati al minimo, salire alla media, ossia 5.600 euro circa (7.000 $) rappresenterebbero 150 euro il mese in più. Le nonnine pensionate al minimo, saprebbero cosa farne di quei 150 euro il mese in più: oh, come saprebbero usarli!
Si noti che l’OCSE non comunica, nel suo bollettino, qual è la media per i redditi alti. Comprendiamo: la decenza pone dei limiti, anche se quei 55.000 dollari (pressappoco 44.000 euro) ci sembrano ancora un po’ pochini. Si tratta, ovviamente, di redditi dichiarati: il che, in Italia, è tutto dire.

Infine, il 10% più ricco detiene circa il 42% del valore netto totale. In confronto (nei paesi con bassa sperequazione N. d A.), il 10% più ricco possiede circa il 28% del totale del reddito disponibile.

Sapevamo che il 10% della popolazione italiana possedeva quasi la metà della ricchezza nazionale, e veniamo a sapere che nei paesi più ricchi, con minore debito pubblico e maggior welfare, il 10% più ricco si “accontenta” del 28% della ricchezza nazionale. Un dato ben strano, visto che il nostro Paese si trova, da molti anni, a combattere con emergenze chiamate disoccupazione o sotto-occupazione, scarso welfare ed alti prelievi soprattutto per le imposte (acqua, luce, gas, benzina, ecc) che colpiscono più indistintamente rispetto alle fredde cifre dell’OCSE.

Se ci fermiamo a questo quadro globale, la situazione italiana dovrebbe essere pre-rivoluzionaria: la gente dovrebbe scendere in piazza e sbattere casseruole. Oppure altro. Invece, niente: tutto tranquillo. Massicce dosi d’anestetico sono quotidianamente elargite dai sindacati di regime, l’opposizione si volta dall’altra parte e finge che il maggior problema sia la nomina di questo o quel nome per la tale commissione. La sinistra extra-parlamentare celebra congressi e s’interroga sul come diventare, nuovamente, parlamentare.

Ci dev’essere qualcosa che interviene, che s’oppone al riconoscere la propria condizione d’esclusi (la metà degli italiani, praticamente, non è ammessa al desco! Mentre il 10% sbafa a tutto spiano!) e dev’essere qualcosa di molto potente ed elargito quotidianamente. Come una dose di morfina, spacciata a destra ed a sinistra.
Dov’è il misterioso pusher che addormenta ogni pulsione, che dirige l’orchestra dei sentimenti, che impedisce di rimirarsi allo specchio e di riconoscersi per quel misero poco che è rimasto?

Torniamo, allora, a quel 1985 o giù di lì. L’Italia era ancora turgida per la vittoria dei mondiali di Spagna: la sera, nelle birrerie, si suonava e si parlava. Di tutto. Di politica, poco.
Lui aveva già confezionato con il Milan il suo primo bandolo di matassa, il primo amo per il primo gestalt: la squadra invincibile, la corazzata degli olandesi, nulla poteva fermarla. Dietro, un “costruttore edile” che s’iniziava a chiamare presidente. Del Milan, ma “presidente”. Chi non crede al potere della parola, rifletta.
Poi la storia la conosciamo e non sarò certo io a tediarvi un’altra volta: i miliardi che non si sa da dove spuntano, le televisioni…no…superficialità inconsistenti, il gioco era altro.
Ogni giorno una novità, un nuovo modo per bucare il teleschermo con una fresca irriverenza, osando ogni minuto un millimetro più in là, a poco a poco, giorno dopo giorno.
Così, il denaro ha iniziato ad impazzare e ad impazzire sugli slot, sui monitor degli italiani: quanti anni aveva Modugno a 40 anni? 40. Risposta esatta! Bravissimo: passiamo alla domanda da 50 milioni…
E fosse stato solo questo.

C’erano sentimenti privati, un mondo che resisteva: cocciuto, riservato, nascosto. Erano emozioni: amore, gelosia, batticuore.
Ecco spuntare allora nuovi prestigiatori, i quali presero ad affiggere bandi d’amore nella paccottiglia plastichevole degli studios: quel sentimento, l’amore – segreto, ammiccante, trasgressivo, stravolgente – era affisso sugli schermi da banditori in cilindro e paillettes, per carpire fino all’ultima goccia di riserbo, quella conservata per il batticuore di una panchina al parco.
No, tutto doveva essere, diventare, trionfare nella pubblicità degli eventi: nulla dovrà più appartenervi! Tutto vi sarà dato, senza più cercare né l’amore e né il denaro, che io saprò propalare all’infinito. Dai teleschermi di Canale5.

Un presidente francese – gollista, uomo di destra, tale Chirac – comprese il rischio e preferì un coriaceo Le Pen, come disgrazia che il Ciel ti manda, alle lusinghe di Le Cinq. Gli negò l’etere francese appellandolo “Un vendeur de soupe”, un venditore di minestre. Le Alpi salvarono la Gallia Transalpina, dal cancro nato in quella Cisalpina.
I milioni di bandoli di matassa, pervicaci ami stesi dal cielo dopo la stagione del taglio di tutti i gestalt caserecci, tradizionali, nostrani, iniziarono a propagarsi – da quelle torri che nessuno considera obbrobrio al paesaggio – come innocenti ed assassine spadare, per catturare fino all’ultima preda, per condurla nella camera della morte. Della morte di tutti i sogni non targati, parcellizzati, griffati. Col marchio del Signore, “Unto” dal Signore stesso.

Ed eccoci, oggi, a domandarci il perché. Perché una nazione di derelitti appoggia al 60% chi propone soltanto di tagliare. Tagliare risorse, togliere diritti, annullare speranze. Lo fa con una squadra di ministri che potrebbe stare soltanto in un teatro d’avanspettacolo – all’estero ce lo sussurrano piano, con garbo, per non ferirci troppo – ma in un teatro d’ennesima serie.
Gli esempi si sprecano, e li citerò solo brevemente, associandoli al corrispondente gestalt.

Una insipiente ragazzina siciliana, nominata ministro dell’Ambiente, strombazza ai quattro venti che farà la guerra all’Europa “che conta” per le nuove direttive ambientali, ponendosi alla testa dei poveracci dell’est, quelli precipitati dallo stalinismo al liberismo. Lo annuncia, e dunque la sua parola è legge. Perché? Poiché, se lo riportano le TV, i giornali ed Internet, la verità è quella.
Quando, poi, deve entrare nella “stanza dei bottoni” europea dove siedono i suoi pari, tutti s’attendono l’ “Avanti Savoia!” e la carica. Invece, non succede niente. La ragazza potrebbe presentare una “clausola di revisione” – uno strumento giuridico consueto a Bruxelles – ma non lo fa. Tace per tutta la riunione salvo poi, all’uscita, tornare a tuonare.

Ironicamente, il ministro svedese Andreas Carlgren, interrogato sulla dura opposizione italiana, ha spiegato che “da quel che capisco, alcuni ministri sono stati chiaramente più critici nelle dichiarazioni che hanno rilasciato ai loro media nazionali che nel corso della discussione tenutasi al Consiglio”. (Repubblica, 21/10/2008)

Il risultato, commissionato da Roma e subito immesso nel circo mediatico, è però raggiunto: il pensionato di Novara, l’agricoltore di Perugia e l’impiegato di Cosenza – che scorrono distrattamente i giornali o sbirciano la TV – saranno pienamente convinti che l’Italia abbia vinto una battaglia di gran rispetto. Sono preparati, da anni, a ricevere quel tipo di input ed a far partire il corrispondente gestalt. Come i cani di Pavlov.
Elementi del gestalt: una fragrante Giovanna d’Arco, dal dolce sguardo di fuoco, che incenerisce i perfidi angli – i quali sono configurati nelle burocrazie europee – e salva i “cattolicissimi” regni del Sud e dell’Est. Nella realtà, non è accaduto nulla.

Brunetta ha dichiarato “conclusa” la battaglia contro i “fannulloni”, affermando che l’assenteismo è calato del 44,6%. Ecco il “bandolo” per scatenare il gestalt.
Ciascuno di noi riconoscerà nel “fannullone” accanto, nel proprio dirimpettaio perché più fortunato, capace, chissà… – il gestalt non si nutre di sapori raziocinanti – l’obiettivo del piccolo ministro veneziano. E lo sposerà: ecco l’elemento essenziale del gestalt.
Se, però, si vanno a “grattare” un poco i dati esposti (pubblicati sul sito del suo Ministero), iniziano le precisazioni: non sono conteggiati i dipendenti di scuola, università, ricerca e pubblica sicurezza. Pazienza per il settore scolastico (le vacanze estive, che potrebbero falsare la rilevazione) ma la Polizia non si comprende perché. I dati non erano in linea con il Brunetta-pensiero? Poi s’afferma che si tratta di una “stima” su dati parziali, ottenuti “grazie al contributo fornito dall’ISTAT”, ma l’ISTAT aveva da poco concluso un lungo lavoro[3] sull’argomento, ed ecco cosa precisava:

“…assenze dal lavoro per ferie e malattie che, in particolare per i lavoratori dipendenti, risultano piuttosto stabili nel tempo.”

Infine, Brunetta non comunica nessun dato grezzo – ossia quali sono i valori di partenza sui quali ha calcolato quel fantomatico 44,6%, non cita documenti, studi, le fonti della rilevazione – e, se i dati sono di fonte ISTAT, dovrebbe spiegare come mai l’ISTAT stesso lo smentisce in un suo documento ufficiale.

Ancora una volta, l’importante è scatenare il gestalt, corroborato – per chi si ritiene più astuto – da un paio di grafici e tabelle “sparati” su diapositive di Power Point. Così ci cascano anche i più furbi.
Anche i “furbissimi”, però, dovrebbero sapere che una rilevazione statistica di questo livello richiede tempi lunghi – almeno un anno, ma è ancora poco – ma ciò cozzava con il bandolo del gestalt da propalare: un governo efficiente, per Dio! Che in quattro e quattr’otto risolve tutto! Difatti, Brunetta parla oggi di “premi ai più capaci”, poiché sa che continuare su quella strada lo sbugiarderebbe.
Qual era l’obiettivo di bilancio? Introdurre, sotto mentite spoglie, una nuova “tassa sulla malattia” (con la riduzione del salario accessorio): non si possono fare, queste cose, in modo aperto e chiaro. Definiamolo, allora, un gestalt “di supporto”?

E la scuola?
Li abbiamo ascoltati tutti affermare che “non comprendono” perché la scuola e l’università sono in subbuglio: noi non abbiamo fatto niente – sorridono come ingenui – non ci sono tagli, solo “razionalizzazioni”, “risparmi”, “sprechi”…
Peccato che, nella Legge 133, art. 64, si legga:

“…devono derivare per il bilancio dello Stato economie lorde di spesa, non inferiori a 456 milioni di euro per l'anno 2009, a 1.650 milioni di euro per l'anno 2010, a 2.538 milioni di euro per l'anno 2011 e a 3.188 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012.”

E da dove verranno presi i soldi?

a) razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso…
b) ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola…
c) revisione dei criteri vigenti in materia di formazione delle classi;
d) rimodulazione dell'attuale organizzazione didattica della scuola primaria…
e) revisione dei criteri e dei parametri vigenti per la determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed ATA…
f) ridefinizione dell'assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti…

Tutte queste belle parole – “ridefinizione”, “razionalizzazione”, ecc, se correlate ai risparmi citati – significano solo una cosa: tagli indiscriminati sul personale, chiusura di scuole e d’istituti di ricerca. Perché, far saltar fuori quasi 8 miliardi in quattro anni senza incidere sulla qualità del servizio, sarebbe un miracolo. Ma i miracoli – nella fantasmagoria del gestalt – sono la norma, il tranquillo incedere di un sogno.

Per nascondere i veri fini, servono allora messaggi semplici, capaci di scatenare il gestalt partendo da ricordi piacevoli: ed ecco il “grembiulino” – che ricorda tanto fiocchetti, carezze della mamma, prime apprensioni, gioie lontane – ed il maestro unico, che rammenta un placido e rassicurante libro “Cuore”.
Il “maestro unico”, nell’iconografia tramandata, è il maestro Perboni del “Cuore”, che sprizza perbenismo (quasi onomatopeico!) ed eroici ideali risorgimentali da tutti i pori. Mica per caso, Umberto Eco scrisse “L’elogio di Franti”.
C’è bisogno, però, della Fata Turchina per far partire il gestalt, con un tocco di bacchetta magica.
Spiacenti: le Fate Turchine sono migrate tutte su Aldebaran, Gaia è oramai un postaccio per loro.
Che problema c’è? Potenza degli studi televisivi!

Mariastella Gelmini conosce la scuola come il sottoscritto un’astronave, questo tutti lo hanno compreso: “egìda” al posto di “égida”, sarebbe poco se non significasse che la ragazza legge comunicati che – plausibilmente – altri hanno scritto per lei. Avete, però, notato l’abbigliamento?
Sola la mancanza delle penna sul cappello la distingue dalla “Maestrina della Penna Rossa”, di deamicisiana memoria: altra icona che trascina verso gestalt dolci e rassicuranti, sogni di merletti e profumo di lavanda, un mondo placido e senza stridore. Proprio l’opposto della realtà che viviamo. Dovremmo complimentarci con i creatori d’immagine Mediaset: con il lavoro svolto sulla Gelmini, dovrebbero vincere un Oscar.

Il prezzo del petrolio, nel Marzo 2006, s’aggirava intorno a 60 $/barile[4] – come oggi – e la benzina intorno a 1,20 euro/litro[5]: non come oggi. Il consumo mensile di carburanti per autotrazione s’aggira intorno ai 3 milioni di tonnellate[6], sono dunque 3,75 miliardi di litri di carburante[7]. Un misero centesimo, su una simile massa, genera un “gruzzolo” di 37,5 milioni di euro il mese. Siccome, oggi, i prezzi non sono scesi a 1,20 (ossia al prezzo che dovrebbe avere la benzina per un costo del petrolio di 60 $/barile), mentre “oscillano” intorno a 1,25-1,27, sono come minimo 5 centesimi di ladrocinio, che corrispondono a quasi 190 milioni di euro il mese. Espandete un simile andazzo per un intero anno, ed avrete scoperto da dove prenderanno i soldi della “Robin Tax”: dalle nostra tasche, al distributore!

Qual è, invece, il gestalt? L’eroico Ministro delle Finanze che si lancia, spada sguainata, contro le compagnie petrolifere facendo loro restituire il maltolto, per placare i gemiti dei derelitti. Distribuirà quei soldi tramite carte di credito ai pensionati (che nessuno ha ancora visto, perché aspettano che arrivino i soldi dai distributori di benzina), i quali lo acclameranno sorridendo. Icone scelte: Robin Hood il Ministro, lo Sceriffo di Nottingham nelle vesti dell’ENI, i pensionati con la tessera magnetica i senza terra delle Midland.
Per i più “furbi”, invece, Rob…pardon, Tremonthood scrive – prima delle elezioni – un bel libro nel quale dichiara d’essere, praticamente, un no-global, cacciando nella parte del perfido difensore dei banchieri il malvagio Padoa Schioppa, con il quale, probabilmente, va a braccetto e se la ridono.

Possiamo qui anticipare quale sarà il prossimo gestalt che stanno preparando: si chiama federalismo fiscale.
Ci metteranno più tempo perché dovranno mettere d’accordo Bossi e Lombardo? Il Diavolo e l’Acqua Santa? No…la ragione è un’altra.
Le promesse elettorali sono acqua che scivola sulla roccia – lo sappiamo – ma lasciano un imprinting, che perdura per qualche tempo: uno scoglio, per un fluido e scorrevole gestalt.
E, nelle promesse elettorali, si è parlato troppo d’abolizione delle Province e delle Comunità Montane, un po’ troppo, e qualche sedimento potrebbe essere rimasto nelle menti. Il prossimo anno – dannazione – non ci saranno neppure Europei e Mondiali, che sono vere e proprie spugne per cancellare le lavagne.
I banditori di piazza potranno fare qualcosa – ed i vari Filippo de Maria e Bruno Piaggio saranno certamente allertati, ciascuno per il suo ambito di competenza – ma più di tanto non riusciranno: il loro compito è quello di cancellare i gestalt indesiderati o di sorreggere e riproporre quelli lanciati, ma il primo passo spetta ad altri.

Ci vuole più tempo…niente da fare…perché bisogna rassicurare il circo della politica: Calderoli, nella sua bozza di federalismo, ha chiarito che nessuno sarà lasciato col sedere a terra, nemmeno quei maledetti delle regioni rosse. Troppo pericoloso partire all’arrembaggio, anche avendo contro solo questa pallida opposizione.
Saranno semplicemente moltiplicati i balzelli – per le Province, ad esempio, è già nero su bianco un’apposita imposta sull’automobile (ancora da “perfezionare”) – anche perché i “divorzi” fra PD, Di Pietro e Sinistra promettono bene, di mettere le mani su nuovi, succosi posti per gli amici degli amici.
Bisognerà studiare una strategia: manderanno in giro il Gabibbo a scoprire qualche nuova magagna, oppure le Iene, chissà…l’importante, quando sarà lanciato il gestalt, è che le menti siano pronte, “ricettive”.
Gli elementi del gestalt potranno essere il “taurino” ministro Calderoli, come icona della travolgente bestialità italiota, contrapposto ai succiasangue meridionali – quelli cattivi – perché ce ne saranno anche di “buoni”, ossia quelli che accetteranno la nuova dominazione nordista. Consiglierei, se posso esser d’aiuto, la piena riabilitazione politica del cardinale Ruffo di Calabria: uno sceneggiato, con Barbareschi nei panni dell’indomito defensor fidei, potrebbe andare.

All’opposto schieramento, assommano la pochezza politica con l’incapacità di comprendere cos’è oggi la comunicazione. S’affannano a spiegare, dimenticando che Clinton “cancellò” Bush padre con una battuta in diretta: “Is the economy, stupid!”.
Anche se fossero in grado di replicare (o non fossero collusi, ecc) non ne avrebbero i mezzi, perché – per prima cosa – bisogna avere disponibilità dei mezzi di comunicazione. E, qui, non intendiamo soltanto i direttori di testata, bensì il gran circo Mediaset, con le centinaia d’esperti in ogni settore: dalla pubblicità televisiva – direttamente – alla “costruzione” di un personaggio politico, alla conoscenza dei metodi per contrastare e ribaltare gli avversari.
Prima i panzer – Gasparri o Sgarbi – che hanno il compito di non lasciar parlare nessuno, poi i “filosofi” – Cicchitto o Sacconi – i quali devono trasformare, con calma, la scoperta dell’acqua calda nella pietra filosofale, infine le macchiette – Brunetta o Bondi – per fornire l’identificazione dell’italiano medio con il personaggio politico/televisivo. Qualche bella ficotta, poi, non guasta mai: nell’ombra, i deus ex machina – Berlusconi, Tremonti o Bossi – che parlano poco ed inviano solo messaggi in codice.
Voilà, signori: il piatto della politica italiana è servito!

Dove possono andare in crisi?
Anzitutto, con altri, potenti gestalt collettivi, come “L’Onda” studentesca ha dimostrato: è bastato quello slogan – “Noi non pagheremo la vostra crisi” – per far cadere di venti punti la fiducia nel governo[8]. Perché? Poiché quelle parole sono andate ben oltre il loro significato letterale, e forse anche alle intenzioni di chi le urlava.
Gli slogan sono quasi dei mantra, mediante i quali si cerca d’esorcizzare una paura: quale? Il timore – ragionevole – d’andare incontro ad un futuro buio, per la crisi economica incombente, per la testardaggine dei governanti nel non voler cambiare strada. Per aver assimilato che la strada del capitalismo globalizzato è una via colma di macerie chiamate precarietà, ritmi di lavoro ossessivi, fino allo spropositato numero d’incidenti, mortali e non, che testimoniano ben altro che il non rispetto delle normative. E poi: incertezza, timore di dover emigrare, di non poter avere una casa, una famiglia…
In questo contesto, ha addirittura riduttivo citare come risultanza il crollo della fiducia nel governo: siamo in presenza di fenomeni che vanno ben oltre.

Il secondo tranello potrebbe essere proprio il messaggio televisivo, della serie: chi di TV ferisce, di TV perisce.
Il fenomeno è recente, ma sempre più testate e blog sul Web utilizzano filmati di breve durata d’informazione politica, sociale, oppure – come per i fatti di Piazza Navona – per smascherare le bugie di regime.
Sempre più persone hanno l’abitudine di seguire l’informazione sul Web, ed oggi lo possono fare tramite un mezzo del tutto simile alla TV, ma con alcuni vantaggi: possono scegliere fra molte fonti, quando lo desiderano, quando hanno tempo.
Una delle ragioni della lentezza con la quale s’espande la banda larga in Italia è questa, l’ennesimo conflitto d’interessi: il principale imprenditore televisivo ha anche il potere di stendere leggi e regolamenti che influenzano quel settore. A lui, di certo non conveniente, dopo esser riuscito faticosamente a diventare monopolista nel mercato italiano.
Nonostante le resistenze, la diffusione dell’informazione via Web – a mio parere – non è più possibile negarla: cercheranno di rallentarla, ma più di tanto non potranno fare. Ricordiamo la misera fine del Decreto Levi, cancellato dalla rivolta del Web: sono battaglie che costano troppo a livello d’immagine, e che alla fine sono sconvenienti.

Per ora, però, innumerevoli ami – propositivi di milioni di gestalt – ruotano intorno a noi per farci vivere fuori del tempo, del nostro tempo. A noi svegliarci.
Se pensate che tutto ciò sia soltanto rinverdire Orwell, probabilmente avete ragione, ma anche Orwell può essere triturato a dovere per creare un nuovo gestalt. I prestigiatori della comunicazione, non si pongono limiti. Non ci credete?
Poche sere or sono, facevo lo zapping prima d’andare a letto. Su Rete4, subito dopo una pubblicità, apparve un testo, graziosamente incorniciato ed accompagnato da una mielosa musichetta. Lessi.
Questa mi pare proprio ‘na strunz…chi avrà mai scritto una roba del genere? Non può essere certo Tolstoi e nemmeno Shakespeare, no…neanche Flaubert e neppure Wilde…
Lessi, al termine, l’autrice di cotanto “aforisma”: Marina Berlusconi.
Buon gestalt a tutti.

[1] Gestalt (ted. letterale: Forma) è un termine usato per definire la scuola di Psicologia strutturalista tedesca d’inizio ‘900. In sintesi, la Scuola di Berlino sosteneva – nella comprensione di un insieme d’elementi – la supremazia della percezione sensoriale globale su quella dei singoli elementi, poiché tale percezione (la gestalt, appunto) proponeva una sintesi che maturava ben oltre i singoli elementi. Un fenomeno comparabile alla gestalt può essere identificato nella “scena” che ciascuno di noi crea nella propria mente tramite la lettura, oppure la visione di uno spettacolo, di un insieme d’icone, di personaggi, ecc. Non è questa la sede per approfondire simili, complessi argomenti, bensì per sottolineare come la proposizione di gestalt, in qualche modo “pilotati”, è forse il più potente mezzo a disposizione delle oligarchie dominanti.

[2] Al recente Salone della Nautica di Genova, il leitmotiv era che le vendite dei lussuosi yachts andava a gonfie vele, mentre quelle delle imbarcazioni sotto i 10 metri (appannaggio della cosiddetta “classe media”) erano fortemente in calo.

[3] Fonte: ISTAT, Le ore lavorate per la produzione del PIL, 9 luglio 2008.

[4] Fonte: The Oil Drum.

[5] Fonte: Metanoauto.com.

[6] Fonte: Unione Petrolifera.

[7] Calcolando una densità media fra benzina e gasolio pari a 0,8 kg/l.

[8] Fonte: Corriere della Sera, sondaggio eseguito da Renato Mannehimer, 26 ottobre 2008.

01 novembre 2008

Il grande convoglio, sul binario morto

Avevamo avvertito più volte, da queste pagine, del rischio che la “grande” CGIL correva se avesse continuato a braccetto con le oligarchie del turbo-capitalismo: perdere, con un’inarrestabile emorragia, il contatto ed il sostegno dei lavoratori.
Il più importante campanello d’allarme – il primo avvertimento “pesante” – furono le elezioni del 2008: l’accordo di Luglio 2007, approvato dai lavoratori con un referendum-truffa, fu uno dei più importanti discrimini che aprirono la via al governo di Silvio Berlusconi. Ma – direte voi – questa è politica, mica sindacalismo!

Se considerassimo il sindacalismo slegato dalla politica saremmo degli ingenui: il profondo legame fra il PCI-PDS-DS-PD di Guglielmo Epifani non si nasconde nemmeno dietro ad una quercia, mentre la segretaria dell’UGL – Renata Polverini – fra un incontro e l’altro dell’infinita querelle di Alitalia, si recava in Umbria, per partecipare ai lavori dei giovani quadri di Forza Italia. Più di così…
L’accordo di Luglio 2007 riuscì, in un sol colpo, a riunire le generazioni ed a scongiurare una guerra fra padri e figli: sì, ci riuscì come qualsiasi compromesso al ribasso, “offrendo” ai padri la catena per legarli al lavoro ben oltre i 60 anni, ed ai figli la certezza di un precariato a vita.

I figli, i nostri figli – i quali sono tutt’altro che quella pletora di deficienti telefonino-dipendenti che ci vorrebbero far credere – hanno compreso che, se non si mandano in pensione i padri, non ci saranno occasioni di lavoro per i figli.
Abbiamo – per fare un solo esempio – la classe docente più vecchia d’Europa: il 55% degli insegnanti ha più di 50 anni! Nella maggior parte dei paesi europei, sono circa il 30%. Un abisso, che rende la scuola italiana senza prospettive.
A fronte, il mercato del lavoro italiano – per i giovani – non si può nemmeno più definire tale: è ancora “lavoro”? Oppure “favore”, “occasione”, “caporalato”…
Se scorriamo la triste conta dei morti sul lavoro, scopriamo che rientrano prevalentemente in tre categorie: molto giovani (inesperienza), extracomunitari (i più esposti al rischio, la nuova schiavitù) e persone ben oltre i 50 anni (stanchezza, che spalanca le porte alla “fatalità”).

Quel penoso referendum, nel quale votarono quasi solo e più volte gli apparatcik sindacali (come dimostrò ampiamente Marco Rizzo, con fotografie, ecc), coprì forse il Re con una foglia di fico, che in questi giorni – con due vicende apparentemente slegate, “L’Onda studentesca” ed Alitalia – si sta trasformando in un esile filo d’erba.
La protervia sindacale di sposare senza remore – anche grazie a favori e protezioni personali – questo capitalismo (a mio avviso, in fase terminale, il che non vuol dire che ci saranno radiose “albe”), genera inevitabilmente una contraddizione fra chi sopporta il peso del nuovo mercato del lavoro – pochi soldi, meno diritti e tutele, maggior carico di lavoro – e le organizzazioni che dovrebbero (!) tutelarli. Come puoi tutelare un lavoratore, se sposi l’ideologia che ne vuol fare uno schiavo?

Le due vicende di questi giorni richiamano al medesimo crocevia, quello dove s’incontrano la strada del sacrosanto diritto ad una vita decente e quella dell’accumulo (anche truffaldino, vedi subprime) di capitali. E’ un crocicchio zeppo di macerie: una sorta di Beirut bombardata, una desolata via irachena od afgana.

Cosa chiedevano gli studenti in piazza?
Sì, c’erano i problemi della scuola…la Gelmini e tutto il resto…ma il vero problema era altro: lentamente, questi ragazzi – ed io l’ho potuto toccare con mano – iniziano a prendere coscienza che, una scuola sempre più “bombardata”, è fatta apposta per prepararli soltanto ad un futuro da esuli o da sottoproletari. E si ribellano.
Non solo alla Gelmini, a Tremonti, a Brunetta – ciò non spiegherebbe la grande partecipazione di studenti che non sono certo di “sinistra” (lasciamo perdere la pietosa balla dei centri sociali…) – poiché questi ragazzi si sono rivoltati contro un futuro cancellato, e lo hanno fatto per lo più in accordo con le loro famiglie e con i loro insegnanti. Un segnale dirompente, ma – vivaddio – finalmente un buon segnale!

A quel punto, la triplice sindacale ha convenuto che era meglio tentare di “cavalcare l’Onda” – per meri scopi di “bottega” sindacal/elettorale – ed il fatto che l’abbiano soltanto “cavalcata” è dimostrato dai retorici discorsi tenuti in piazza, a fronte – nei medesimi giorni – di scelte di fondo ben diverse.
Per prima cosa, la “Triplice” si è scissa sulla vicenda del futuro contratto del pubblico impiego: come possano pensare – CISL ed UIL (l’UGL è solo una carriola “aggregata” al carro) – che 70 euro lordi per coprire un biennio (più la pietosa una tantum per la “vacanza contrattuale”, roba da ridere, che solo Brunetta può strombazzare) possano mantenere un minimo di potere d’acquisto? 40 euro netti mensili, per un biennio, non sono un accordo: sono un altro tipo di “taglio”.

La CGIL non c’è stata, ma qui dobbiamo riflettere che il sindacato di Epifani è quello che rischia di più: cifre gonfiate a parte, l’UNICOBAS, i COBAS e l’SdL – i cosiddetti “autonomi” – avevano portato in piazza il 17 Ottobre un fiume di persone. Il primo sciopero degli “autonomi” pienamente riuscito in Italia: visibile, nei posti di lavoro, nelle città e nelle piazze.
Il “segnale” non è certo sfuggito alla CGIL: lo “scavalcamento” a sinistra (vedi Rinaldini e la FIOM) è la iattura peggiore per chi, a parole, difende i diritti dei lavoratori mentre, nei fatti, li usa come massa di manovra per scopi politici, di “bottega” sindacale e, purtroppo, anche personali.
La rottura dell’alleanza con le altre sigle (per altro, poco significative in termini numerici) era perciò obbligata per il sindacato di Corso Italia: obbligata sì, ma obtorto collo.

L’ultimo atto è quasi penoso – comunque finisca la vicenda – poiché lo spettacolo di quattro sindacati che firmano le forche caudine della nuova Alitalia – quando sanno benissimo di rappresentare poco o nulla – ci fa venire in mente solo il generale Jaruzelskj, nella Polonia che digradava dal socialismo reale, il quale firmava anch’egli accordi con i sindacati di regime, ma la piazza era di Solidarnosc.
Ci sono, ovviamente, delle differenze: il sindacato autonomo polacco era sorretto e finanziato dal Vaticano e dagli USA – era una vicenda strategica che incrociava questioni interne – e per questa ragione la strada italiana è più in salita.

In ogni modo, la “rivolta” dei sindacati autonomi – lo sciopero riuscito, la grande manifestazione, la resistenza dei dipendenti dell’Alitalia – sono segni che vanno tutti nella medesima direzione, e sono “accompagnati” dal risveglio degli studenti.
Chi fa paragoni con il ’68 può essere solo un mestatore nel torbido od uno sciocco: la situazione è altra, e questi ragazzi hanno gridato slogan che dovrebbero far meditare. “Noi non pagheremo la vostra crisi”: la crisi, evidente, di un sistema economico che non regge più, osannato soltanto dalle caste gaudenti del grande privilegio e dai pretoriani di palazzo. E, purtroppo, dai miseri lacché sindacali della Triplice.

Come andrà a finire? Non lo so: mica sono un mago, come i tanti che strombazzano sui giornali del sistema destro/sinistro.
Qualsiasi “risveglio”, però, non può che essere buon segno, e non lascia mai le cose come il giorno precedente: se n’è accorta anche la “corazzata” di governo, che imputa ad “errori di comunicazione” il crollo dei consensi e la brutta figura rimediata.

Posso solo ricordare che avvertii Epifani parecchio tempo fa dei rischi che correva – l’articolo era “Colpirne 10 per educarne 1000” del Maggio 2008 – laddove spiegavo i madornali errori commessi dalla cosiddetta “sinistra” italiana, inviata dai suoi stessi elettori alle “isole degli ignavi”. E concludevo:
Sono le stesse persone che hanno inviato, senza biglietto di ritorno, chi le ha tradite nelle isole degli ignavi: Epifanio ci mediti, perché le isole non mancano. Oggi a me, domani a te.”