28 ottobre 2010

Come può funzionare?

«…ogni nuovo organismo storico crea una nuova superstruttura, i cui rappresentanti specializzati e portabandiera non possono non essere concepiti anch'essi come "nuovi" intellettuali, sorti dalla nuova situazione e non continuazione della precedente intellettualità
Antonio Gramsci – Quaderni del Carcere – 1929-1935.

Lo scorso 24 Ottobre era in programma, a Bologna, un incontro organizzato dall’associazione “Faremondo” (Faremondo.org) sul tema di come “uscire dalla Rete”: l’invito era rivolto ai scrittori, bloggher e gestori di siti Web, fra i quali lo scrivente.
Non sono andato a Bologna anche per motivazioni personali, ma confesso pubblicamente che ero poco convinto dell’iniziativa. Oggi – dopo che Emanuele Montagna m’ha aggiornato sulla “brillante” assenza proprio dei gestori dei siti e dei blog (cosa sulla quale non avevo dubbi, al punto che l’articolo era già scritto) – vorrei sottoporre qualche spunto utile per il futuro, così da poter sviluppare una riflessione collettiva sull’annoso problema dell’organizzazione.

Premessa

L’incontro del 30 Maggio 2010 – “Anticorpi: che facciamo?” – non fu proprio un successo: tanto brigare, per poi trovarsi in una trentina (scarsa) di persone, non giustificava proprio tanto sbattimento. Per tutti: organizzatori ed intervenuti.
Allora, “uscire dalla Rete” non è possibile? Siamo condannati a rimanerci? Probabilmente sì, ma c’è modo e modo di rimanere in Rete e fuori della Rete. Andiamo con ordine.

Quando mi recai a Bologna, era mio preciso intento spiegare con dovizia come l’energia fosse il nodo centrale dei “tempi bui” che stiamo vivendo. Non desideravo affatto rifare da capo la storia di quanto è brutto il nucleare…eccetera…bensì mostrare – calcoli alla mano – che sull’energia si giocherà la partita, soprattutto sociale, nei prossimi decenni.
Tutti blaterano su fonti energetiche e rendimenti, pensando così di trovare la panacea contro ogni male, mentre il vero problema non è la fonte, bensì chi governa tale fonte. Ai più attenti, non sfuggirà che le fonti fossili e l’Uranio sono perfette per l’oligarchia dominante: fonti finite, tecnologia complessa o di grandi dimensioni, completo controllo.
Per iniziare un confronto a tutto campo sul concetto di Economia Sociale Sostenibile – da contrapporre alle velleità “bancarie” di “stralciare” l’economia dal novero degli argomenti politici[1] – è necessario avere un concetto sul quale far leva, e l’energia è perfetto, anche se altri aspetti possono essere ugualmente utilizzati.
Perché l’energia?

Poiché è un argomento sentito, sul quale c’è una vasta convergenza di consensi, dove le realizzazioni sono tangibili e visibili: nonostante tutto il battage pubblicitario della Casta, solo un italiano su tre è disposto ad accettare una centrale nucleare sul suo territorio. Ma c’è un altro aspetto, ancora più importante.
Ogni anno, l’Italia – tributaria verso l’estero di circa il 90% dell’energia che consumiamo – paga la cosiddetta “bolletta energetica”, la quale può variare in una “forbice” fra i 30 ed i 60 miliardi di euro, secondo l’andamento dei prezzi e delle monete. Le nazioni che programmano per la metà del secolo la completa autosufficienza energetica (Danimarca, ad esempio, ma anche parecchie aree tedesche) meditano – oltre alle questioni relative al clima, ai problemi del nucleare, ecc – d’impossessarsi di quel malloppo.
Il quale, è difeso a spada tratta dagli USA per sorreggere il dollaro come moneta di riferimento, dai Paesi produttori di prodotti energetici per ovvi motivi e da numerose “quinte colonne” – lautamente foraggiate da questi “attori protagonisti” – per smontare le tesi sulle rinnovabili (pensiamo al “trattamento Rubbia”), “montare” fantasiosi problemi “estetici”, bistrattare ogni scienziato che sottolinei i rischi ambientali…in altre parole, tutto ciò che incrina il sistema dei fossili e dell’Uranio.
Ecco perché, “mettere le mani” sul “gruzzolo” da decine di miliardi di euro l’anno, sarebbe importante: potrebbe diventare la prima pietra per (ri)costruire un’economia basata sulle produzioni locali, sulle banche locali (come un tempo, senza fini di lucro), sul ritorno dello Stato come attore nei grandi processi industriali, ecc.

Da qui in avanti, sarebbe iniziato il discorso interessante, ma fui quasi zittito da richieste pressanti: “Queste cose già le sappiamo” fu il sentimento comune dei (pochi) intervenuti “il problema è: cosa possiamo fare?”
Capisco perfettamente l’ansia di chi vede la propria vita violentata da una masnada d’incompetenti attacché all’oligarchia dominante – anzi, a ben vedere, dai servi di tale oligarchia – ma non è chiedendo soluzioni salvifiche e messianiche al primo che viene a parlare che si risolvono i problemi, né si creano aggregazioni e strutture.
La responsabilità di quel fallimento non fu però di chi intervenne, bensì mia e di chi organizzò l’evento. Vediamo il perché.
La democrazia assembleare sarebbe una cosa meravigliosa: se funzionasse. L’incontro di Maggio ne fu un esempio, e quello di Ottobre ne ripercorreva i termini.

Dopo Maggio, fui contattato alcune volte da Emanuele Montagna di Faremondo, il quale mi chiese se ero disponibile per incontrarci prima dell’Autunno, insieme a Franco Soldani. Dissi loro, per quella volta, di salire da me e concordarono. Qualche mese dopo fu Truman di Comedonchisciotte a dirmi che “sarebbe probabilmente passato” da me: ancora lo attendo.
Il mio desiderio d’avere, prima d’altre iniziative, incontri ristretti e diretti discendeva – e nel prosieguo dell’articolo apparirà più chiaro – da precise riflessioni sulla prassi da seguire.
Questo per dire che, se si organizza un incontro fra gestori di siti, scrittori, bloggher, ecc i casi sono due: o l’incontro è limitato ai sopraccitati individui, oppure – se si desidera un incontro con il pubblico – quegli stessi individui devono incontrarsi prima per concordare come intervenire. Altrimenti, è il caos: ciascuno chiede e tutti dovrebbero rispondere, su tutto, e non funziona.
E tornano alla mente i versi di Guccini: “chiunque ha un tiramento…”

Spontaneismo od avanguardia?

La mia posizione – non mi nascondo dietro il classico dito – si chiama leninismo perché sono convinto che Lenin seppe ben organizzare la presa del potere in Russia, poiché capì per tempo due assiomi inseparabili: la necessità di un’avanguardia e, proprio per l’elasticità intrinseca del gruppo ristretto, la spregiudicatezza nella prassi.
A prima vista, il Web sembrerebbe l’apoteosi della democrazia e dello spontaneismo, quindi il massimo della libertà d’espressione. Il che, per quanto riguarda il nostro agire all’interno dei siti e dei blog, è anche vero, a parte le ingerenze dei troll e dei debunker. Ma, come viene percepito il Web all’esterno? E’ temuto? E’ consultato? In altre parole: “conta”?
Il Web “conta” come movimento d’opinione facilmente percettibile, sul quale i partiti della Casta “modellano” la serie d’inganni che, ripetutamente, propongono.
La stima, che la Casta ha del Web, potrebbe essere invece così riassunta: un gruppo di galline starnazzanti che urlano ogni giorno centomila diverse canzoni, non omettendo di beccarsi fra di loro quando una cosiddetta “primadonna” passa a tiro. Per loro, significa soltanto tirare le somme su qualche denominatore comune molto sentito – quanti hanno promesso l’abolizione delle Province? – per blaterarlo in televisione e tirare a campare da un’elezione all’altra.
Il Web è il “regno degli orticelli” ben recintati e difesi a spada tratta: ciascuno con il proprio marchio, che va a controllare ogni settimana su Blogbabel per osservare se la freccia è all’insù o all’ingiù.
Ma dove vogliamo andare, agendo in questo modo? Sarà una bellissima democrazia assembleare ma, fra centomila anni (se durassimo tanto), saremmo al medesimo punto.

Gli incontri promossi da Faremondo, nelle sincere intenzioni degli organizzatori, dovevano servire proprio a questo: a “superare” la frammentazione del Web.
Il limite è non accorgersi di riproporre, per “superare” la “dimensione Web”, i suoi stessi difetti: essere lontani, “slegati” e disorganizzati.
Quindi, qualora si dovessero ripetere iniziative di questo tipo, il mio parere sarebbe quello di contattare le principali “testate” Web, bloggher, gruppi politici che agiscono sul Web, ecc e riunirci per trovare, prima d’aprirci al pubblico, almeno l’unità d’intenti su cosa intendiamo fare perché, non nascondiamoci, ciò che la maggior parte delle persone chiede è una formazione politica che corrisponda al plafond di cultura che lo spontaneismo del Web ha creato.
Agendo senza questa prima fase d’incontro e di riflessione, finiremmo per presentarci al pubblico per il nulla che siamo: lo sconcerto e la disillusione non farebbero che aumentare.

Lo stato dell’arte

Veniamo ai punti proposti da Faremondo:

1. La società del capitale: qual è la sua natura, come funziona sotto la superficie e quali sono le sue tendenze;
2. La natura della scienza: gli stereotipi ufficiali, il suo status interno più sofisticato e quel suo modo di ragionare così strettamente imparentato col modo di funzionare proprio del capitale;
3. Megamedia e propaganda: come i dominanti suscitano il consenso dei dominati nel mondo alla rovescia inventato dai loro mille schermi di fumo;
4. 11 settembre 2001: un inside job ad uso e consumo delle élite finanziarie dell'imperialismo USA dentro il big game geopolitico e criminale del mondo multipolare. Perché non possiamo chiedere la verità agli agenti del Potere e perché la consapevolezza di questo può portarci a ragionare diversamente;
5. Lo stato delle cose: come possiamo distinguerci concettualmente e nell'azione dalle opposizioni fittizie e da tutte le loro false piste intellettuali.

Non è chiaro se questi punti erano da considerare un dibattito per una ristretta avanguardia oppure una discussione da proporre al vasto pubblico.
Nel primo caso, appaiono scontati, nel secondo non so – effettivamente – quanto possano essere “sentiti”: una famiglia, che deve campare con 1400 euro e pagare l’affitto ed il mutuo, ha il tempo e la voglia di scoprire – ascoltando, leggendo, informandosi, dibattendo – quali sono gli inganni dell’odierna scienza/religione laica?

In realtà, alcuni di questi punti finiscono per essere scontati addirittura per il grande pubblico: chi legge sui siti d’informazione Web, ha ancora qualche dubbio che il capitale sia un raffinato mezzo d’accentramento della ricchezza verso un’oligarchia? Che tutto l’ambaradan dell’11 Settembre – comunque sia andato – servisse solo ad invadere l’Iraq per impossessarsi delle seconde riserve petrolifere del Pianeta, le quali – sotto Saddam – erano sfruttate per la decima parte rispetto al vicino saudita e, quindi, in breve tempo sarebbero divenute le prime riserve mondiali? Oppure che l’Afghanistan sia la vecchia strategia del controllo del “cuore” dell’Asia? E’ dai tempi di Marco Polo che lo sappiamo.
E ancora: nel Paese di Berlusconia, qualcuno ha ancora dei dubbi sulla funzione dei media?

E veniamo all’ultimo punto: “distinguersi” dalle opposizioni fittizie. Basta osservare un giorno di vita del PD o dell’IDV – le loro colpevoli “assenze” quando ci sono da votare emendamenti “critici”, le loro posizioni ondivaghe sull’energia, sul lavoro, il loro sposalizio con il liberismo…ma quanto bisogna andare avanti? – per capire che, chi sta di là, ci sta perché vuole starci, per raccogliere domani dei cocci sui quali ricostruire una posizione di potere. Basta una battuta: “Dal Bottegone al Botteghino”.

Come organizzare?

Distinguere la propria posizione (presumibilmente, nel “solco” della sinistra, ma ci sono importanti contributi da parte di quella che viene definita la “Nuova Destra”, mi riferisco a De Benoist) da quella dei sinceri sostenitori del capitalismo internazionale – che oggi si presenta con la veste liberista, quindi semplifica di molto la posizione di un marxista: niente “aneliti” socialdemocratici, kautskiani, rooseveltiani o keynesiani da valutare ed analizzare – comporta, semplicemente, chiedere più salario, salute e diritti, meno anni di lavoro ed un “quadro” giuridico certo, basato sulla Costituzione.
In altre parole, quella Economia Sociale Sostenibile che sappia coniugare l’esigenza di certezze (reddito, lavoro, sanità, istruzione, ecc) delle popolazioni e sappia riproporre un concetto di Stato che sia garante della vita delle popolazioni, non della salvaguardia del capitale: a margine, notiamo che il problema dell’attentato in atto alla Costituzione è molto sentito dagli italiani.
Il problema si sposta sul “come” chiederlo, quindi sull’organizzazione.

Ciò che i milioni di lettori del Web chiedono, oggi, è una nuova formazione politica che li rappresenti: non altro. Se circa il 30% degli elettori italiani – consapevolmente – hanno rifiutato la scheda perché non si sentivano rappresentati, lo spazio politico per intervenire esiste, anche considerando la presenza di Grillo o d’altre formazioni minori.
Nel frattempo, cosa fa la Casta?
Noi ci lambicchiamo sulla strategia da seguire, mentre Berlusconi ha già dato ordine alle sue reti televisive di trasmettere la serie di film di “Don Camillo”: lo fa sempre, prima delle elezioni. Perché?
Poiché la metà degli italiani sono oramai anziani e, da giovani o da meno giovani, tutti hanno visto quei film, che sono un mezzo potentissimo per portare alla luce i “buoni sentimenti” che sono presenti nell’animo umano.
Una volta riuniti – metaforicamente – milioni d’italiani sotto l’ombrello della lontana chiesa/partito di Brescello – ed i nostri compatrioti trasuderanno buoni sentimenti ed effluvi “di pancia” – sarà un gioco da ragazzi sovrapporre a quei sentimenti – condivisi/collusi con la maggior parte degli italiani – la propria facciona di uomo semplice, efficiente, devoto alla Madonna e alle puttane, come ogni italiano/italiana approva.
I partiti della cosiddetta sinistra – e lo dice una persona che ha “toccato con mano” i loro sconfortanti livelli di comunicazione – non riescono nemmeno a comprendere che, mentre loro si lambiccano sul fattibile e sul probabile, la destra berlusconiana fiorisce, immaginifica, di Gestalt dirette come uppercut alla “pancia” del Paese. Non a caso, i migliori risultati nella lotta al potere berlusconiano li ottengono i comici – Grillo, Guzzanti, ecc – che usano gli stessi mezzi.

Noi, che rappresentiamo l’altra metà dell’elettorato – confuso, deluso, oramai trasfuso con ogni veleno – invece di presentare pochi e semplici obiettivi, chiediamo riflessioni sui massimi sistemi? E chi ci seguirà mai?
Ripeto, a rischio d’apparire malato “d’aristocrazia politica”: era rivolto ad una ristretta cerchia di persone od era erga omnes?
Come già ricordavo, se il messaggio era rivolto a “chiunque” non poteva sortire altro che una gazzarra senza senso – pensiamo alle mille, sfaccettate posizioni sull’11 Settembre – oppure una noia infinita.
Questo accade perché, a monte, è venuta meno la principale responsabilità dell’intellettuale: quella d’elaborare cultura. Se non si è in grado di presentare una proposta politica coerente, cosa si presenta/chiede alla gente? Non vorremo mica sostenere che sia il Web a riuscirci?!? Sfaccettato, condizionato, svagato, preda dei mille troll e debunker che postano, con nick fantasiosi, dalle segreterie dei partiti al potere?
Gli italiani che non si fanno prendere all’amo di Don Camillo, chiedono qualcosa di più ed è giusto che lo pretendano quando ci si presenta con una prospettiva mica da poco – “uscire dalla Rete” – per ritrovarsi, ovviamente, sul territorio. Ci rendiamo conto di quale responsabilità ci si carica sulle spalle?

Contingenze e furbizie della Casta

Anni fa, ad un incontro promosso da Elio Veltri, gli chiesi come potesse girare l’Italia in quel modo…insomma, non costava mica poco…
Mi rispose che lo poteva fare soltanto perché aveva ancora diritto alla tessera ferroviaria gratuita, retaggio di quand’era parlamentare.
Noi, per spostarci a Bologna, dobbiamo cercare altri per dividere i costi del viaggio, anche perché il treno mica è più economico come un tempo: oggi, spostarsi, costa parecchio. E gli stipendi sono più bassi ed incerti.
La classe politica lo sa benissimo: per questa ragione concede ogni benefit per i viaggi ai suoi accoliti – mentre nega qualsiasi contributo ad altri – perché in quel modo sa benissimo d’inchiodare la gente a casa. Sfogati sulla tastiera.
Lo stesso principio viene applicato all’editoria: se il tuo “agire” ed i tuoi contenuti possono essere accettati dalla Casta – meglio se la sorreggono – allora avrai diritto ai contributi, altrimenti nulla.
Senza contributi per viaggiare – e poi alloggiare, nutrirsi, ecc – e nemmeno una minima copertura dei costi per eventuali pubblicazioni, tutto finisce per diventare puro volontariato, ma un volontariato che richiede energie e si “prende” una parte delle nostre vite.

E’ il tasto che nessuno vuole toccare, quello economico: siamo la parte meno abbiente della popolazione – mettiamocelo in testa – ed impariamo ad agire di conseguenza: altrimenti, con un altro paio d’iniziative di questo genere che vanno praticamente a monte, sarà “tastiera forever”.
Quando il Primo Ministro Tojo chiese all’ammiraglio Yamamoto d’attaccare le flotte USA su tutti i fronti, con tutto ciò che il Giappone aveva a disposizione all’inizio della guerra, Yamamoto versò la tazza di tè che aveva in mano sul pavimento e rispose: “Questa è la nostra forza, ciò che oggi possediamo: se la gettiamo in una sola, grande battaglia, sparirà e non resterà nulla”. Ricordiamoci quelle parole, prima di prendere qualsiasi decisione.

Qualche indicazione operativa

I tempi per grandi adunate non sono maturi, tanto meno se sono spontanee e senza temi ben circoscritti ed obiettivi da raggiungere.
Allora, è meglio essere chiari: è necessario che una serie di persone che da anni scrivono, propongono, pubblicano, “lavorano” sul Web s’incontrino e stendano un plafond d’obiettivi comuni. Non avere il timore d’affermare che lo faranno quasi “a porte chiuse”, perché quello è il ruolo dell’intellettuale, almeno in questa fase.
Questo, da sempre, è il compito degli intellettuali: venire meno a questo principio, non significa prosternarsi in aneliti d’umiltà, bensì fuggire alle proprie responsabilità.
Non è necessario essere degli “scafati” obiettori del sapere scientifico né degli espertissimi tecnici d’aviazione e di demolizioni controllate: basta credere che questo Paese meriti una classe politica diversa, migliore, con l’obiettivo chiaro delle re-distribuzione della ricchezza, della primato del sapere sul potere, del pubblico sul privato.
Qualche traccia operativa?
1. Riportare la tassazione all’originario concetto di progressività;
2. Contrastare le varie riforme “federali” e, anzi, ridurre le amministrazioni intermedie, che sono soltanto cespiti di corruzione per la Casta;
3. Lottare contro il programma nucleare civile italiano e sviluppare un piano per la totale autosufficienza energetica;
4. Separare la previdenza dall’assistenza, iniziando a prevedere forse di sostegno al reddito diverse dalla tradizione, con un occhio attento al reddito di cittadinanza;
5. Contrastare l’inurbamento delle popolazioni, studiando mezzi e prassi che conducano ad una ri-appropriazione del territorio e ad una sua occupazione finalizzata alla gestione delle risorse.
6. Il sapere è il miglior viatico dell’Umanità: abbattere il mostro classista creato nell’istruzione – a tutti i livelli – dalla riforma Bassanini in poi.
7. Altro…
Prima d’incontrarsi, però, bisognerebbe contattare telefonicamente più persone e stabilire con cura la data: affinché, chi deve esserci, ci sia.

Una delle proposte operative era quella di creare una rivista: ottima idea, perché fra migliaia di siti una vera rivista di riflessione politico/sociale manca. Come la facciamo?
Ci si mette viaggio – ammettendo che siano presenti i principali scrittori, bloggher, ecc – per poi scoprire che uno la vuole cartacea, un altro elettronica, aperta ai commenti, chiusa, con forum, senza forum…eccetera? Sarebbe meglio chiarire perché si vuole creare una rivista: obiettivi da raggiungere, prassi, persone, ruoli.
Va da sé che, senza contributi né spazi per una redazione, una simile rivista potrebbe essere soltanto (per ora) elettronica: d’altro canto, anche i grandi quotidiani stanno migrando sul Web.
I costi per una rivista Web sono bassissimi e facilmente sostenibili: più complessa l’organizzazione.

Anzitutto, serve un webmaster, il quale si occupi della gestione tecnica della rivista. Per sollevare il webmaster dal suo lavoro, dovrà essere individuata una figura di caporedattore, con la funzione precipua di programmare gli interventi. A sua volta, una ristretta cerchia di redattori lo coadiuverà presentando i brani (propri, d’altri, traduzioni, ecc, ma originali) pronti per la pubblicazione. Dovrebbe altresì esistere una figura simile all’addetto alle Pubbliche Relazioni, con il compito di ricevere la posta ed eventualmente smistarla. Un grafico per abbellire gli articoli con capacità d’elaborazione e gestione di più formati, grafici e multimediali.
In questo modo, il lavoro sarebbe equamente distribuito e meno gravoso per tutti: personalmente, non avrei remore ad accettare un po’ di pubblicità per coprire qualche costo e concedere qualche modesto rimborso spese per chi dovrebbe assumersi responsabilità (quindi, tempo) maggiori.

Ciò che viene proposto, ritornando all’incipit dell’articolo, è che gli intellettuali ancora presenti e non organici (torna la distinzione gramsciana…) al potere, si diano una sveglia e si rendano conto di quali sono i loro compiti storici all’interno della società che desiderano rivoluzionare.
Altrimenti, se non si è in grado d’assumersi quella responsabilità, è meglio lasciar perdere ed attendere che altri ci riescano, perché solo quella fase rappresenterà la rinascita della cultura (politica e non) italiana.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

[1] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/10/roba-da-pazzi.html

26 ottobre 2010

Roba da pazzi






Stavo per mettermi a rifinire l’articolo nel quale desideravo spiegare perché, non avevo accettato l’invito di Faremondo, a Bologna per il 24 Ottobre – non tanto perché la mia presenza contasse qualcosa, bensì per approfondire il discorso di “come” e “perché” “uscire dalla Rete” – quando mi sono imbattuto in uno di quei sassi che, se li “becchi di punta” come l’ho preso, ti fanno stramazzare con la faccia nel fango.
Roba del genere dovrebbero pubblicarla solo per i minori di 12 anni e per gli over-90, perché tutti gli altri – se solo si rendessero conto di quel che c’è scritto – dovrebbero sobbalzare sulla sedia e chiamare i Pompieri, i Carabinieri, Terminator, John Wayne…il Mago Otelma…

Repubblica, riporta[1] un articolo comparso sul Financial Times Deutschland a firma di Juergen Stark: Stark è membro del consiglio della Banca Centrale Europea, un personaggio molto vicino al suo Presidente, il francese Jean-Claude Trichet. Ergo, questo è il “verbo” della BCE, non un’illazione, una fanfaluca, una “voce dal sen sfuggita”, una battuta, una barzelletta. Sembrerebbe, dunque, una cosa seria.
Difatti, il tono di Stark è serissimo e lapidario, al punto che è persino difficile immaginare le solite, fiacche “smentite”:

Quello che ci serve è una vigilanza fiscale e macroeconomica de-politicizzata, regole di bilancio più forti e più severe, meccanismi di sanzione più semplici quando tali regole vengono violate e uno stretto coordinamento in politica economica. Una sorveglianza depoliticizzata può essere meglio realizzata da un organismo indipendente, che sia ufficiale o non ufficiale.”

“Con quella bocca può dire ciò che vuole!” – verrebbe da dire – se Stark fosse persona che si rende conto di quel che dice. Probabilmente no: mi sa che Jeurgen Stark è uno di quei tizi che, nelle amministrazioni, vengono scherzosamente definiti “gole profonde”. In pratica, quando si vuole far sapere erga omnes qualcosa, si va dalla “gola profonda” e si sussurra al suo orecchio la notizia, aggiungendo l’ovvia precauzione della segretezza. Il gioco è fatto: dieci minuti dopo, lo sanno anche quelli che erano fuori sede per servizio.
Se, invece, dovessimo – e, trattandosi di una fonte ufficiale, dobbiamo considerarla attendibile – saremmo oramai nell’ambito della cospirazione.
La giustificazione di tanto ardire? Eccola:

Vi è il rischio che il consolidamento di bilancio divenga meno importante, non appena un certo grado di riduzione del disavanzo avrà calmato i mercati”.

Qui, il buon Stark, è nella versione “babau”: siamo dunque in presenza non solo, come prima ipotizzavamo, della solita “lingua assatanata”, pronta a rivelare anche chi si tromba l’addetta alla triturazione dei documenti “sensibili” della BCE, bensì di un robottino giapponese multifunzione. Lo volti, apri la zip celata nelle pieghe della giacca, accendi il monitor e selezioni la voce desiderata.
Il menu è ridotto e non comprende alcune funzioni avanzate, che erano invece presenti in quello della famosa spia russa, detta, appunto, “Anna la Rossa”: tornata in Russia, hanno selezionato il menu “Calendari sexy” ed il prodotto, immediatamente, s’è materializzato[2]. Non siamo a conoscenza se tale menu sia presente nel display di Stark: d’altro canto, la cosa non ha nessuna importanza per quel che andremo a trattare.

Juergen Stark è una “scheggia impazzita” del sistema? Uno che si è bevuto troppi Martini, ed è finito per farsi pagare l’ultimo dal solito giornalista gossiparo di turno? No, non è così.
Il suo “capo”, niente di meno che il gran Presidente della BCE Trichet – dopo aver spento il robottino-Stark – spiega:

“…che il consolidamento dei bilanci è essenziale alla ripresa e l'ultima versione definita del Patto di stabilità e crescita può andare bene per l'intera Unione europea, ma non è sufficientemente ambiziosa per il gruppo dell'Eurozona.”

Tiriamo le somme.
La BCE non considera più affidabili le istituzioni politiche europee: fatevi da parte – dice – adesso l’economia la regoleremo noi, vi piaccia o non vi piaccia.
Non siete abbastanza “ambiziosi” e, dunque, dovremo fare noi il vostro lavoro: sembra di sentir riecheggiare le parole, un poco ambiziose e parecchio blasfeme – “facciamo il lavoro di Dio” – di Lloyd Blankfein, il gran capoccione di Goldman & Sachs.
Queste cose non sono proprio una novità ma, dette in questo modo – senza peli sulla lingua – sembrerebbero indicare che lo scontro, all’interno delle istituzioni (!) europee, è oramai all’arma bianca.

Il dibattito si sposta dunque sul piano del cosiddetto “complottismo” il quale – dopo le parole di Stark, e ci meravigliamo che nessuno dei cosiddetti siti dell’informazione “alternativa” ne abbia compreso la gravità – “scade” a mera cronaca. In altre parole: questa gente non complotta più nulla nelle spelonche dell’economia globalizzata. Ce lo dice in faccia: fatevi da parte e consegnateci le vostre vite. Perché?

Diamo un’occhiata, prima, all’impianto europeo.
Si va a votare e s’eleggono i rappresentanti al Parlamento Europeo, e qui c’è il primo stop.
Logica vorrebbe che, quei parlamentari, eleggessero una maggioranza la quale esprimesse una sorta di Primo Ministro europeo. Invece no: i governi dei vari Paesi s’accordano ed eleggono una “Commissione Europea” ed il relativo Presidente.
Già qui c’è un vulnus: non è la stessa cosa se, ad eleggere il Primo Ministro Europeo (o come lo vogliamo chiamare), sono dei rappresentati (almeno!) eletti o dei Governi – certo, anch’essi eletti – perché nel secondo caso non si tiene più conto del principio di rappresentanza.
Insomma, chi decide? I parlamentari – che sono eletti in base alla popolazione residente – oppure dei governi che, domani, potrebbero cambiare? E ciò avviene di regola, non come eccezione.

Il secondo vulnus riguarda ciò che dovrebbe stare “sopra” l’impianto, ossia una legge generale contenente i principi generali, gli obiettivi e la prassi politica. Normalmente, tale legge viene chiamata “Costituzione” ed è dal tempo delle monarchie assolute che se ne sente parlare. Insomma, non è proprio una roba uscita con l’ultima pubblicità di Mac Donald.
Se, da un paio di secoli circa, tutte le nazioni si sono dotate di uno strumento insostituibile per codificare la vita democratica – “l’essenza” d’ogni democrazia – l’evidenza che l’UE non possiede un simile strumento la connota non più fra le istituzioni democratiche, bensì fra i regimi assolutistici. A meno di pensare che un escamotage come il Trattato di Lisbona sia qualcosa che assomiglia ad una Costituzione: al che, si potrebbe ribattere che anche un carro da buoi assomiglia ad un tram.
In sintesi, l’UE non è una costruzione democratica: questa non è un’opinione, né una pozione di veleno e nemmeno il frutto di chissà quali elucubrazioni complottiste. E’ nei fatti, ampiamente dimostrati.
Qualora esistesse una Costituzione Europea – denominata tale – un Presidente Europeo demandato a farla rispettare, un Primo Ministro eletto da un Parlamento, a sua volta eletto dai cittadini, quella sarebbe – nelle forme – una costruzione democratica. Non altro: il resto, sono soltanto pasticci.

E’ chiaro che, in una costruzione così “pasticciata” – per usare un bonario eufemismo – tutti possono reclamare una fetta di potere o vantare titoli per farlo.
La situazione – allo stato dell’arte – è questa: s’elegge un Parlamento, il quale non si capisce bene che rapporto ha con l’effettiva guida/controllo dell’Unione. I Capi di Stato eleggono poi una Commissione, la quale nomina il suo Presidente ed un responsabile per la Politica Estera.
Siccome c’è un evidente – ma solo apparente – vuoto di potere, chiunque si sente autorizzato ad inserirsi per manovrare le leve del potere.
Facciamo finta di seguire Stark nelle sue “esternazioni”.

Eleggiamo il Parlamento, eleggono la Commissione, eccetera, eccetera…poi, appena c’è da prendere una decisione economica: STOP!
Arriva il Presidente di turno della BCE che detta l’agenda: dunque…no, secondo i nostri calcoli…la vita lavorativa deve iniziare a 14 anni e terminare a 71…questo per il bilancio, per la solidità della costruzione europea, per il fulgido avvenire dell’Unione. Sembra d’ascoltare il Re Sole.
Le popolazioni europee avranno diritto d’esser malate, e l’UE avrà il dovere di rispettare questo loro diritto, ma senza intervenire, sia chiaro! Ciascuno è libero d’ammalarsi come desidera – siamo liberali! – ma non interverremo con nessuno strumento che concerna la sua malattia. Detto fra noi, cari amici del Consiglio della BCE, questa Sanità ci fa spendere un sacco di soldi: che facciamo, ce li spartiamo noi, oppure…
Coro: A noi! A noi! A noi!

Chissà cosa penserebbero i lontani artefici della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio: alla fine del percorso – dalla nuvoletta dalla quale osservano – potrebbero vedere la loro creatura governata da un consiglio d’amministrazione di una banca privata!
Le vite, le speranze, le decisioni, le fantasie, le gioie ed i dolori, gli ideali…tutto dovrebbe finire in un bel bilancio a partita doppia, con il banco che sempre vince, perché quella è la regola numero uno che sempre deve essere rispettata.

Qualcuno potrà dire “io l’avevo detto!”: certo, anch’io, più volte, avevo ricordato che i consessi semi-occulti internazionali sono le vere entità che governano il Pianeta. Lasciano sul proscenio i loro fantaccini politici, così se c’è da prendersi qualche pomodoro o qualche uovo in faccia risparmiano di far lavare la camicia a spese della banca.
La dichiarazione di Stark, però, traccia un discrimine, sintetizza ed esprime – con una chiarezza disarmante! – una corrente di pensiero semplice: siamo noi gli Dei del denaro, coloro che lo fabbricano e lo gestiscono. Il denaro tutto misura, tutto concede e tutto esclude: siccome siamo i maggiori esperti, lasciate fare a noi, a Juergen il Magnifico ed alla sua Corte.

Come potrete notare, non ho nemmeno menzionato la parola “signoraggio”, perché siamo già oltre: siamo alla Signoria! Bancaria.
In tempi normali, un tizio che esprimesse una simile, spregiativa dichiarazione, uno sberleffo a due secoli di conquiste democratiche, andrebbe processato. Robe da Pazzi: già, come un’antica Congiura.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.




25 ottobre 2010

Monnezza…zzà…






Signor Marchion
coi pulloverini
con i tuoi sermoncini
da vecchi abatini

Signor Marchion
con le macchinine
che non vanno avanti
se ne fan pochine.

Noi siamo in tanti qua
già ti chiamiamo papà
di quei papà che si disconoscono
siamo l’italia si sa
non è un gran che, concediam
ma quando c’è da mungere ci siete sempre tutti…

Signor Marchion
con quei miliardini
che tu dici stranieri
che tu dici corsari

Signor Marchion
quanto hai beccato in passato?
Lirette euri
e centesimini.

Signor Marchion lo sai?
sotto quel cul se ce l’hai
quella FIAT te l’abbiamo messa noi!

Ora paghiamo te,
un tempo era anche il re
che chiamavamo pure avvocato.
Non ci ripetere che
“la FIAT è tutti noi”:
c’accorgevamo quando venivate a mungere.

Caro Marchion
non è colpa tua
se la Emma è più bella
se la Emma è più cara

Caro Marchion
coi pulloverini
mi sa che Emma ti frega
con gl’inceneritorini

L’amico suo Marroncini,
per far piacere alle amiche
è pronto anche
a mandare la Folgore.
Tu prova un po’ se ci riesci
cambia pullover e cresci
prova in Brasile e fatti due tette da sballo!

oppure…

fai camion trituratori
poi carri distruttori
missili perforatori
cannoni dissolvitori…

E se ancor non ti riesce,
fai astronavi…
per portare la monnezza in orbita!

monnezza zzà….
monnezza zzà…
via tutti di qua…
monnezza zzà…

19 ottobre 2010

Itala





Itala era proprio una bella bambina. Chissà perché i genitori – in quei teneri e violenti anni ’70 – decisero di porle quel nome, desueto per l’epoca: forse per celebrare una nonna, oppure per omaggiare un grande scrittore dell’epoca, Italo Calvino. Mai lo sapremo.
E crebbe, venne su alta e bella, perché c’erano oramai a disposizione sufficienti proteine per tutti ed i genotipi, stipati e repressi negli angusti corsetti della guerra, riuscivano finalmente ad esprimersi al meglio nei loro fenotipi: mica come per quelli nati nel primo dopoguerra, che riso castagne e latte, oppure l’onnipresente pancotto, faticavano a modellare seni e glutei.
Per Itala, i genitori – come, d’altro canto, tutti i genitori – immaginavano un futuro tranquillo ma gioioso: erano due genitori “scafati” dalle sirene della felicità e sapevano che, star fuori dalle disgrazie e permettersi ogni tanto una pizza, era già un buon vivere. Qualcosa che si poteva, ed all’occorrenza si doveva, accettare.

Papà e mamma lavoravano entrambi ed avevano delle certezze, che comunicavano alla figlia ogni giorno, a pranzo ed a cena, senza aver la pretesa di comunicare nulla. Così, con la naturalezza di chi spezza il pane e versa il vino.
Si facevano spesso premura di ricordarle che l’educazione e il rispetto sarebbero sempre state un buon viatico, in ogni situazione: dalla scuola al lavoro, ma anche nei rapporti con i coetanei e persino nei sentimenti.
Pariteticamente, le insegnarono che non era assolutamente dignitoso – come donna e come persona – accettare soprusi, dileggi ed ingiustizie senza puntualizzarle, senza protestare e coinvolgere gli altri nella lotta contro l’iniquità. Anche a costo di rinunciare alla pizzeria settimanale con gli amici.
Itala ascoltava ed imparava, mentre fuori andavano in scena rappresentazioni che erano difficili da comprendere: perché uccidere e storpiare le persone avrebbe condotto ad una società più tollerante e più giusta? Qual era il nesso?
Perciò, Itala – un po’ per la giovane età, un po’ per le raccomandazioni dei genitori – trapassò quegli anni senza concedere niente al tumulto che, come un magma, le circolava attorno e decise che avrebbe continuato a seguire i consigli dei suoi genitori, anche se qualche volta le parevano un po’ stagionati…ma ci sarebbe stato tempo per meglio meditarli e generarne altri, magari da comunicare a sua figlia…

Ma la vita non sempre scorre come un tranquillo rigagnolo di pianura, uno di quei fossi ai lati delle stradine campestri che mai s’inquietano, mai s’arruffano e dove solo la tinca – che con un guizzo acchiappa la pulce d’acqua sulla superficie – riesce a tormentarne, per un solo attimo, l’immutabile destino.
A volte la vita s’inerpica per vie ch’appaiono all’improvviso, si fa seguire senza chiedere né un consenso e né un perché: ostinatamente, inesorabilmente, ti lega e ti trascina come ancora strappata al fondale dalla tempesta.
Prima di scoprire, però, i destini ai quali Itala – suo malgrado, oppure seguendo semplicemente la via, senza porsi problemi – fu attratta e, infine, cooptata, dobbiamo descrivere brevemente quella che fu la sua adolescenza, come s’appressò alla vita.

Benché educata in modo tradizionale ma libertario, Itala non viveva fuori del suo tempo: non di rado indossava la minigonna, oppure trascorreva la sera al bar dei giardini, dove la gioventù del quartiere chiacchierava, secondo il sesso d’appartenenza, di ragazze e motorini oppure di ragazzi e vestitini.
Ci fu anche qualche tenero amore adolescenziale, seguito da qualcosa di più serio che papà e mamma osservarono con molta attenzione, quando Itala azzardò d’aver invitato Alberto con una scusa – i suoi genitori erano dovuti partire all’improvviso…una zia in Veneto che stava male…lui era solo a casa… – per una cena. Una cena senza formalità, ovvio, nessun impegno, chiaro, nessun legame da una parte e dall’altra: logico, evidente, senza alcun dubbio. Una “passata” ai raggi X senza referto.

Proprio quella sera, però, la cena iniziò con qualche minuto di ritardo – con gran apprensione di Itala e qualche sguardo interlocutorio ed agitato d’Alberto – perché c’era una partita di calcio in TV. Giocava la squadra del cuore di papà e – anche se non era la stessa d’Alberto – il ragazzo ben comprese: al cuore del calcio non si comanda.
Papà magnificava che – vivaddio! – era finito quel monopolio televisivo, quella prigione dove soltanto la RAI poteva trasmettere le partite di calcio! Finalmente, una sparuta pattuglia d’imprenditori indipendenti avevano preso coraggio e sfidato il colosso statale! Era ora!
Papà non era certo un nemico del potere statale – a volte, quando c’era da pagare la solita una tantum sì…ma non era così fesso da non comprendere che, senza Stato, non ci sarebbe stata la certezza del Diritto, e dunque ordine ed un po’ di giustizia sociale (quella, a suo dire, era ancora poca, ma col tempo…) – ma nel caso del calcio non voleva sentire obiezioni: più calcio per tutti! Democraticamente!
Alberto fu d’accordo, anche se colse il coraggio a quattro mani quando osò insinuare che sì…che era bello poter vedere una partita del Milan, ma che lui avrebbe gradito vedere anche la Juve!
Papà fu d’accordo con Alberto – ovvio, la democrazia fra tifosi non ammette remore né interpretazioni teleologiche dei rispettivi diritti – ma non trascurò di lanciare la frecciatina finale: se quel Berlusconi, Presidente del Milan, aveva impiantato delle televisioni – addirittura gratuite! – per sollazzare i tifosi della sua squadra, perché l’Avvocato Agnelli – ricco come il mare, potente come Nettuno – non faceva altrettanto?
Eh sì, “touché”, pensò Alberto: in fin dei conti, con la potenza della FIAT…un bel canale “Solo Juve”: eh, mica ci sarebbe stato male…

Mentre la mamma si premurava – fra un goal sempre ricordato e mai ammesso come fasullo, ed il futuro acquisto di un rinomato campione – di sapere se sì, insomma, se terminato quel Liceo…quale Liceo? Ah sì, quello Scientifico, insomma, cos’aveva in mente…Itala si sentiva un po’ sola, e quasi finì per tenersi compagnia con la gondola che stava sulla credenza, ricordo del viaggio di nozze dei genitori.
Quando, però, Alberto – con nonchalance, ma calcando con sicurezza le poche parole – affermò “m’iscriverò a Medicina, vorrei fare l’ortopedico” la mamma si sentì protetta e tranquilla, per tutte le future e possibili fratture e persino per i geloni ai piedi, che la facevano così soffrire.
Passarono gli anni, Itala conobbe Marco che lavorava in una fabbrica di serramenti, Alberto divenne ortopedico e lo rividero, tanti anni dopo, quando Marco si ruppe una caviglia sulle piste del Sestrière. Fu quasi una rimpatriata: mamma rifletté che non avevano mai più avuto problemi con le tapparelle, ma che i suoi geloni – soprattutto nei cambi di stagione – continuavano a tormentarla.

Ma al cuore ed al calcio non si comanda e, mentre papà trascorreva sempre più tempo a seguire il Milan – dopo la cassa integrazione era “scivolato” nella mobilità “lunga”, fino al prepensionamento – Itala aveva iniziato a lavorare in banca. A coronare i suoi sogni, aveva sposato Marco.
Tutto a posto, tutto normale, tutto nella regola di un ruscello che aveva continuato a scorrere tranquillo ma – all’insaputa di tutti – quel corso d’acqua aveva iniziato a scorrere in un nuovo percorso, aveva cambiato letto e scenario, e neppure la tinca s’era più vista. Dicevano a causa dei diserbanti.
Finalmente, anche la mamma riuscì ad andare in pensione ma Itala viveva oramai nella nuova casa e, presto, sarebbe nata Valentina: tutti aspettavano che la vita, con un nuovo tassello da incastonare, si perpetrasse.

Nella oramai vuota casa dei genitori, la televisione irrompeva, dettava, invitava, sentenziava. Nel silenzio/assenza della figlia già grande, nel clamore dei 22, poi 26…infine 32 pollici…era diventata la regina della casa.
Tutto ciò che, prima, era oggetto di discussione a tavola, s’era trasformato in un “precotto” del tutto simile a quelli che mamma ogni tanto comprava all’hard discount, perché era più vicino della macelleria e continuavano a farle male i piedi.
Ciò che la televisione trasmetteva non era solo precotto ma pre-digerito: era tutto così semplice da capire! Bastava guardare le immagini, solo quelle!
Era chiaro che, se aveva vinto quel che aveva vinto con il Milan, quel Berlusconi era un uomo in gamba: dunque, lasciatelo fare! Se le cose non vanno, è perché non lo lasciano fare! E poi, è così facile capire! Anche quel Bossi – sarà pure un po’ rincoglionito – ma ha ragione! Quei negri che arrivano tutti i giorni con le barche, cosa vogliono? Non possono stare a casa loro? Perché dobbiamo mantenerli a nostre spese e poi non c’è posto all’asilo nido per Valentina?
Mamma pensava che era, nonostante gli anni, un bell’uomo e che male aveva fatto la moglie a tradirlo. Così aveva raccontato la TV: e poi, avevano anche fatto vedere le immagini di quando lei ballava con le tette al vento…eh, con chi s’era andato a mettere quel pover’uomo, pieno di fastidi e di preoccupazioni…in fondo, se era rimasto solo e qualche volta…che sarà mai una prostituta, sono sempre esistite…
Però, che pensava a Berlusconi come ad un bell’uomo, a papà non l’aveva mai detto, neppure per scherzo: lei non era mai andata in giro mostrar le tette, e papà l’aveva scelto, unico amore, senza ripensamenti.

Itala e Marco avevano invece altri grattacapi per la testa: se la banca “teneva”, la fabbrica di Marco stava andando a rotoli. Chissà perché, alla fine del rotolamento, c’è sempre la Polonia o la Serbia. E, a Marco, quel “rotolamento”, iniziava a dare sui nervi, a stirarglieli, a piallargli la mente, al punto che oramai prendeva quattro pastiglie il giorno per tenerla a freno.
La sera, mentre Itala imboccava Valentina nel seggiolone, lui trangugiava in fretta la minestra e non aspettava nemmeno il secondo: correva al computer, perché era iscritto a diversi forum e non voleva far mancare le sue opinioni.
Da quando aveva visto gli stessi serramenti in un ipermercato – ma proprio uguali! Stessa marca! Stesse condizioni! – pressappoco allo stesso prezzo ma costruiti in Polonia, Marco aveva iniziato ad odiare i polacchi. E dopo i polacchi i lituani, e poi i serbi, e che Dio si porti via per sempre tutta quella schifezza umana.

Così, quelle rune che talvolta aveva visto vergate sui muri, corredate di sigle e scritte incomprensibili, avevano iniziato a raccontargli una storia nuova: erano i simboli della riscossa e dell’onore, per chi voleva i serramenti suoi a casa propria. Anzi, no: non proprio a casa, nella vecchia fabbrica, quella che era chiusa da un paio d’anni e che sembrava dovesse esser ristrutturata per diventare un supermercato.
Nelle sue fantasie notturne – mentre Itala dormiva col sonno leggero, pronta a rispondere alle richieste di Valentina, ai suoi mal di pancia e di denti – Marco si vedeva come il terminator, quello con il mitra dai mille colpi…ammazzava, uccideva, sparava su quei corpi – neri, biondi, gialli, non importa – poi giungeva la pace, finalmente, come un orgasmo.
Allora, nel buio profondo nel quale precipitava, aspettava Gianni all’angolo prima d’entrare in fabbrica, si scambiavano quattro battute prima d’inserire il pass alla portineria della fabbrica – che era di nuovo tale e quale: anzi no, era più luminosa, moderna, accogliente… – c’erano anche Rosario e la Luisa…che fica la Luisa, ed anche un po’ troia…va beh, adesso sarebbe stato inutile raccontare tutto ad Itala, tanto…

Fra un sogno l’altro, una sera come un’altra, Marco – non si conoscono con precisione i motivi – forse incluse Itala nel suo incubo e la riempì di botte mentre Valentina urlava, disperata, dal seggiolone. I dottori dissero ch’era intervenuto un fattore di “sbilanciamento” nella terapia farmacologica.
Itala guarì in un paio settimane dalle botte e non lo denunciò: pensò a Valentina, alla sua Valentina che era con i nonni e no, non volle immaginare un processo di mamma contro papà. Non era nei suoi ricordi, non era presente nel suo DNA.

Oggi, Itala è tornata a vivere con i suoi genitori e di Marco sa poco: con un po’ di fortuna è riuscita a vendere la casa e ad estinguere il mutuo però Marco – oramai disoccupato cronico – non le passa un soldo ed Itala è stata costretta ad intaccare quel gruzzolo – che, in origine, pensava destinato al futuro di Valentina – per pagare la badante per papà. Già, quel maledetto ictus che l’aveva lasciato come un vegetale: un vegetale che, però, doveva essere innaffiato ed innaffiava a sua volta a tutte l’ore. Meno male che, almeno di giorno, c’era Irina, altrimenti la mamma non ce l’avrebbe fatta.
Marco – lo lesse sul giornale – era stato arrestato e processato con un gruppo di ultrà che avevano mezzo distrutto uno stadio: il giornale raccontava che quegli ultrà facevano parte di una formazione d’estrema destra e il giornalista iniettava il sospetto che qualcuno li pagasse e li rifornisse di droga. Itala, in cuor suo, decise di non voler sapere più nulla di Marco.

Oggi, nessuno pranza e cena più assieme: a pranzo, Itala si ferma in banca mentre Valentina mangia all’asilo. La mamma mangia qualcosa con Irina, che parla un po’ d’italiano, ma ancora faticano a capirsi.
La sera, Itala mette a letto Valentina mentre la mamma ha già cenato e guarda la televisione, con l’orecchio attento alla stanza da letto: non si sa mai, se papà…
Dopo cena, Itala è stanca, tanto stanca, troppo stanca, al punto che nemmeno ha voglia di televisione o di Internet: già gli tocca un monitor tutto il giorno, in banca…
Qualche sera, quando proprio ha bisogno di sentire che qualcosa di diverso accade, ordina una pizza e se la fa portare a casa dal servizio “Pizza Express in 5 minuti”.
Mentre, sola, taglia gli spicchi e li porta alla bocca, le tornano alla mente le sue sere di ragazzina, quando andavano tutti insieme a mangiare la pizza da Zì’ Totonno”, giù all’angolo. E c’era sempre qualcuno da incontrare, qualcuno da salutare, mentre il signor Antonio – il proprietario – portava in omaggio quei vasetti con le olive nere che raccontava “erano del paese suo”. Lontano, soleggiato, rimpianto e mai dimenticato.

Uno scrittore che si rispetti deve saper scrivere un epilogo, ma non è assolutamente detto che chi scrive sia uno scrittore di tal guisa. Oppure, questo potrebbe non essere un racconto breve e potrebbe invece diventare la scarna traccia di un film.

L’unico epilogo che sale alla mente – un poco onirico, un po’ trasfigurato – è quello di una giornata soleggiata, con molte nubi che il vento spariglia in cielo: la stessa nella quale una trepidante Itala aveva invitato a cena un timido Alberto. Mentre le nubi corrono veloci in cielo, a terra una brezza solletica le maniche della camicia, al punto da far accapponare la pelle delle braccia.
Le braccia di un uomo seduto nella pianura infinita delle mille risaie, dove migliaia di rigagnoli s’incrociano, partono e giungono a nuovi gangli, per dipartirsi di nuovo, all’infinito. Ed è un giorno di Primavera, di tanti anni fa.
Ogni rigagnolo ha un nome, ogni fosso una sua storia e la sua tinca. A ben cercarlo, ci sarà anche il rigagnolo di Itala: quello di Valentina ancora doveva esser tracciato.

Qualcuno, quel giorno – un attento viaggiatore sarebbe riuscito a notarlo – manovrava un’antica chiusa, grande, un po’ rugginosa, che irrorava migliaia di rigagnoli da sempre, da generazioni.
Manovrò, s’ingegnò, rimosse, cambiò: poco o tutto sappiamo su quel che successe, e poco o tutto possiamo fare per rimediare. Chissà cosa sarebbe successo, se non ce l’avesse fatta a sollevare la chiusa.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

18 ottobre 2010

Cronaca: il solito rumeno assassino





La notizia che per l’assassino di Roma – Mariu Hahaianu, il rumeno che ha brutalmente ucciso l’infermiera romana Alessia Burtone, sposata e madre di un bimbo di tre anni – è stata chiesta la detenzione in stato di completo isolamento fino al giorno del processo, non ha stupito nessuno.
E’ stata invece respinta dai magistrati di sorveglianza la richiesta d’applicare al carcerato il regime restrittivo dell’articolo 41 bis, giacché l’omicida non sembra far parte della criminalità organizzata: qualora, nel prosieguo dell’indagine, venissero alla luce eventuali affiliazioni del Hahaianu ai clan della mafia rumena, la sua condizione carceraria sarà immediatamente ripresa in esame.

Nel frattempo, a casa della povera Alessia Burtone – nel popolare quartiere romano di Cinecittà – continuano le manifestazioni di solidarietà nei confronti della famiglia: mentre i familiari sono stretti nel dolore e nel riserbo, parlano le amiche, gli amici, i conoscenti della povera infermiera assassinata.
“Era una brava ragazza” – dicono di sfuggita – scuotono la testa e si nota che stentano a trattenere le lacrime: un giovane, ripensando a quando fu ricoverato per un incidente stradale, la ricorda come un “angelo della corsia”.

La Polizia sorveglia, ma non interviene, nei confronti di un gruppo legato ad ambienti dell’estrema destra romana che ha eretto un gazebo non lontano dall’abitazione della sfortunata ragazza: raccolgono firme a favore della pena di morte.
Intervistati da un cronista di una testata giornalistica romana, hanno riferito che le persone “quasi arrivano a frotte”, chiedendo d’apporre la propria firma per una legge d’iniziativa popolare che operi una revisione del Codice Penale. In sintesi, nei casi d’omicidi efferati – proprio com’è avvenuto per la povera Alessia – si chiede il procedimento per direttissima e la conclusione dell’intero iter, i tre gradi di giudizio, entro un anno.
Al pronunciamento della Cassazione, la sentenza diverrebbe immediatamente operativa e l’esecuzione – mediante fucilazione – seguirebbe di poche ore. Secondo la bozza presentata dal gruppo, non sarebbe da prevedere la possibilità della grazia per i cittadini stranieri, trattandosi – per loro – del Capo di uno Stato estero.

Le forze politiche tacciono e nessuno esprime giudizi, salvo un generico: “la giustizia faccia il suo corso”.
A microfono spento, però, alcuni esponenti della destra parlamentare ed extraparlamentare – compresi alcuni esponenti della Lega Nord – si sono dichiarati d’accordo per l’iniziativa a favore della pena di morte, soprattutto se il crimine – come nel caso della povera Alessia – sia stato commesso da uno straniero.
Gli unici atti ufficiali sono stati le decisioni di presentarsi come parti civili da parte del Comune, della Provincia di Roma e della regione Lazio. Uno scarno comunicato congiunto, afferma: “Di più, non è possibile fare.”

Sul fronte delle indagini, non ci sono novità: il filmato ripreso dalla telecamera della metropolitana ha evidenziato non solo il violento pugno sferrato alla povera Alessia dal Hahaianu, ma la sua fuga senza il minimo tentativo di soccorrere la povera infermiera.
Il GIP, commentando quelle immagini, ha affermato che l’immediato arresto – vista l’imputazione d’omicidio volontario – era quasi “un atto dovuto”: a microfono spento, ha dichiarato che spera per l’assassino il massimo della pena, ossia l’ergastolo.

L’assassino, rinchiuso in una cella d’isolamento a Regina Coeli, viene definito “in stato confusionale”: piange, si dispera e chiede continuamente scusa per l’accaduto.
Dalla Romania partirà probabilmente una richiesta d’estradizione ma il GIP, interrogato al riguardo, ha solo risposto con una smorfia del viso. Più che eloquente.
Possiamo dunque prevedere il processo in tempi brevi – vista la linearità della vicenda e le scarse prove documentali necessarie – che tutti sperano conduca ad una condanna esemplare.

Durante la conferenza stampa, ironia della sorte, dedicata alla riforma della Giustizia, il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non ha voluto parlare del caso.
Sollecitato, però, da una giornalista ad esprimere un parere del tutto personale, ha affermato: «Questa vicenda c’insegna che la Giustizia deve essere rapida ed inesorabile, soprattutto nei confronti di chi viene nel nostro grande Paese non per lavorare onestamente, bensì per delinquere ed attentare alla vita d’inermi cittadini italiani. Spero, e voglio credere, che i giudici saranno all’altezza dei compiti loro assegnati.»

Esegesi

E’ sin troppo facile ribaltare una vicenda, per come sarebbe probabilmente andata a parti invertite: bisogna fornire una spiegazione.
La disparità di giudizi, nei due casi, non attiene – superficialmente così potrebbe apparire – allo scontro fra due culture, due etnie o due civiltà, poiché le culture, le etnie e le civiltà posseggono tutte un codice d’onore che si applica erga omnes, proprio perché viene universalmente riconosciuto all’interno di quella cultura, civiltà od etnia.
Le uniche affiliazioni, che possono spiegare una simile disparità di giudizi, sono quelle che attengono alle organizzazioni mafiose le quali, pronte a difendere alla morte un loro affiliato, non sprecano un centesimo per quello del clan vicino.

Come potrebbe essere altrimenti, per un Paese nato da genuini sussulti risorgimentali, che furono dapprima tutti annegati nel sangue – affinché anche la minima goccia di sangue giacobino fosse distrutta – per poi ripresentarli in forma riveduta e corretta con la conquista, da parte di un reuccio indebitato, dell’intero malloppo? Crediamo bene che stentino a trovare valori, veri intellettuali e più di qualche comparsa per festeggiare i 150 anni dell’Unificazione.
Così fu anche per le nostre avventure coloniali.

Mentre la Gran Bretagna lasciava in India uno dei migliori sistemi scolastici del pianeta – ed oggi se ne vedono i frutti – e la Francia lasciava, almeno, l’impronta di una cultura (benché più volte calpestata nei fatti), l’Italia ha lasciato a Mogadiscio l’incapacità totale d’esprimere una classe dirigente. E’ lì da vedere.
Ha lasciato nei Balcani conati di vomito nei nostri confronti, peggiori persino di quelli dei nazisti, perché gli italiani erano sempre pronti a vendersi al miglior offerente. I tedeschi, almeno – crudeli fin che si vuole – erano (e sono) percepiti come persone con una parola sola.
Abbiamo ricevuto in pompa magna un capataz come Gheddafi, ma nessuno ha raccontato agli italiani quali furono le terribili nequizie commesse ai danni di quel popolo: Gheddafi, da buon italiano “adottivo”, ha svenduto la dignità del suo popolo in cambio di qualche fetta di ENI e di banche lombarde.
In compenso, possiamo andare orgogliosi d’aver esportato negli USA il miglior (!) sistema mafioso che esista e che nessuno, finora, è riuscito ad eguagliare.

Per questa serie di ragioni d’ordine storico (è solo un breve sunto), non possiamo reagire in base a principi quali il Diritto, la Cultura e la Civiltà: afferriamo come ancora di salvezza una lontana civiltà latina, ma i più poco sanno – di là della retorica imperante – cosa fu veramente.

Andiamone fieri: siamo i gran detentori dei valori mafiosi del Pianeta. Nessuno può starci accanto: siamo forti.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

14 ottobre 2010

Ma che bella balla!

Scoprire l’acqua calda, anche se la si scopre qualche giorno prima degli altri, è pur sempre una scoperta. Ci riferiamo a quanto ipotizzavamo per il “federalismo fiscale” nei precedenti articoli, quella roba marcia che la Lega Nord spaccia per la panacea contro ogni male italiano.
Oggi, la UIL[1] – mica il Partito Kumunista Kattivone – scopre che si risolverà in una “tosa” per gli italiani, ma che quella “tosa” sarà attenta, per non far troppo male alle bestie che devono votare.

Una prima considerazione è che del “federalismo fiscale” non si parla per definire cos’è e quali vantaggi potrà eventualmente portare, ma soltanto per capire chi pagherà e basta.
E, attenzione, dagli aumenti delle aliquote IRPEF a favore delle Regioni, saranno scorporati gli eventuali aumenti per chi ha “sforato” la spesa sanitaria.
Della serie: ci mangiamo a quattro palmenti sulla farmaceutica, riempiamo le strutture sanitarie di personaggi che non devono rispondere per meritocrazia od efficienza, bensì soltanto per fedeltà elettorale o, più semplicemente, per nepotismo. Mettiamo nel conto anche le escort (vedi chi pagava la D’Addario), poi…quando la spesa “sfora”? Che paghino!

Ovvio che, il “federalismo fiscale”, è a parte: è una tassa diversa, solo che non si deve chiamarla tassa perché noi del centro destra non tassiamo nessuno, realizziamo senza tassare, siamo già oltre i miracoli.
E andiamo a vedere cos’hanno in testa Berlusconi, Bossi, Calderoli e tutta la Banda Bassotti.

Per mesi ci hanno raccontato che il “federalismo fiscale” sarebbe stato l’architrave di una nuova società più “giusta e responsabile”, ed in questo anche una serie d’allocchi di centro sinistra li ha seguiti senza fiatare: ricordiamo che Di Pietro non si astenne per il cosiddetto “federalismo demaniale”, bensì votò a favore.
Se poniamo attenzione agli scaglioni di reddito che saranno tassati per finanziare Sua Regalità Calderoliana il “federalismo fiscale”, scopriamo che c’è una “soglia” di 28.000 euro lordi annui. Prima di quella soglia, si pagherà poco, dopo quella soglia saranno bastonate.
A quanto ammontano, in termini netti, 28.000 euro lordi annui?

Siamo intorno ai 1500/1600 euro mensili, euro più euro meno.
Chi guadagna cifre del genere e, soprattutto, le dichiara?

I lavoratori dipendenti, in special modo quelli del settore pubblico, perché i dipendenti privati delle grandi imprese guadagnano oramai un pezzo di pane, mentre quelli delle piccole imprese il resto lo prendono in nero.
E i lavoratori autonomi?

Viene da ridere, se pensiamo ad un lavoratore autonomo che – tolto qui, tolto là, defalcate le spese, tolto il computer nuovo acquistato per il figlio (ma fatturato all’azienda), più macchina, benzina e quant’altro… – dichiari 28.000 euro l’anno!
E lo posso dire senza temere d’essere smentito, giacché per anni sono stato in Consiglio d’Istituto e, nostro compito, era quello di formare le graduatorie per chi aveva diritto ad un contributo per i libri gratis. Io, che ero anche il Segretario (conservo copia dei verbali), mi trovavo a dover compilare le graduatorie con accanto le cifre dichiarate nei modelli 740.

E, il giorno dopo, tutti potevamo osservare che i nostri soldi – nostri in senso della collettività – s’erano trasformati in libri che salivano su dei brillantissimi SUV da (allora) 50 milioni. Mentre, la “beneficiaria” – se era una ragazzina – non aveva meno di un milione addosso fra scarpe, borsa, gonna e giacca.
Così, nel gran calderone calderoliano, si pescano i soliti noti: a quanto ammonterà il prelievo?

Sono circa 900 euro l’anno i quali, divisi per tredici mensilità, fanno circa 70 euro il mese oppure, se considerati come quota annua, sono una cifra con la quale si paga il riscaldamento o le assicurazioni: mica robetta. Per darli in mano a Bossi ed ai suoi picciotti, più la “trota”, sistemata in Consiglio Regionale a 12.000 euro il mese.

Adesso, staremo a vedere chi si mostrerà favorevole al provvedimento e chi, invece, avrà almeno il coraggio di votare contro: dopo tutte le manfrine che hanno occupato i giornali per tutta l’Estate, siamo curiosi di sapere cosa voteranno a sinistra ma, soprattutto, cosa faranno i “dissidenti” finiani e Casini.

Perché le chiacchiere, oramai, stanno a zero.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

11 ottobre 2010

Federalismo: ultima frontiera

Data stellare: 5269,2

Il bello del nostro Paese, quello dei miracoli e dei miracolati, è che ogni cosa ha sempre due significati: quello pubblico e quello privato.
Così è anche per il tormentone del federalismo, una salsa stantia che da anni ed anni ci perseguita, soltanto per consentire ad una forza politica , la Lega Nord, di poter affermare d’esser viva, anzi no, rivoluzionaria, anzi no, innovatrice, anzi no, risolutrice…forse vendemmiatrice? Talvolta, ma non si deve dire.

Così, per agitare qualche straccio verde padano – ossia per far vedere che, nonostante Fini, celannosempreduro – un governo allo sbando che naviga a vista, senza sapere se avrà più una maggioranza, si cimenta nell’impressa delle imprese.
Il giro del mondo in pattino a remi, la trasvolata dell’Artico appesi ad un fascio di palloncini, l’immersione per osservare l’Andrea Doria sul fondo, senza respiratore, nulla sono al confronto.
Si fa il federalismo, s’ha da fare. Così devono decidere, altrimenti la Lega Nord finisce per diventare soltanto il partito-zerbino che firma le leggi giudiziarie per Berlusconi, che ripiana il debito di Catania, generato dal medico personale del Capataz. Robe da socialismo reale nord-coreano.
E andiamo a vedere questo federalismo cosa propone. Tremonti spiega, e il giornale di Confindustria fedelmente riporta:

"L'Italia è l'unico Paese europeo che non ha finanza locale. Da noi è tutto centrale a parte qualche tributo locale. Con il federalismo fiscale si raddrizza l'albero storto e crediamo sia un meccanismo di riforma costituzionale.[1]"

Oh, che bello! Che bel federalismo madama Dorè, che bel federalismo! Lo “fammo strano” o lo fammo costituzionale? Ma fammolo costituzionale, che tanto va bene lo stesso! Il signore vuole una bistecca con l’uovo o proprio una bistecca alla Bismarck? Preferisce una valdostana? Ragazzo: aggiungi la fontina!

Lontano dalle facezie delle viuzze romane, fra un antiquario ed un salon de beauté che sforna veline a migliaia di euro il pezzo, dal buio dello zero quasi assoluto nello spazio profondo, ogni cosa appare illuminata.

Tutto è facile nell’ipermondo dell’iperministro che vive nell’iperspazio: prima del precedente salto nell’iperspazio, esisteva un tributo locale che si chiamava ICI. Poi, per conquistare il pianeta Gaia-dica33, la tolsero ed ora che facciamo, la rimettiamo? Così si potrà toglierla un’altra volta! Favoloso: è come il gioco delle figurine! Celo, celo, manca.

Ma, sia chiaro: noi non mettiamo le mani nelle tasche dei cittadini, in tutta la Galassia! Nessuno s’è mai visto nessuno sfilare uno zecchino da noi! Almeno, ufficialmente…se poi, Scajola, Bertolaso, Verdini…beh, sono cose a titolo personale…
Poco fa, l’astronave della BB è tornata per qualche secondo nel sistema Palazzo Chigi, in pochi minuti ha inviato a tutte le galassie il messaggio imperiale ed è nuovamente sparita nell’iperspazio.
Il messaggio che ha lasciato è chiaro: federalismo sì, costituzionale sì, bello sì, moderno sì, ricchi sì, felici sì, più tasse no. Insomma, basta crocettare tutto salvo l’ultima domanda e si prende 10.

Non sappiamo, però, se per un errore di decrittazione del messaggio, la questione s’è un poco complicata per quel:

Il provvedimento prevede la possibilità di aumentare l'addizionale Irpef regionale del 3% senza però prevedere altre norme di sgravio fiscale a livello di stato centrale.”

Perché, in quel caso – con quel 3% “senza però prevedere altre norme di sgravio fiscale a livello di stato centrale” – la pressione fiscale aumenterebbe del 3% e bisognerebbe crocettare anche l’ultima domanda e no, io non ci sto a prendere solo 8.
Per fortuna, giunge subito un messaggio da parte del prof. Roberto “Porquero” Calderoli:

La pressione fiscale complessiva rimarrà invariata, ma sulle fasce di reddito medio-alte potrebbe scaricarsi un lieve incremento dell'Irpef.”

Ah, meno male, adesso che lo dice lui possiamo star tranquilli: solo le fasce medio-alte…insomma, se siete di fascia medio bassa non crocettate l’ultima domanda se, invece, siete di fascia medio alta, ricordatevi di crocettare anche l’ultima. E che volete che sia: siete di fascia medio alta…volete lamentarvi? La pagheranno soltanto…soltanto…chi?

"Le regioni potranno, infatti, aumentare l'Irpef dell'1,4% nel 2013, dell'1,8% nel 2014 e del 3% nel 2015, evitando, però, di toccare i primi due scaglioni di reddito."

Ecco perché “Porquero” Calderoli poteva affermare che non ci sarebbero stati aumenti! Com’è buona, com’è giusta la grande Lega Nord! E’ così comprensiva, per lo stato di prostrazione nel quale si trovano tanti italiani, al Nord ed al Sud, che gli aumenti li farà pagare soltanto ai riccotti, quelli della Porsche e della fabbrichètta, proprio quelli che la votano! Che mirabile esempio di dedizione alle istituzioni! Che abnegazione! Che carità cristiana! Paga di tasca sua!

Un messaggio, captato dalla stazione ribelle Q534, che si trova nel sistema di Orione, ha inserito un dubbio: saranno così fessi da far pagare gli aumenti proprio al loro elettorato?
Popoli della Galassia, unitevi! – tuonano da Q534 – perché non cercate di capire?
Tralasciamo qui la solita solfa di quelli di Q534…i richiami ad un filosofo del passato che portava lo stesso cognome dei fratelli Marx…il socialismo trionferà…eccetera…veniamo al punto.

Q534 afferma che questo strano approccio – mai usato dalla banda BB (così loro li definiscono) – di far pagare alle tasche dei propri elettori una riforma che doveva liberarli dal giogo dello Stato Romano Usurpatore del Lavoro Padano (il famoso SRULP), non “sta” nei personaggi.
Sarebbe stato come affidare a Totò la parte del ragionier Brambilla in una pièce dialettale lombarda, oppure il personaggio di Edith Piaf a Valeria Marini…no, c’è qualcosa che non quadra.
Spiegano – da Q534 – che tutto si deve leggere alla luce della rivolta dei FLIngon.

Né la BB, né i FLIngon – apparentemente in guerra – possono permettersi, oggi, una battaglia all’ultimo sangue: mancano gli equipaggi per le astronavi, manca il carburante per le astronavi, mancano le munizioni per le armi delle astronavi, manca persino la carta igienica nei bagni delle astronavi. Soprattutto, mancano le astronavi.
Perciò, pare che emissari dei due schieramenti si siano incontrati per definire come procedere con la tregua: i BB hanno fatto presente la situazione familiare di Umberto Bossi, con parecchi piccini da crescere dei quali solo uno – la Trota Cosmica – già lavora. Perciò, la famiglia si trova in stato di bisogno. Quella leggina, anche incompleta, anche insulsa, anche stupidina, anche contraddittoria, anche incostituzionale…anche come sia…insomma…paghiamo tutto noi, anche il conto del ristorante…

I FLIngon sono acerrimi nemici dei Bossian – questo tutti lo sanno – e l’emiro Bokkianin aveva subito proposto d’inviare una squadra Granatan per uccidere l’intero consiglio BB. Ma, il cadì al-Moffan ha fatto presente che, se non si riuscivano a sbloccare i crediti che avevano sul pianeta AN-94, non avrebbero avuto nemmeno i soldi per fare il pieno di carburante e tornare. Perciò, la soluzione salomonica è stata: aspettiamo, attendiamo gli esiti della guerra. Tanto, messa com’è questa legge, non potranno mai emanarla: hai mai visto qualcuno che promette la Luna al proprio elettorato e poi gliela fa pagare a rate? Queste cose le fa solo il PD.
Difatti: la sentenza dello sceicco invisibile (così viene chiamato il gran capo dei FLIngon) aveva colto nel segno.

Sulla plancia della Arkorian – ammiraglia della flotta BB – c’era gran fermento: era improvvisamente comparso sullo schermo intergalattico capitan Bossian in persona, che aveva minacciato – se quelle aliquote non fossero state addebitate ai lavoratori dipendenti – di farsi teletrasportare sull’ammiraglia con mille Guardie Padane Scelte (dette, appunto, GPS per il loro formidabile senso d’orientamento nel Cosmo) e dirimere la questione all’arma bianca. Tutti sanno che, più di quelle, le addestratissime Guardie Padane Scelte non hanno.

BBBoss in persona era dovuto intervenire, facendo presente che bisognava prender tempo, che tanto quel testo era solo una bozza…tutto dipende dalla guerra, mio Bossian! Dalla resa dei conti con quei FLIngon! Non dobbiamo permettere che si organizzino e che cerchino alleanze nelle lontane terre perdute dei Linken, nelle cappelle dei Casinesi, fra le Pietre gelate di Valorian!
Se la guerra sarà per noi vittoriosa – e, mio fedele Bossian, con me sempre si vince – quando sarà l’ora…cambieremo soltanto un paio di parole…una piccola modifica…”Il decreto X del giorno Y dell’anno Z…alla lettera M del capoverso N…è così modificato”:

"Le regioni potranno, infatti, aumentare l'Irpef dell'1,4% nel 2013, dell'1,8% nel 2014 e del 3% nel 2015, solo per i primi due scaglioni di reddito."

Hai capito?
Pare che, alla vista dell’emendamento già preparato, Bossian abbia chiuso il collegamento con la solita frase di rito: “Sì, ma niente scherzi, eh?” D’altro canto, sono 16 anni che non ripete altro.

A quel punto, però, il consigliere per la Sicurezza della Fregatura Italiana alla Costituzione Addomesticata (SFICA) Lettian, detto “Bed & Breakfast”, ha corrucciato il viso: qui, c’è una contraddizione…non capisco…

Le regioni non potranno diminuire l'Irap in caso di aumento dell'addizionale Irpef…La possibilità di aumentare l'Irpef è prevista solo di fronte a una riduzione dell'Irap.”

Un nipotino di BBBoss – salito col teletrasporto dalla villa in Sardegna all’astronave all’insaputa del nonno – nel sentire quella frase, è scoppiato a ridere: “Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa, sopra la panca…”
E basta! Ha tuonato BBBoss.
No: nessuna contraddizione, mio fedele Lettian. E’ il nuovo “format” per la Nuova Corte Costituzionale Programmata (NCCP) che insedieremo: si tratta del nuovo concetto di “Approvazione on-demand”.

Non comprendo, Eccellentissimo…

Facile, Lettian: s’inseriscono due concetti antitetici e la Nuova Corte ne depennerà uno – che ci frega a noi quale scelgono, tanto poi faremo come vorremo… – l’importante è che non abbiano nulla da ridire. Ah, mi raccomando: il testo formattalo con il nuovo schema “a crocette”, così faranno in fretta e non avremo più quelle rogne di mesi, anni…
Noi lo promulghiamo, il giorno dopo loro mettono le crocette – al posto giusto, mi raccomando! – poi mandiamo Larussian con i bombardieri a prelevare il testo approvato…se non è approvato, beh, allora…e saremo l’efficienza massima: tutto in un sol giorno!

Così pare che vadano le cose negli Universi Riformati: oh, quale ingegno, quale meraviglia, quale armonia fra le Costellazioni Celesti! Da uscir per riveder le Stelle.


Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

10 ottobre 2010

Lo ‘Gnazio


Ancora una volta
non sono così rare!
Dovremo per forza
contare le bare.

Son quattro stavolta:
non son mica niente!
Dé nostri ragazzi
‘mmazzati in Oriente.

Discuter si deve
di questa disgrazia
che tante famiglie
ora lascia in mestizia.

Se ora si chiede
di porre rimedio
tornar tutti a casa
senz’altro fastidio…

no, no, non si puote,
col sangue ancor fresco,
sarebbe imbandir
del nemico lo desco!

Così lui t’appella,
se chiedi uno stallo,
sei solo vigliacco
sei solo sciacallo!

Ma quando si puote
parlar di ‘sta guerra,
senz’altra conceder
fresca carne alla terra?

Se lo fai di mattino,
la sera o la notte,
lo ‘Gnazio si volta
e ancora ti fotte

se poi alla guerra
non concedi l’avallo
ancora lo ‘Gnazio ripete:
sciacallo!

Sarà pur diritto
dé poveri afgani
di sceglier per l’oggi
senza menagrami!

Di muover di casa
per dove si pare
e senza alcun rischio
che alcuno ti spari

di viver in casa
ogni giorno dell’anno
che bomba non cada
già pronta pel danno!

Che poi sian storie
di taliban strani
che azzecca all’italico
il loro domani?

Di vivere infine
così come pare
che frega allo ‘Gnazio
di lasciar loro stare?

Non frega allo ‘Gnazio
ma al suo padrone
che sbraita allo strazio
in ogni cantone:

Sia guerra infinita!
Ogni giorno contato!
Che sempre trionfi
la fulgida NATO!

Col sangue dé nostri,
al più fantaccini,
che strippan la polvere
pé loro piccini?

Giammai sia l’affronto,
ripete lo ‘Gnazio,
di viver contenti
giammai senza strazio!

Di viver in pace,
lavoro compreso,
è verbo che ‘Gnazio
da sempre ha eluso!

Perciò noi chiediam,
di luna e di sole,
perché nostri figli
déan masticar suole

di polveri astruse
di monti lontani
pé lucidar suole
pé ‘Gnazi nostrani?

Che sia gli ‘Gnazi,
contati e convinti,
a scender le valli
pé tornare vinti!

E basta coi strazi
di nostri ragazzi
pé un pezzo di pane
tornà tutti a pezzi!

Siam tutti sciacalli
sia forte richiesta!
Pé ‘Gnazio lo folle
e tutte sue gesta!

Vogliamo che torni
lo giovin figliolo
che ancora s’appressa
all’afgano suolo!

Di tutti gli ‘Gnazi
contorti e compresi
sia fatto sol fascio…
da gettar ai pesci!

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

08 ottobre 2010

Fra impeti negazionisti e morti palestinesi

E così, ci siamo tornati un’altra volta: Claudio Moffa fa la sua lezione sull’Olocausto[1], dove nega la versione ufficiale, il neo preside di Facoltà afferma di non saperne nulla (in effetti, è in carica solo dal primo di Ottobre) ed annuncia che prenderà provvedimenti[2], mentre Moffa difende la sua libertà didattica[3] e ricorda che nessuno può cacciarlo.
Per salvare la frittata – dopo la levata di scudi dell’establishment – il rettore di Teramo, Rita Tranquilli Leali, se la cava con la solita trovata burocratica: sospende il corso perché, a suo dire, “non ha crediti sufficienti”.
Di conseguenza, il corso non potrà essere riproposto[4]: peccato che fosse stata lei stessa a “battezzarlo” in pompa magna.
Nel terzo o quarto atto della commedia, intervengono anche i “colleghi” di Moffa della facoltà con un documento, nel quale attaccano Moffa ed i negazionisti con le solite argomentazioni: le tesi negazioniste non hanno dignità storica…insomma, quando la lepre è ferita, la muta si scatena…

Intanto, nel silenzio che assorda dei “Soloni” della cosiddetta controinformazione, s’odono soltanto il lamento di Moffa, le minacce di querele e poco altro. Si vede che, quando la corazzata di regime si muove, la “feroce” controinformazione si tace.
Pazienza: vedremo di mettere qualcosa in pentola per i lettori, qualcosa che non sarà una difesa d’ufficio per Moffa (con il quale siamo in disaccordo su parecchie cose), ma nemmeno una genuflessione all’establishment rampante. D’altro canto, chi veramente ci conosce, non ha mai potuto scorgere peli sulla nostra lingua.

Ad esser superficiali, parrebbe la solita querelle sulla Shoà…non sono sei milioni, non c’è stato nessun ordine di Hitler, quelle camere a gas non potevano uccidere con quel “ritmo”, eccetera, eccetera…dall’altra si dice che ci sono le prove, i negazionisti sono dei pazzi, ecc, ecc…

La vicenda, tutto sommato, puzza lontano un miglio d’intervento “dall’alto” e, sotto l’aspetto della libertà di docenza, non possiamo che stare dalla parte di Moffa: se fosse stata una lezione a livello di scuola superiore, certe affermazioni potevano essere anche cassate ma, trattandosi di un master universitario, si presume che chi vada a seguirlo abbia almeno una frazione del proprio cervello che ancora funziona.
In altre parole, valgono le tesi di Moffa e tanto valgono le critiche alle tesi di Moffa, come del resto sempre dovrebbe essere nella ricerca storica e nella storiografia a quel livello.

E, sia chiaro, lo scrive una persona che non crede alle tesi negazioniste così come oggi vengono presentate, poiché ricorda che il “fulcro” del “primo negazionismo” di Irving non fu la negazione della Shoà, bensì la negazione dell’esistenza di un espresso ordine di Hitler che avrebbe dato inizio al massacro. Il che, non significava assolutamente la negazione dell’evento.
Dunque, un dibattito negazionista sulla presenza o meno del famoso “ordine” è di pertinenza storica e riteniamo che poco interessi alla gente comune: d’altro canto, dopo decenni che si spulciano gli archivi, che abbondano i falsi, che addirittura si falsificano (da ogni parte) le fonti, l’uomo della strada potrebbe solo reagire con un’alzata di spalle.

Altra cosa è ritenere che l’evento Shoà non sia esistito oppure sia stato soltanto un modesto massacro, moltiplicato per milioni, da storici e giornalisti prezzolati: esistono prove schiaccianti che l’evento fu un’enorme tragedia, documentate non solo da testimonianze dirette, bensì da centinaia di reperti iconografici d’ogni natura. Di più: esistono anche confessioni di chi vi partecipò dalla parte dei carnefici, e non ci riferiamo ai soli condannati di Norimberga.
Quindi, affermare che la Shoà non è esistita, significa semplicemente essere dei mestatori nel torbido, oppure delle persone con scarse conoscenze storiche.
Che i confini dell’evento (numeri, luoghi, ecc) siano ancora oggi da definire è accettabile e, anzi, per alcuni “teatri minori” sarebbe auspicabile un supplemento d’indagine. Per l’Italia sorniona e “brava gente”, citiamo soltanto due nomi: Arbe (Rab) e Jasenovac.

Moffa, però, commette l’errore di tutti i negazionisti quando “intreccia” la Storia con la cronaca, la Shoà con l’attuale politica internazionale, perché se un legame storico sempre esiste nelle vicende – come potrebbe essere altrimenti? – non è assolutamente coerente affermare che la critica all’antecedente fatto storico conduca, inesorabilmente, alla mutazione od alla ri-definizione del quadro odierno.
Un rapporto di causa/effetto che non regge: anzi, nel caso della Shoà, pare quasi vero il contrario.

Ecco, sinteticamente, alcune affermazioni di Moffa[5]:

Il tema-tabù del mondo accademico, la questione della Shoah, della difesa del suo dogma da parte della Inquisizione del III millennio, e del suo uso politico nel complesso contesto della guerra infinita del Vicino Oriente.”

E' un’arma ideologica indispensabile, grazie alla quale una delle più formidabili potenze al mondo ha acquisito lo status di vittima. Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l'immunità alle critiche”.

“…la grandezza umana e politica di Ahmadinejad.”

Non entriamo nelle argomentazioni “tecniche” espresse da Moffa – supponiamo il rapporto Leuchter, Wansee, la mancanza d’atti ufficiali di Hitler, ecc – perché ciò attiene alla sua didattica ed alle sue responsabilità di docente.
Ciò che intendiamo sottolineare è che cita dei nessi che non sono così scontati. Cosa c’entra, sul piano storico, la Shoà con la tragedia palestinese? E cosa c’azzecca Ahmadinejad?

La Shoà, evento storico che si concluse con la liberazione dell’Europa dalle armate naziste e filo-naziste, terminò nel 1945. Il terrorismo israeliano, dapprima rivolto contro l’occupazione britannica della Palestina, poi contro le popolazioni autoctone (che avevano certamente più diritto di vivere in quelle terre, per semplice diritto naturale, nei confronti di chi le aveva lasciate – ma anche qui ci sarebbe da discutere – nel 70 d. C.) fu susseguente alla Shoà e non ebbe con essa nessun legame.
Il giudizio su Ahmadinejad, poi, può solo rivolgersi alla gestione della politica iraniana, a fatti prevalentemente interni. L’unica dichiarazione di Ahmadinejad, che può essere messa in relazione con la Shoà, fu quella nella quale affermò che la politica israeliana avrebbe condotto la nazione sionista alla rovina (peraltro, citando una profezia dell’ayatollah Khomeini). Ricordiamo che in Iran vive la più numerosa comunità ebraica del Medio e Vicino Oriente, la quale non ha mai avuto problemi con la Repubblica Islamica.

Moffa scorge un nesso fra la cosiddetta “religione olocaustica” e la vessazione del popolo palestinese: la prima, sarebbe la “giustificazione” per qualsiasi crimine. E lo afferma a chiare lettere:

Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l'immunità alle critiche”.

E’ un riferimento presente anche in numerosi articoli di Gilad Atzmon e d’altri scrittori e commentatori, alcuni di religione ebraica, ma non è un nesso di natura storica, bensì un’affermazione che ha soltanto radici strumentali, utile – una per tutte – per sorreggere il recente sterminio di Gaza.

La domanda è: può, la critica ad un evento storico – la Shoà – essere condotta “legandola” all’odierno? La risposta è no, perché ogni azione in tal senso scatena immediatamente quella “rendita di posizione” che Moffa sostiene esistere. E, le reazioni subito rimbalzate, lo dimostrano.
E’ un bel modo di comportarsi da masochisti: spero che Moffa non abbia parenti od amici a Gaza. Qui, è facile prenderla in quel modo, laggiù…

Diverso è il caso della ricerca storica sulla Shoà che – come ogni altro evento storico – si ha tutto il diritto d’investigare: quante furono le vittime delle guerre di religione in Europa? Centinaia di migliaia? Si può svolgere ricerca storica su quegli eventi? Certo che si può, e così dovrebbe essere per la Shoà.
Sulla quale, come ricordavamo, rimangono molti aspetti da investigare, soprattutto sulle popolazioni non ebraiche – ucraini, russi, serbi, bosniaci, prigionieri di guerra, zingari di varie etnie, altri… – che scomparvero nella grande tragedia.

A meno che si voglia dimostrare che non è avvenuto nulla, perché ci si coprirebbe di ridicolo: le cataste di morti fotografate dalle truppe liberatrici (forse, deceduti più per il tifo petecchiale che per altri motivi, ma non per questo non imputabili ai nazisti), sono un falso storico? Qualcuno è in grado di dimostrarlo? Si faccia avanti.
Birkenau, cos’era? Una località di villeggiatura?

Non è stato trovato un documento ufficiale nel quale Hitler dava il via allo sterminio?
Perché, qualcuno immagina che Hitler, una sera come un’altra, avesse chiamato i suoi sodali – Kalterbrunner, Goebbels, Jodl, Himmler… – ed avesse detto: “Oh, bene: stasera stenderemo il documento per la “soluzione finale”. Mi raccomando: che almeno una copia sia inviata alla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, alla British Library ed all’Archivio Storico Sovietico. Che dite, ne mandiamo copia anche ai norvegesi ed ai danesi?”

Sarebbe qui lungo ricordare il “mutamento”, avvenuto in David Irving, prima che entrasse (a suo dire per avere fonti dirette) in contatto con cosiddetto “Cerchio Magico” degli ex collaboratori di Hitler, e non vogliamo assolutamente entrare nel merito: va bene leggere Faurisson ed Irving ma – per correttezza – sarebbe meglio occuparsi anche di Trevor Roper, Galli, Jörg Friedrich, Rosenbaum…ed altri. Sarebbe “da storici”.

Ciò che non può essere diversamente definito che stupidità, è credere che gli attacchi alla Shoà – la quale, giustamente/ingiustamente è divenuta in qualche modo una “concorrente” della Torah – provochino qualche ripensamento nella politica d’Israele. Anzi, quegli attacchi scatenano altro odio. E chi paga? I palestinesi.
In questo contesto, Moffa non può citare Ahmadinejad, poiché il presidente iraniano non ha mai posto il problema della negazione dell’Olocausto, bensì ha segnalato l’inquietante parallelismo fra la Shoà e lo sterminio dei palestinesi!

Forse, invece di dissertare sulla Shoà, sarebbe meglio chiedere ad Israele cosa ne pensa del Rapporto Goldstone su Gaza, nel quale l’accusa di genocidio non è nemmeno troppo velata. Oppure, quale sia la norma del diritto marittimo internazionale che consente d’assalire in acque internazionali navi battenti bandiere di nazioni con le quali non ci si trova in stato di guerra. O ancora: quante volte Israele ha promesso di fermare gli insediamenti nel West Bank? Dagli accordi di Oslo? E quante volte ha mentito?

Da ultimo, la miglior domanda che si dovrebbe porre al governo israeliano è perché, dopo 43 anni, ancora esista per Gaza e per la Cisgiordania lo strano appellativo di “territorio occupato”, che è contemplato – nel diritto internazionale – soltanto per i periodi che intercorrono fra gli armistizi ed i trattati di pace.
Il più lungo che ricordiamo fu l’occupazione francese del Saarland, che terminò dopo due anni, mentre per i successivi 15 anni fu amministrato dalla Società delle Nazioni. Nel 1935 tornò alla Germania.
Forse, rileggere la risoluzione dell’ONU n. 242 del 1967 (“Ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati nel recente conflitto”[6]) potrebbe esser d’aiuto?

Ma l’ultima, più importante domanda da porre al governo di Tel Aviv – che sostiene d’essere “la sola democrazia del Medio Oriente” – è perché non si comporti come tutte le democrazie del Pianeta. Due popoli in due stati non va bene? E’ chiaro che le cose non possono andare avanti in questo modo: siamo oramai giunti alla segregazione ed allo sterminio.

Allora, facciamo meglio: due popoli in un solo stato, con uguali diritti e doveri e medesimo trattamento da parte delle autorità. Così pare che si faccia nelle democrazie: senza distinzioni di “sesso, razza e religione”.
Ah: servirebbe forse una Costituzione? Già: sarebbe ora, finalmente, di scriverla. Dal 1948, ancora non s’è trovato il tempo? Nell’unico “paese democratico” del Vicino Oriente? Che stranezza.
E lasciamo in pace quei poveri morti, invece di suggerirne altri per un velleitario senso di vendetta: chi ha orecchie per intendere – Moffa compreso – intenda.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

[1] Vedi: http://www.repubblica.it/cronaca/2010/10/06/news/lezioni_di_negazionismo_falsit_ad_aushwitz-7784921/?ref=HREC1-2
[2] Vedi: http://ilcentro.gelocal.it/teramo/cronaca/2010/10/07/news/universita-di-teramo-bufera-sul-prof-negazionista-il-preside-prenderemo-provvedimenti-su-moffa-2482233
[3] Vedi: http://ilcentro.gelocal.it/chieti/cronaca/2010/10/07/news/universita-teramo-bufera-per-il-prof-negazionista-moffa-nessuno-puo-entrare-nel-merito-delle-lezioni-2482530?ref=HREC1-2
[4] Vedi: http://ilcentro.gelocal.it/chieti/cronaca/2010/10/08/news/teramo-l-universita-riesce-a-bloccare-moffa-stop-al-master-crediti-formativi-non-sufficienti-2488126?ref=HREC1-7
[5] Purtroppo, la mia ADSL “a petrolio” non m’ha consentito d’osservare i video che sono stati pubblicati, ma solo di leggere i testi.
[6] Il testo è quello francese: gli israeliani sostengono che in quello inglese era invece riportato “da territori occupati”. Secondo i loro brillanti esegeti, quella forma indeterminativa (che spesso viene usata, ossia l’elisione dell’articolo) consentiva loro di continuare ad occuparli indefinitamente. Fregandosene, ovviamente, “dell’esegesi” del resto della risoluzione e della successiva 338.