29 aprile 2013

Memoria e ricordo



Cara Barbara,

ho letto il tuo ultimo articolo – Il 25 aprile e il “santino” della Resistenza – pubblicato a latere dell’eterno dibattito sul 25 Aprile e sull’atroce vicenda di Giuseppina Ghersi, che non conoscevo. Poi, sono andato a letto e non sono riuscito a dormire: troppi pensieri affollavano la mente, troppe “soluzioni” scipite, troppi “perché” senza risposte, dubbi. E tanto dolore.

Perché quando in un posto ci vivi ed è la tua città d’elezione, al punto d’averci trascorso più di metà della tua vita, soffri il doppio.


Stamani mi sono alzato e, per prima cosa, dalla finestra ho osservato il porto, il porto di Savona: niente navi della Costa Crociere, non ci sono da temere ingorghi.

Savona è così: nonostante qualche palazzo costruito al posto delle macerie – bombe dall’aria, cannoni dal mare – ed una pessima rivisitazione del post-industriale – ossia le solite costruzioni “all’avanguardia” che cercano di scopiazzare Le Corbusier il quale, bontà sua, la ricerca architettonica la faceva negli anni ’50 del Novecento, mica nel Terzo Millennio – rimane una città “vecchia”, dove i ricordi si sedimentano uno sull’altro e devi munirti del rigore e del metodo dell’’archeologo per scoprire qualcosa.

Così, la vicenda della giovane Giuseppina m’è passata sotto gli occhi da via Donizzetti – una via secondaria proprio di fronte al mare, anonima, lunga cinquanta metri: un posto dove, se non c’è un concessionario di cinghie per lavatrice ed hai la lavatrice rotta, non entreresti mai – alle maestose scuole “Rossello” (scuola + clinica privata) che sempre è stata la scuola “d’elite” di Savona per le ragazze, all’epoca era l’unico Istituto Magistrale della città.

Indagando un po’ sui viaggi in città di Mussolini, ho concluso che il famoso “tema” per il quale fu premiata la giovane dovette essere un tema di prima della guerra, perché Mussolini non venne a Savona negli ultimi anni del Fascismo, meno che mai durante la guerra. O è una bufala (il fatto che fu premiata da Mussolini in persona), oppure era proprio una bambina.


Non si riesce a sapere di più: non per omertà, ma per il tempo trascorso. Ricordiamo che chi aveva 20 anni nel ’45 oggi ne ha 88. Io stesso ascoltai da mio nonno – casualmente – la vicenda di don Pessina sulla quale tanto s’è parlato, completa di nome dell’assassino. Solo che mio nonno è morto trent’anni fa, all’epoca di queste cose si parlava poco o nulla: oggi? E chi se lo ricorda quel nome!

Ma la triste fama della via non finisce qui, e fa tappa all’edicola all’angolo gestita – fino ai primi anni ’70 – dalle prozie di un amico. Lì, avvenne un’altra tragedia.


Carlo R. (classe 1905) era fascista, Ardito, mutilato, Spagna...e tutto il resto...solo che, allo scoccare dell’ora fatidica fiutò l’aria che cambiava: poche settimane prima dell’Aprile ’45 scappò a Napoli, dove rimase ben nascosto per alcuni mesi, forse un paio d’anni. Fece in tempo a fare ancora una figlia e morì nel 1977, sempre a Napoli.

Sfortuna volle che – in via Donizzetti – abitasse il fratello (Gino R. classe 1915), un geometra appassionato di montagna e di cani che mai s’era sognato di fare politica, tanto meno d’essere fascista. Assomigliava, però, al fratello: fu preso e fucilato nelle tristemente famose scuole elementari “Guidobono” di Legino (un quartiere periferico di Savona) dove era stato istituito in tutta fretta un “campo di concentramento” per i fascisti arrestati, lo stesso di Giuseppina.

I familiari di Gino (fra l’altro di fede comunista, a differenza di Carlo) si rivolsero alla sezione del PCI di Legino appena ricostituita dopo la clandestinità per capire com’erano andate le cose: nessuno seppe rispondere loro, pur ammettendo che conoscevano bene Gino e che tutto si poteva dire, meno che fosse fascista.

Cosa capitò?


La spiegazione, a distanza di 68 anni, non può essere trovata: al punto che, nel video (inserito nell’articolo), parla un ragazzino incompetente ed anche qualche anziano probabilmente sa poco o nulla di quelle vicende.

La Resistenza savonese non fu un fenomeno “locale”, nel senso che molti partigiani savonesi salirono sulle Langhe, oppure nel piacentino, dietro Genova. Giunsero anche molti partigiani da lontano, per motivi che mi sono oscuri ma che è facile immaginare in quel contesto di fughe e ricomposizioni, di gente presa e fucilata e di chi riusciva a sgusciare ai rastrellamenti.

Tutto mi fa pensare a qualche gruppo estraneo all’ambiente savonese che, in quei giorni convulsi, scese a Savona come poteva scendere a Chiavari od a Sanremo e furono (maldestramente) comandati ai rastrellamenti ed alla “ripulitura” della città.

Ne dà notizia, sommariamente, A. Martino ne “La riorganizzazione delle forze di polizia nel savonese” il quale riporta la cifra (dubbia) di 316 vittime nei giorni “caldi”, ossia fra il 25 ed il 30 di Aprile, quando giunsero le avanguardie americane.

A parte la lista (purtroppo, ovvia) dei giustiziati in quanto appartenenti alla “San Marco” od alla “Decima Mas” – ricordiamo che ad Altare (10 km da Savona) c’era il comando supremo della “S. Marco” ed il suo comandante, Generale Farina – ed alle vendette su appartenenti al Fascismo (che avevano le loro belle colpe, non nascondiamocelo) gli ultimi punti riguardano proprio il “prelievo di prigionieri nelle carceri” (che venivano fucilati senza processo) e le “stragi d’intere famiglie accusate di collaborazionismo, o per semplici beghe di paese”. L’ultimo punto fa gelare il sangue.


Adesso basta con la Storia: queste non sono scusanti o attenuanti, vogliono essere un’aggiunta (di poco conto, lo ammetto) al tuo articolo sul caso di Giuseppina, ma andiamo oltre.

Davvero, nel 2013, vogliamo continuare a scannarci per storie che avvennero prima della nostra nascita e che fecero soffrire sia fascisti che antifascisti dell’epoca?


Mia madre – e qui chiudo subito – vide uccidere un ragazzo di 15 anni solo perché, durante un rastrellamento in un paesino, fu preso in casa sua disarmato mentre dormiva, non si sa perché: non era un partigiano e nemmeno una staffetta. Probabilmente lo avrebbero liberato ma, sopraffatto dalla paura, tentò di fuggire: tedeschi e fascisti lo uccisero a calci, con gli scarponi chiodati. Mia madre non riusciva più a sentir parlare tedesco, ed in casa – per varie ragioni che non sto a raccontare – l’idioma di Goethe era molto amato. Ancora ricordo una vecchia zia che mi chiamava “Mein schön Karl”.


Ci siamo già cascati una volta – fra il ’70 e l’80 – e ci siamo sparati nella piazze...per cosa? Per appartenenze familiari, amicali, di gruppo, di clan...senza conoscere “l’avversario”...una montagna di morti (oggi di ossa) che ci dovrebbe far pena e farci soffrire ogni giorno che passa. Non per loro, che oramai non ci sono più, ma per noi, stupidi esseri umani che ci siamo divisi per questioni che non c’appartenevano più e siamo cascati nel gioco.

Ho conosciuto persone che tengono l’effige di Lenin in salotto, altre che hanno i labari ed il busto di Mussolini in giardino; li commisero un po’ – sono sincero – ma non li giudico affatto: penso che quella libertà d’essere chi ci pare, con le appartenenze che più ci piacciono, sia parte di quel gran momento che fu il 25 Aprile. Che all’epoca – da una e dall’altra parte – fu salutato perché fu la “fine della guerra”.


Qualcuno afferma che il 25 Aprile c’ha portato gli americani: beh...non siamo stati tanto sfortunati...poteva andarci peggio e capitarci Stalin o – se la Germania nel 1941 avesse fatto l’armistizio con la Gran Bretagna, come molti abboccamenti lasciano sospettare (non ultimo la strana “fuga” di Hess) – con l’Europa in mano nazista non saremmo rimasti liberi – seppur “vittoriosi” – a lungo, e ci saremmo ritrovati uno squilibrato come il Reichsführer Himmler in casa.

Come vedi, siamo finiti nella fantastoria per spiegare un mancato futuro: Minoli fece, tempo fa, una trasmissione (basata su fatti, non fanfaluche) molto interessante su questi temi.

Allora, di chi fu la colpa?

Dei fascisti della X Mas o della “Muti”, delle brigate “Garibaldi” e “Giustizia e Libertà”? No.

La colpa è sempre e soltanto della guerra.


Adesso dirai: bravo Carlo, ma sei un po’ scontato nella tua analisi, è come dire che lo sfacelo di New Orleans è stato colpa dell’uragano.

Non è vero.


Prendi una popolazione qualsiasi di uno stato che va in guerra. Dapprima ci possono essere anche delle proteste, ma stai tranquilla che due giorni di stato d’assedio ti portano dritto a nasconderti in cantina, a meno che tu non sia un coreano del Nord, che in stato d’assedio ci vive da sempre.

Poi, secondo le modalità (esercito di leva o professionale), c’è la mobilitazione: partono dei giovani che solo il giorno prima sedevano al bar o giocavano a pallone. Negli eserciti professionali sono già preparati, ma viene detto loro che – da qual momento in poi – avranno il privilegio di morire per la Patria. Sai che gioia.


Giunti ai reparti, lì avviene la mutazione antropologica: un bravo tenente ha il precipuo compito di limitare al minimo l’orizzonte degli affetti nella truppa che gli affidano. Cosa significa? Vuol dire che il plotone (non a caso, titolo di un famoso film sul Vietnam) è il tuo nuovo “orizzonte degli affetti” al quale devi dedicare corpo e mente: nota che la popolazione civile, lentamente, scompare in quel tourbillon di morte e di morte mancata, rimandata, oppure di dolore su un letto sfatto in un ospedale da campo.

Il dolore è un buon antidoto al lavaggio del cervello subito – le lamentazioni dei feriti sono intrise di un solo nome, “mamma” – ma, giunti alla convalescenza e poi ad una licenza dove ci si sente come dei pesci spiaggiati, si viene “ripescati” da quel mondo ed inviati in un nuovo plotone. Tutto da capo: e la roulette ricomincia.


Chi è fortunato – e non torna in un sacco di plastica – vive per mesi od anni in questa realtà separata: una realtà fatta di giorni di marcia e notti d’ansia, assalti ed imboscate. E vede la morte ogni giorno materializzarsi di fronte ai suoi occhi in un bombardamento, una granata, una fucilata.

Steven Spielberg – in quello che io ritengo il suo capolavoro “L’impero del sole”, un affresco sulla brutalità della guerra, sul terribile influsso che opera, una vera e propria metamorfosi, sulla mente di un adolescente – mette in bocca ad uno dei protagonisti questa frase: “La guerra è pericolosa soprattutto quando inizia e quando finisce: nel mezzo ti ci abitui, c’è meno pericolo...”

E’ vero: per i civili è così, a meno d’essere sulla linea del fronte.


Chiediamoci, allora, cosa diventa e cosa rappresenta la donna in questo girone infernale: lo sfogo d’ogni ansia e paura, il terribile senso di prevaricazione che deriva dall’abuso, frustrato, del “senso di potenza”, fino allo sfogo collettivo del plotone, del clan ancestrale. Non vado oltre.

La guerra concede una sospensione del tempo e della civiltà: quanto basta per lasciar affiorare gli istinti primigeni e bestiali, che servono – appunto – per combattere.

E dopo?

I dopoguerra sono sempre difficili: il “vae victis” che impazza nei primi giorni – nei tempi antichi, usava tagliare subito la gola ai prigionieri ritenuti inutili (vecchi, infanti, malati, deboli, ecc.) per la schiavitù – si trasforma in un disadattamento pervicace, spesso nascosto, che cela una rabbia nascosta e brutale. Ci vorrebbero legioni di bravi strizzacervelli per sanare i danni di una guerra, e dubito anche che ci riuscirebbero. Le anziane vedove degli ex internati nei campi di prigionia offrono racconti raccapriccianti delle notti dei loro mariti: anni di sofferenze notturne, mica bazzecole.

Solo il tempo sana: dimenticare è l’unico antidoto.

L’esempio più tragico l’abbiamo vissuto ai nostri confini: la Jugoslavia.


Dal 1945 al 1990 erano trascorsi 45 anni: chi aveva cinquant’anni non aveva memoria del “prima”. Già, ma c’erano i sessantenni che, nel 1945, avevano 15 anni ed erano giunti agli apici del potere: sono stati loro a rinvangare termini come “ustascia” e “cetnici”, che la popolazione conosceva, ma ai quali non dava più tanto peso.

Invece. Invece i bosniaci tornarono ad essere “turchi”, i serbi “slavi” ed i croati “cristiani”: dopo, l’esito fu scontato. 120.000 morti, contati a spanne: quanti civili? Quante Giuseppine?

Oggi fa piangere il cuore viaggiare in quei prati e campi deserti della Jugoslavia, macchiati dalle effigi annerite della case bruciate, dei cipressi rasi al suolo e dei monasteri distrutti, che ancora si vedono – i ceppi dei cipressi e le fondamenta dei monasteri di fronte ad un mare azzurro e chiaro, che sembra un oceano di lacrime – perché devono essere un monito, nella folle razionalità della guerra, per le prossime generazioni.

E una guerra non scoppia perché gli abitanti di un Paese “odiano” quelli di un altro, scoppia perché le elites così hanno deciso: nella guerra di Jugoslavia la Thatcher era contraria allo smembramento. Mica perché era una santa anima, no: questioni strategiche.


Il passo successivo è far salire la rabbia mediante l’identificazione con un simbolo comune, una sorta di rozzo sillogismo aristotelico: Mussolini è fascista, io sono fascista, Mussolini vuole la guerra, anch’io – se sono veramente fascista e dunque desidero appartenere a quel clan – devo desiderare la guerra. Così si riempiono le piazze di fronte a Palazzo Venezia, come in qualsiasi altro posto: i morti, i bombardamenti, le uccisioni a freddo, le vendette...eh...quelle vengono dopo, quando l’attore del sillogismo – se è rimasto vivo e non ha sputato la vita fra le sabbie di El-Alamein – rimuove. Ma non dimentica, e la sua restante vita sarà segnata da quei ricordi, come una noiosa (e pericolosa) vespa che ti gira attorno.

La domanda successiva è quella delle cento pistole: l’uomo è essenzialmente buono o cattivo?


La filosofia – tu m’insegni – ha fornito risposte mutevoli nel volgere delle epoche storiche: nel Medio Evo era dipinto come un potenziale peccatore che doveva redimersi. Si scannarono fra cattolici e protestanti – a ben vedere – solo sulle modalità di quella benedetta “redenzione”.

Ma arriva la cosiddetta “modernità”, portata sulle ali dei rivoluzionari francesi: improvvisamente, si scopre che l’uomo è essenzialmente buono. E via con i miti del “buon selvaggio”, al punto che nelle famiglie nobili francesi era un punto d’onore avere un maggiordomo nero: proseguire oltre? Beh, andiamoci piano...Kennedy dovette inviare la Guardia Nazionale per far sedere i neri nelle aule universitarie.

Il karma? Ah, certo...con la legge del karma si spiega tutto...peccato che, per indagare la casualità/causalità degli eventi bisognerebbe avere una mente pari a centomila calcolatori fra i più potenti: sarebbe come, di fronte al mare, individuare il moto futuro di ciascuna molecola d’acqua. Meglio andarsi a prendere un caffè alla solita baracchetta sulla spiaggia e tornare ad osservare il mare senza pensieri, nemmeno il più piccolo alito, nella mente.

Un buon esempio l’ha fornito Michael Moore in “Bowling at Columbine”: ricordi?


Due popolazioni, armate fino ai denti, si comportano in modo completamente diverso se vivono su due differenti sponde di un lago. Sulla riva statunitense vige lo “spara tu che ammazzo io”, mentre su quella canadese tutto è tranquillo.

Ci sono diversità climatiche, sociologiche, religiose...culturali in genere? No...almeno, non sono così evidenti: grandi città e piccoli borghi da una parte come dall’altra, solite religioni del mondo “bianco”...un freddo cane su entrambe le rive...no.

Michael Moore trova una risposta: la sicurezza sociale, l’enfasi posta sull’arma da fuoco, l’abitudine alla guerra come pensiero dominante, così come l’esasperazione dell’individualismo (che implica un basso livello di stato sociale).

Ci sono differenze fra gli USA ed il Canada? Eccome se ci sono! Più ancora nel modello di welfare state europeo (proprio quello che cercano di scassare).


Sostanzialmente, non nasciamo né buoni né cattivi: sono le condizioni imposte a renderci calmi e sicuri oppure fragili e disperati. Fino al punto che una persona – senza famiglia, senza lavoro, senza futuro – si mette a sparare all’impazzata in Piazza Colonna. Siccome gli altri sono furbissimi – della serie: mi cade una merda sui piedi, allora la taglio in tre parti e faccio un tris – ecco subito le “lamentazioni” per avere uno stato più autoritario, più forze di polizia e...raddoppiare auto blu e scorte!


Oggi, rispetto al passato, più persone hanno capito che le tensioni internazionali sono create a tavolino per motivi economici, ossia per arricchire – paradosso – tutti gli attori sulla scena, dopo aver fatto fuori eventuali oppositori. Nessuno, o pochi, si fanno più ingabbiare nel modello “Dio, Patria e Famiglia”, e “armiamoci e partite”.



Rifiutare a priori la guerra sembra un atto di viltà o di agnosticismo: mi “tiro fuori” da questa bega e non ne voglio più sapere. A ben vedere, è l’unico atteggiamento possibile per non finire nei versi della “Guerra di Piero”: De André la tratteggiò con un lampo di genio.

Semplicemente, chi rifiuta la guerra rifiuta il loro modo di pensare: punto e basta.


Rimane la dicotomia fra memoria e rimozione del ricordo, per sopravvivere e tornare al futuro, fatto salvo che il dolore va rispettato e condiviso da qualsiasi parte venga.

La memoria non è mai condivisa: lo mostrano gli spettri che ancora oggi agitano le menti ad ogni 25 Aprile, che sembrano tirare per la giacchetta un giorno del calendario. Non è condivisa la memoria sul Vietnam, sulle guerre arabo-israeliane, sull’occupazione italiana della Jugoslavia, ecc.

Meglio, allora, lasciare al dibattito storico la memoria: nei libri, nei dibattiti, negli atenei, nelle conferenze...chi vuole, può approfondire un aspetto, una vicenda, anche un’ingiustizia. Sempre che lo storico (che è sempre di parte, come me che oggi scrivo di Storia) sia almeno onesto intellettualmente.

Qui, però, si deve rimuovere un ostacolo, bisogna togliere dei “paletti”: nessun impedimento, legge od imposizione può frenare la ricerca storica e, soprattutto, la storiografia. Saranno i lettori e i fruitori di quel lavoro a giudicare, nella più ampia autonomia.

I libri scolastici? Segnalare un punto dove ci sono opinioni diverse, come su Wikipedia: i ragazzi sono più preparati di quel che si creda, soprattutto se segnali loro un dubbio, ammetti (come istituzione) i tuoi limiti e loro ti ripagano con più fiducia.

L’alternativa?


Continuare ad odiare, perché di questo si tratta, a rinvangare continuamente vicende terribili ed a gettarsele in faccia, nel nome di chissà quale “verità storica” da inseguire. L’ho ripetuto mille volte: lasciamoli riposare in pace e cerchiamo il miglior futuro possibile, per tutti.

Con affetto e stima.

Carlo



24 aprile 2013

I ladri di Pisa al lavoro



Può essere, può darsi che l’offerta di Bersani a Grillo fosse viziata da malafede: nemmeno io sono poi così sicuro che non lo fosse. In quale modo, però, mi è difficile comprenderlo dato che il M5S aveva la possibilità – viste le carte nel dettaglio, ossia un programma di governo particolareggiato – di non accettare.

Oppure, potremmo affermare che il fesso è stato Bersani: che ci voleva a votare Rodotà? I voti, sommati fra PD e M5S, c’erano alla grande.

Così, per i prossimi anni, ci godremo ancora i terzi incomodi, ossia Berlusconi, Monti ed i democristiani del PD, più qualche renziano e frattaglie varie.

Il PD galleggerà come al solito (vedi Friuli), il M5S non sfonderà da nessuna parte (vedi Friuli, e non raccontate la storia politiche/amministrative: l’hanno inventata i democristiani quando non sapevano cosa dire) e Berlusconi ed i suoi sodali terranno sotto controllo il Paese per conto dei vari potentati, legali ed illegali.



Ma andiamo un po’ oltre a queste facezie.

Dove si fanno i governi?

In Parlamento, direte voi: sbagliato.



Per prima cosa si telefona a Washington: bisogna aspettare la linea, certo, perché Obama è occupato da tutti i presidenti che devono eleggere un governo, un ministro, comprare armi, vendere petrolio, ecc.

Dopo aver atteso il giusto – “non riattaccate per non perdere la priorità acquisita” – il buon Napolitano (sono le undici di sera – mannaggia che sonno... – ma c’è ‘sto fuso orario) finalmente viene messo in linea con Obama in persona: pochi minuti, due dritte veloci (ho il ministro del petrolio saudita in linea, capirà...) e le istruzioni vengono date. Probabilmente, Obama legge un foglietto preparatogli dal segretario agli esteri mentre il ministro saudita aspetta: quello sì che può riattaccare...Napolitano, Napolitano...uff...

Ricevute le dritte del caso – compresa quella, se ha qualche dubbio, di rivolgersi a D’Alema – riattacca: manco la buonasera, mannaggia ‘sto cafone...ma si sa, da lì bisogna passare.



Bevuta la camomilla, finalmente si sdraia e prende sonno ma i sogni lo tormentano: un carro armato sovietico che danza nel cortile del Quirinale, avanti e indietro, al ritmo di Funiculì Funiculà...jamme, jamme, jamme jamme jà...

Percorre saltellando il cortile sotto lo sguardo dei corazzieri: sembra fatto di gomma tanto è elastico, bonario, comico...ma è un carro armato sovietico!

Poi si ferma e scende un uomo. Nello stesso istante, il segretario entra in camera da letto visibilmente allarmato, ancora respira affannosamente per lo spavento e le scale: “Il generale Ivan Alexandrovic Parakulienko le vuole parlare...”

Mannaggia...ma stavo al telefono con Obama...chi cavolo è ‘sto Parakulienko?

Niente, la scena torna ad impazzare e diventa veloce, irrefrenabile: accompagnato da una fanfara che suona “It’s a long way, for Tipperary” – che lui ricorda cantata...da chi? A Napoli! 1944, il reggimento britannico! Già... – fa il suo ingresso il generale Parakulienko. Ma è D’Alema.

“Massimo, che ci fai qua?”

D’Alema parla russo, anzi, per la precisione moldavo ma si sa, in sogno tutte le lingue sono comprensibilissime.

“Sono venuto a prendere le consegne per occupare il Parlamento – ricorda? Budapest 1956? – anzi...facciamo anche la RAI, il Senato e il Governo, insomma, tutto...basta che lei mi firmi un ordine, qui, ed il maggiore Soporiferov muoverà i suoi carri armati...lei tanto è d’accordo, no? Ricorda Budapest, 1956?”

“Ancora ‘sta storia di Budapest? Ma allora, per muovere uno sgabello a Botteghe Oscure, si doveva telefonare a Mosca, lo sai anche tu...Massimo...che mi vieni a dire...occupare la Camera...Madonna Benedetta...”



“Vuole salutare il maggiore Soporiferov? E’ in cortile ed è ansioso di renderle omaggio!”

“ E andiamo da ‘sto tranquillante...” Spalancata la finestra, nella luce del mattino s’ode uno sbattere di tacchi ed un ufficiale coperto di medaglie scatta sull’attenti. Napolitano risponde con un cenno timoroso della mano. Sta per tornare indietro, quando...quando...mannaggia a me, ma quello lo conosco...torna alla finestra, altro sbattere di tacchi...ma è Berlusconi!

“Massimo, ma che ci fa Berlusconi in quella divisa...e tu...”

“Il maggiore Soporiferov oggi è al mio comando: solite storie dell’Armata, debiti di gioco, vodka, donnine...non si preoccupi, però, è savio e sveglio. Allora: me lo controfirma l’ordine o devo eseguire il Piano B?”

“Ma quale piano...”

Lo sguardo di D’Alema/Parakulienko s’è fatto truce: “Firma o non firma? Il Comitato centrale, a Mosca, aspetta!”

“Madonna mia...”

Si sveglia.



“Dio mio che incubo, Cleo, Cleo...”

“Ma che vuoi? Dormi che sono le due di notte...”

“D’Alema e Berlusconi in divisa russa...quel carro armato...”

“Uè, ma sei tutto sudato...cambiati la canottiera, mi raccomando, che ti prendi qualcosa...fino a 95 anni, ricorda eh? Hai dato la parola...”

“Va beh, se non trovano una soluzione prima...”

“Ma quando mai l’hanno trovata una soluzione quelli? Non sono manco capaci a decidere se è ora di cambiare lo scopettino del cesso...piantala Giorgio, va, che adesso mi tocca rifare tutto il trasloco...mannaggia a te e a quei...quei malavitosi che t’hanno convinto! Glielo hai detto, almeno, in faccia che sono dei guappi, ‘na sola guapparia? Glielo hai detto?”

“Beh, sì...nel discorso era celato, nelle pieghe del discorso c’era...”

“Sì, buonanotte: “celato”...“le pieghe”...quelli non capiscono nemmeno se glielo urli in faccia...si voltano dall’altra parte...se ne fottono assai...Giorgio mio...ancora vivi nelle nuvole...”

“Sì, ma quell’incubo...”

“Ch’ai mangiato ieri sera? Quell’orata al cartoccio?”

“Sì...”

“Eh, te l’avevo detto io che quella era pesante...con la salsa di peperoni, mannaggia...se vuoi campare fino a 95 anni la mi ne stri na devi mangiare, la sera, e a mezzogiorno due spaghetti con poco sugo, appena un’ombra...”

“Sì, come a Mathausen...”

“E tu mica ci sei stato, no? E poi, lascia che ti dia un consiglio: licenzia quel dottore, è uno iettatore! Chill’ è nu iettatore, dai retta a me! Smettila di prendere tutte quelle pastiglie: per la pressione, per il fegato, per dormire, per stare sveglio...mannaggia...sei un impianto chimico ambulante! Piantala e cerca di dormire adesso, che io già al trasloco devo pensare. Lo sapevi che il centrino di mamma tua era finito in mezzo agli stracci da buttare?”

“Il centrino di mamma...com’è possibile...”

“Eh, perché ci sono io che sorveglio...mannaggia a te, doppio trasloco, sempre che il terzo non ce lo facciano le pompe funebri...”

“E smettila!” rispose facendo le corna sotto le coperte.

Cleo non rispose, e provò ad addormentarsi.



Per riprendere sonno, si fece tornare alla mente un comitato centrale del PCI...uno di quelli vecchi...c’era Togliatti che parlava di “fiducia assoluta nel PCUS”, mentre Amendola sosteneva “convergenze parallele”...non sappiamo come andò a finire perché il sonno – non si sa se per le pasticche o per la noia del ricordo – lo accolse subito.

Il sogno successivo fu più tranquillo, rilassante: giocavano a carte, lui, Amato, Prodi e Rodotà. L’unica stranezza era che Rodotà non riceveva mai le carte, lo saltavano ad ogni giro. Mah...

La voce del maggiordomo lo svegliò: “Presidente, Presidente...”

Cleo s’era già alzata...quella povera donna, alla sua età, doppio trasloco...

“Presidente, il segretario m’ha incaricato di ricordarle che alle 9 ha quella telefonata.”

“Sì grazie”, rispose tanto per toglierselo di torno.

Ma a chi dovevo telefonare, a Breznev? No, a Draghi! Certo, avevano fissato un appuntamento il giorno prima...che sbadato...



Fatta colazione – approfittò dell’assenza di Cleo per spazzarsi un maritozzo alla crema, non prima però d’aver raccomandato fegato, cuore e polmoni a Sant’Antonio de Curtis – iniziò la lettura dei giornali: Napolitano qui, Napolitano là...ma che dicono quelli...sapessero in che guaio mi sono cacciato...io speravo di tornarmene a Napoli per trascorrere qualche anno tranquillo, se la Provvidenza me lo concedeva...

“Presidente: c’è il presidente Draghi al telefono.”

“Pronto, sei tu Mario?”

“Buongiorno Presidente, com’è lì il tempo?”

“Qualche nuvola...freddo non fa...piuttosto, dimmi: come va con lo spread? Tutto a posto?”

“Sì, si...tutto tranquillo, oggi lo teniamo intorno a 300, ma siamo pronti – qualora lei desse l’incarico ad un uomo di fiducia – a farlo scendere...dunque, diciamo verso i 250...così daremmo un bel segnale, non trova?”

“Eh sì, sarebbe veramente un bel gesto...gli italiani, la mattina, prima del meteo guardano sempre lo spread...perché è importante, vero Mario?”

“E’ importantissimo, come le spiegavo la volta scorsa: è il termometro della salute, dell’economia di una nazione, della fiducia...”

“Sì, va beh, me lo hai già spiegato l’altra volta ma dimmi: Angela? Che ne pensa? La devo chiamare?”

“No, non è il caso...e poi lo sa: ci sono le elezioni di mezzo, in Germania...lei vorrebbe vincere, però...in ogni modo in Germania siamo tranquilli, che vinca uno o che vinca l’altro...piuttosto, a che punto è la soluzione in Italia?”

“Oramai il pericolo è passato: quell’intestardirsi di Bersani con Grillo...mi dispiace per Bersani ma è troppo grullo, credulone...secondo te avrei dato in mano l’Italia a quei due, uno più fesso dell’altro? Grillo, quando è stato qui, sembrava un agnellino tosato: sono bastati un po’ di sbattere di tacchi e la coreografia per intimidirlo...ha persino promesso che non mi chiamerà più Morfeo...adesso inizia la parabola discendente, per fortuna che ha sparato a salve l’unica cartuccia che aveva...”

“Ma chi sarà il candidato?”

“Stiamo rifinendo le ultime pedine...Amato non sarebbe male...però Letta il Giovane, con Letta il Vecchio di supporto, sarebbero graditi ad entrambi: in fondo, il PD è quello che ha vinto le elezioni, Berlusconi però non le ha perse...insomma, la facciamo andare così...tanto ci sarà il tuo omonimo a vegliare sull’economia, stai tranquillo!”

“Come da accordi, Presidente, come dai vecchi accordi di un anno e mezzo fa...”

“Certo, quelli sono sempre validi! E Bruxelles? Dovrò sentirli?”

“Ma chi, Barroso?”

Ci fu un brevissimo sorriso, quasi impercettibile che però forò la distanza e corse veloce, sui cavi telefonici e persino negli spazi siderali dove, muti, ruotano i satelliti.

“No, Presidente, non s’incomodi: ci penso io ad una telefonata di circostanza...quello ha una paura folle di dover gestire la prossima crisi del Portogallo...sa, lui è costretto a giocare in casa...in quel frangente potremo anche sostituirlo...”

“Eh già, un bel guaio per Barroso...”

“Va bene Presidente, tutto è a posto per il futuro...allora, se lei permette, la saluto...”

“Arrivederci Mario, arrivederci...”



Posò il ricevitore e rimase un attimo pensieroso. In fondo, non era molto diverso dai plenum del PCUS: anche là decideva un gruppo ristretto, senza storie di maggioranza ed opposizione...che avessero ragione le cariatidi di Mosca? “Sostituiscono” Barroso, la Merkel “non ha importanza”...la democrazia...va beh...lasciamola ai gonzi che ci credono, va bene fin quando tutto fila liscio...e poi?

Anche la Costituzione...quella si può anche rispettarla...però ci sono degli spazi dove va riempita, fare delle aggiunte...eh, i padri costituenti mica avevano tutti i guai che abbiamo oggi con ‘sto Internèt...perciò è giusto che io nomini chi cavolo mi pare e che il Parlamento lo voti: che c’è di male? In realtà, sto facendo il bene della nazione che, senza una guida, andrebbe a perdersi...ci vuole una guida autorevole, senza dubbio.

Improvvisamente, si ricordò che il giorno dopo era il 25 Aprile: già, una “guida autorevole” o autoritaria? Mannaggia quanto me li scasseranno coi discorsi, fare presenza...ci penserò domani...e se telefonassi a Massimo per sapere cosa ne pensa?

Detto fatto: “mi chiami il presidente D’Alema”, ordinò al segretario. Presidente dde che? Mah, siamo stati tutti presidenti di qualcosa...magari del circolo della vela di Vattelapesca...



“Pronto, Presidente? Sono il primo ad augurarle un buon 25 Aprile? Eh, quelli della vostra leva se lo ricordano...meglio oggi, vero? 68 anni fa...magari era su un carro armato preso ai tedeschi a festeggiare...”

Mannaggia, ma che c’à ‘sto parac...da ricordarmi il carro armato? Che me l’abbia mandato lui il sogno? Ma si possono mandare i sogni?

“Ehm, ciao Massimo...siamo alle prese col governo, ancora una volta...tu che pensi?”

“Mah, caro Presidente, la scelta è stata quella giusta...mica si poteva lasciare l’Italia nelle mani di quei due pazzi...Bersani che vagheggiava non si capisce che cosa e Grillo che bestemmiava, e bestemmia, contro tutto e tutti...no, così siamo tutti più tranquilli...adesso basta spartire bene le poltrone e il gioco è fatto!”

“Già, le poltrone...e gli italiani? Quelli giudicano, sentenziano su Internèt, s’à pigliano cu’ mme...”

“Ma stia tranquillo Presidente, stia tranquillo: ha l’85% del consenso con lei! Non ce l’ha manco Obama! Gli italiani sono così...fra un po’ arrivano le vacanze, l’Estate...certo, non hanno i soldi per andarci...però s’accontenteranno, si faranno una pizza in compagnia in casa e tutto filerà liscio. Ce l’avranno un governo? E allora! Potranno pure dire “Piove, governo ladro!”...state tranquillo, mi raccomando, all’età vostra...”

“E, però, quelli che s’ammazzano...pure voi, mannaggia...”

Ho sentito Berlusconi stamattina...lui è contento...non forzerà troppo se gli concediamo un po’ di tranquillità...insomma...come faceva a sapere che quella Ruby era minorenne? Andiamo, su...ma l’ha vista?”

“Sì, pure a me pareva almeno una venticinquenne...”

“E allora! Diamo un po’ una calmata ai giudici...lui è tranquillo ed ha promesso che non romperà troppo le scatole...magari, se si troverà qualche briciola, riusciremo anche a darla ai disoccupati, agli esodati...guardi: Berlusconi è diventato mansueto, mica è più quel carro armato del ’94!”

Ancora con ‘stu carrarmato...Madonna do’ Carmine, ma che vuole questo?

“Presidente” il segretario sembrava agitato “il dottor Amato in linea!”

“Va beh, Massimo...scusa, mi chiamano sull’altra linea...”

“Certo, certo Presidente, ancora auguri...”



“Pronto, Giuliano?”

“Buonasera Presidente, buonasera.”

“Allora, che hai da dirmi?”

“Che ci ho pensato un po’, sa...ma riprendere in mano il governo...in questa situazione – oddio, se lei me lo domanda, sono pronto – ma non credo che ci convenga: ci sono troppe voci pronte a battere sul tamburo...sarebbe meglio che a guidare il governo fosse un parlamentare...lei cosa pensa?”

“Eh, che penso...che le caselle sono sempre troppe e le persone valide poche...tu chi consiglieresti?”

“Mah...Letta – quello giovane – non sarebbe male...è un PD, ma di scuola democristiana, e poi c’è lo zio che potrebbe dargli una mano...basta che ci sia qualche mastino all’economia ed il governo è pronto, il resto...sono quisquilie, solo roba da manuale Cencelli...”

“Se funzionasse sarei contento, perché ti tengo sempre in conto per la mia successione...chi meglio di te...”

“Troppo buono, Presidente, troppo buono...”

“Sì...adesso rifletto ancora un po’ e poi, poi...”

“La lascio riflettere, Presidente, buonasera.”



Si sentiva stanco: mamma mia, altri 7 anni...meno male che c’è questo Amato che, che...appena ‘sti quattro mariuoli si mettono d’accordo io me la filo, e come no...

In quel momento entrò Cleo “Cleo, che stavi facendo?”

“Eh, sempre ‘sto trasloco, devo sorvegliare tutto, tutto...”

“Ehm, dunque...volevo chiederti una cosa...dunque...”

“E dai, che ci vuole? C’hai messo meno a chiedermi in sposa...”

“Secondo te, Cleo, i sogni si possono inviare?”

“Ma che, ti sei scimunito?”

“Ecco: lo sapevo, mai che ti possa chiedere una cosa, un consiglio...”

“Vuoi dire quel sogno del carro armato?” Giorgio fece cenno col capo “C’era la zia Ester...la zia Ester raccontava che qualcuno ci riesce...”

“Ma chi è ‘sta Ester?”

“Chi era...ma la zia Ester, la sorella di mia madre, quella che aveva sposato quel medico di Benevento...non ti ricordi?”

“Ah, sì, adesso mi ricordo...era venuto quando ero stato male, dopo la guerra...”

“La zia Ester era sempre attenta ai sogni, diceva che non stare attenti ai sogni porta guai...poi, non mi ricordo più...sono passati così tanti anni...”

“Scusami se ti lascio sai, ma stanno sballando i comodini...”

“Sì, ciao, grazie...”



Rimasto solo, Giorgio Napolitano, Presidente al secondo mandato, rifletté che nominando Letta il Giovane avrebbe accontentato tutti: D’Alema, Berlusconi, Amato, Obama e Draghi. Niente da temere dall’Europa, dall’America e dai sogni “sovietici”.

“Segretario, mi chiama l’onorevole Enrico Letta!”



E’ una storia romanzata, che ci ricorda un po’ Eduardo, qualcosa di De Crescenzo e molto Totò: è una storia italiana, vera come lo sono le promesse dei politici, le certezze dei filosofi, le previsioni del tempo.

Eppure, questa sarà la nostra storia nei prossimi anni: presto ci saranno nuove “emergenze”, “progetti”, “infrastrutture non rinviabili”, altre intercettazioni e nuovi avvisi di garanzia che finiranno – dopo anni di sosta nelle procure – in prescrizione, come sempre.

Forse la colpa è solo nostra che non sappiamo ribellarci: ben ci sta, verrebbe da dire, perché non siamo mai stati capaci a ribellarci senza fare dei macelli inutili.

E’ quasi il 25 Aprile: comunque la pensiate, questo era un giorno dedicato alla Liberazione, alla libertà, alla democrazia. Osservate oggi, con quali occhi possiamo guardarlo.



21 aprile 2013

La commedia degli equivoci del potere


Vi è un grado di falsità incallita, che si chiama coscienza pulita.”

Friedrich Nietzsche



Tutto è compiuto. Come dopo una grande esplosione, la polvere si alza e cancella ogni cosa visibile ma, quando si posa, lascia solo un gran vuoto dentro e la sensazione d’aver sbagliato qualcosa, che l’epilogo poteva essere un altro.

Oggi abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti: abbiamo scoperto quanto sia menefreghista il potere nei riguardi della popolazione, elettori od astensionisti essi siano. Quale sia il grado di disprezzo, la spocchia, il considerarsi Dei dell’Olimpo baciati dalla fortuna e difesi da Ercole in persona.

Il seguito, ora, è scontato: un governo guidato da Amato o Enrico Letta. Oppure da Enrico con Gianni vicepresidente, ma i nomi hanno scarsa importanza: quel che conta, per la barca del potere, è aver scapolato le secche e gli scogli che – sotto varie forme e con molti modi – la popolazione aveva frapposto sul suo cammino.

Hanno vinto, non v’è dubbio.



Qualcuno grida al golpe, ma non è così – l’incipit non è casuale – sul piano della forma costituzionale nulla c’è da eccepire (il professor Rodotà, al contrario di Grillo, l’ha subito compreso) perché la Costituzione indica con precisione i comportamenti ed i passi da compiere, nega senza remissione ciò che non può essere fatto o richiesto, ma lascia immensi varchi aperti per ciò che “non urta” e “non è prescritto” dal dettato costituzionale.

Questi “varchi” sono, spessissimo, quelli occupati da leggi che necessiteranno del placet della Corte Costituzionale: campa cavallo...

Il professor Rodotà è andato oltre i voti del M5S e, forse, anche quelli di SEL: 217 voti, un quinto dei grandi elettori s’è chiamato fuori dall’inciucio, ma non contano e non conteranno più nulla.



Ciò che conta (in questo genere di elezioni) è la squadra che ha fatto una rete in più: come dopo una finale di Coppa, si va via con la gioia o l’amaro in bocca, ma si sapeva prima d’entrare allo stadio che sarebbe stato così.

In politica è diverso: dopo giungono “step” successivi...governo, ministri, sottosegretari, autorità varie, presidenti degli enti...lentamente, il potere allunga nuovamente i suoi gangli nel tessuto economico dal quale trae la linfa vitale. Come una specie aliena e senza morale, faranno i calcoli di quanto potranno ancora “raschiare” dalla popolazione – in accordo con l’UE e con Mario Draghi, che s’era persino dato per “disponibile” per occupare una poltrona in Italia: oh, quale generosità! – mentre Monti, il suo galoppino, già ha acceso la calcolatrice.



Scusate se mi tolgo qualche sassolino dalla scarpa: io, il pericolo di Mario Draghi – e, più in generale, dell’intromissione della BCE nei bilanci dei singoli stati – l’avevo già annunciato nel 2007 (sei anni fa), perché non rincorro mai la notizia. Andatevelo a leggere: il collegamento è in nota (1).



I fatti oggi accaduti sono soltanto l’inevitabile nemesi di quelle scelte e di quelle sottovalutazioni: se il PD pensava d’essere il raffinato salotto di madame du Châtelet, Grillo ci ha fatto la figura di uno sprovveduto Carlo Pisacane. Giungendo a non comprendere che quella “corsa a Roma” sarebbe stata tardiva ed insignificante e, per di più, avrebbe prestato il fianco a strumentali attacchi su quel “marcia su Roma” che sottendeva, o forse che qualcun altro amava sottendere e far risaltare.

Il “vae victis” lo ha pronunciato Alemanno “ma dove crede d’andare quello? Qui stamm’ a Rroma...”. In quelle parole di Alemanno c’è tutta la protervia, una vera e propria spada sul collo, della Casta trionfante.

Il popolo italiano che si ribella...che prende i bastoni...sì, va bene Grillo, tornatene a S. Ilario e sogna, sogna ancora. Per fare politica ci vuole sì il cuore, e tu lo hai dimostrato, ma ci vuole tanta astuzia che tu non hai proprio: troppo ondivago, indeciso, facilmente infatuabile.



Viene il rimpianto di sapere cosa sarebbe successo – quello sì che fu un momento di vero pericolo per l’Europa, Napolitano, Draghi e tutto il resto – se il M5S avesse risposto “vedo” alla richiesta di Bersani, iniziando una trattativa. Con tutta la libertà, dopo, di rifiutare l’invito, ma confrontandosi.

Così, quei nomi che hanno votato e scelto nelle “quirinarie” – invece di proporli – dovevano ascoltarli: Rodotà, Zagrebelsky, Imposimato...tutta gente che ha vissuto e lavorato in quei palazzi marcescenti e che li ha lasciati, chiudendo la porta con amarezza, con la sensazione di una vita trascorsa a dare buoni consigli inutilmente. Ascoltare, grillini, ascoltare: nessuno nasce “imparato”.

Adesso?



Ora tutto è compiuto: per i prossimi cinque anni regnerà ancora quel putridume che ben conosciamo, cementato dagli affari, saldato dal tradimento di Massimo d’Alema e dal pesante ed invisibile richiamo del Vaticano, e non aspettatevi altro che mazzate, mazzate, mazzate. Per la “crisi”, “l’Europa”, la “stabilità”.

Magari, fra un secolo – quando apriranno gli archivi USA – scopriremo quante di quelle persone erano state addestrate a Langley, Virginia.

Ironia della sorte, Berlusconi ha finalmente trovato il suo Delfino: Matteo Renzi – ben preparato dall’istitutore d’Alema, il quale riferiva ogni giorno al suo committente Berlusconi – che, con il tempo ed il variare dei partiti e delle alleanze, ci ritroveremo un giorno alla testa di una “destra presentabile”. Del resto, lui è nato democristiano e potrà morirci senza patemi d’animo.



SEL, in questo gran schifo di tradimenti e d’incompetenze, è quella che ha mostrato più d’altri di comprendere ancora il linguaggio della politica ed ha tentato d’evitare l’inevitabile: non c’è riuscita, ma diamogli atto d’aver tentato.



E il M5S? Si trastullerà nuovamente sul Web, voterà contro a tutti i provvedimenti di legge, non avrà la minima possibilità d’intervenire: avevo previsto tutto, andate a leggerlo, il collegamento è in nota (2).

Mentre gli altri s’occupavano di “pedine” e “cavalli” da sistemare sapientemente prima dell’attacco finale, la Lombardi perdeva la nota spese e si chiedeva “come doveva fare”: Santo Iddio, ragazzi!

Lenin non fece una piega ad allearsi con i menscevichi, e negli intervalli dei lavori parlamentari i dirigenti rivoluzionari facevano pratica con le armi: andò – storicamente – come andò, ma Lenin nel 1917 vinse la sua partita.



Pazienza: a proposito, Lombardi, ha ritrovato la nota spese?



(1) http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=3908



(2) http://carlobertani.blogspot.it/2013/03/giorni-di-nuvole.html

12 aprile 2013

Dieci piccoli marziani



Dieci saggi. Sette samurai. Quattro cavalieri dell’Apocalisse. Sette uomini d’oro. Quattro amici al bar. Tre capi di Stato a Yalta. Cinque “amici miei”. I seicento di Balaclava.

Chissà perché, Napolitano ha scelto il “dieci”: oddio, per quel che hanno “prodotto” non serviva tanto clamore, Crozza è stato il vero vincitore di questa strana partita, mostrandoli mentre giocano a pallone e s’intrattengono con le “saggette”.

Ma veniamo alla loro “produzione”, che è una chicca del “sapere politico” italiota degli ultimi sessant’anni.

Legge elettorale

“Superare la legge elettorale vigente.” E’ il titolo che i nostri soloni hanno scelto per risolvere il problema: come? Beh, dunque...ehm...un po’ maggioritario ed un po’ proporzionale...un “ragionevole” premio di maggioranza...un “alto” sbarramento...e poi, perché non aboliamo le circoscrizioni estere? Ma sì, dai: andiamo a pranzo. Te le lavi prima tu, le mani, o Pilato? Prima Pilato, certo.

Il Parlamento e la governabilità

Qui ci sono le vere novità ragazzi, tenetevi forte perché non avete mai sentito cose del genere: Camera “politica” e Senato “regionale”, con una sensibile riduzione dei parlamentari stessi, delle commissioni...insomma, di tutto l’ambaradan. Da sottoporre, ovvio, in tripla lettura al Parlamento per l’approvazione. Che risponderà con una triplice pernacchia, come le altre volte.

Finanziamento ai partiti

Ci devono essere, poche storie. I soggetti controllori dovranno essere “esterni e indipendenti” – ah, ah, ah... – perché i finanziamenti servono affinché i ricchi non s’approprino della gestione politica. Non sapevo che Berlusconi fosse povero.

 
Legge sul conflitto di interessi

S’à da fa. Proposte:.......................................................................................

 
Incompatibilità all’elettorato passivo

Giudicherà un giudice “indipendente ed imparziale”, ossia un giudice qualsiasi, perché se manca l’indipendenza e l’imparzialità scema completamente la funzione giudicante. Poi, i “trombati” dal giudice ricorreranno in Appello, Cassazione, Corte Costituzionale la quale, finalmente, darà loro ragione. Che si farà dopo?

Comitati etici

Questa è una vera novità, una sapiente “penzata” dei nostri saggi: i parlamentari nomineranno quattro “saggi etici” – per ciascuna camera – che dovranno vigilare sui conflitti d’interesse (ma non si doveva fare già una legge?) e su tutti gli arricchimenti, le cose poco chiare, insomma...la normale attività dei nostri parlamentari. Spernacchio io per tutti o c’è qualcuno che vuole farlo personalmente?


Albo delle lobby alle Camere

Già, ci sono le lobby, le quali non sempre sono “trasparenti”. Facciamo un bel “albo”, così dopo ci appiccichiamo le figurine. Ti do tre Tarantini in cambio di un Carboni: ci stai?


Le intercettazioni

Qui c’è un piatto ricco: vanno fatte, ma solo “per cercare le prove, non il reato”. Ehm, saggi...facciamo un esempio. Ascolto Tizio perché ho il sospetto che si trombi Alma in cambio di contratti per Caio. Mentre sto intercettando, telefona Sempronio che dice “Aò, gliel’ho fatta! Trecento milioni...ti ricordi quella storia dell’appalto per il viadotto sulla ferrovia? L’ho dato a Calpurnio in cambio di trecento testoni!”. Che fa il giudice? E l’obbligatorietà dell’azione penale? Volete correggere il tiro, saggi, oppure va bene così?


Una Corte politica sopra il CSM

Questa è proprio una bella pensata. Oddio, non è che io provi gran simpatia per il CSM o per la Corte Costituzionale – diffido degli alti papaveri – ma la trovata è geniale per un ragazzino delle medie, penosa per dei “saggi”. Creare un secondo livello, anche per la Consulta (e perché solo loro devono averne uno solo?) formato da un terzo di magistrati, un terzo di nomina politica ed un terzo di nomina presidenziale. Ingegneri! Trentatrè, trentatrè e trentatrè, come diceva Leonardo. Il controllo, così, è completo: ma...lo siete o lo fate?



E veniamo ai “saggi economici”

Dopo un preludio in Re bemolle minore, adagio con sentimento – nel quale si ricorda che gli italiani sono sempre più poveri, che serve un miliardo per pagare la cassa integrazione in deroga e che bisognerebbe (ma va?) creare lavoro – danno le loro ricette. Facciamoci ‘sta pizza.



Reddito minimo

Non si capisce se è un assegno di disoccupazione oppure un reddito di cittadinanza: viene definito “oneroso” ma interessante, “si valuti”. Insomma, non perdiamolo per strada anche se i soldi non ci sono: pensato a tassare i trasferimenti finanziari? Le tasse sul gioco d’azzardo? I famosi 98 miliardi che sono alle Canarie nell’attesa di partire per le Cayman o chissà quale altro posto? Hanno avuto poco tempo – si giustificano – e raccomandano solo di “valutare”. Chi valuterà? Boh...


Riprendere i negoziati con la Svizzera

Eh certo, i soldi dei nababbi in Svizzera: vogliamo o no andarli a prendere? Appena ho letto, ho chiamato subito mio figlio e gli ho dato 10 euro. E’ un acconto dalla Svizzera – figlio amato – così sarai ricco quando papà non ci sarà più...


Eventuali entrate subito per ridurre tasse sul lavoro

E’ bello avere delle speranze, stupendo. Così, si possono scrivere tanti libri dei sogni: se – con l’attuale sistema in vigore (euro, tassazione, redditi, ecc) – si troveranno dei soldi, sarà meglio darli a chi lavora mediante una riduzione delle tasse. Dipendenti? Statali? Autonomi? Non dicono altro. Rassicuratevi: con il loro andazzo soldi non ce ne saranno mai, quindi è solo aria fritta.


Il fisco disincentiva la famiglia, cambiare per più nascite

Non si fanno più bambini, i vecchi non hanno abbastanza soldi per andare al ricovero: la famiglia deve farsi carico di tutto. Ce n’eravamo accorti, anche se dei vecchi abbiamo più rispetto di voi.

Rimedi? “Segnalano “l’opportunità di ripensare l’attuale sistema fiscale”. Come nell’ultimo anno?

Al posto vostro, dopo l’IMU e la TARES metterei la PIPPA (Prelievo Italiano su Produttori Patate & Affini), la TARPA (Tassa Automatica Rinnovo Patenti Automobilistiche), la CESOIA (Contributo Erariale Sanità Obesi Inappetenti e Asfittici)...continuate voi, la fantasia non vi manca. Poi, fanno cenno al “grande” problema italiano: l’invecchiamento della popolazione (che è una bufala inventata da loro) al cospetto della bassa natalità. Un altro “colpetto” alle pensioni? Magari verso gli ottanta, sì...ma per fare nuovi asili nido, sia chiaro!

FINE


I saggi hanno parlato. Di tutte le ipotesi sollevate dal Web (e non solo) non una parola. Euro, signoraggio, reddito di cittadinanza...niente, oppure messo in modo da mostrare che ne avevano parlato. Sì, per farsi delle grasse risate.


Devo confessare che, osservando le recenti immagini di Marte, mi sono fatto l’idea che certe strane formazioni non potevano essere casuali: probabilmente ci fu una civiltà su Marte. E se ci fosse ancora, ben nascosta nel sottosuolo?

Vi nominiamo “saggi esploratori spaziali”, in grado di portare lassù – dove navigano nel buio per le loro riforme – un po’ di luce. Già che ci siete, portatevi appresso anche l’undicesimo, quello che vi ha nominati.

Rettifica: e se i marziani s’accorgono della fregatura e ci attaccano con le loro armi spaziali?


Non se po’ fa. Ma non lo troviamo qualche posto da saggio giardiniere, saggio pescatore, saggio spazzino con la scopa di saggina per ‘sti saggi?

E’ vero, c’è proprio poco lavoro, anche per i saggi. Ultima domanda: quanto avranno preso per ‘sto distillato di saggezza?



09 aprile 2013

Cercasi lavoro, disperatamente


Giorni fa è comparsa sul Web una notizia (poi rivelatasi una bufala, un pesce d’Aprile) la quale riportava che Elsa Fornero era pronta a saltare sul carro del vincitore, ovvero Berlusconi: non credo che ci siano dubbi su chi sta galleggiando meglio in questa partita del dopo-elezioni, poiché è chiaro a tutti che il PD è in decomposizione, Monti in estinzione e Grillo crede di vincere le prossime elezioni alla grande. Veramente, ci crede davvero.

Attualmente, le astensioni (nei sondaggi) raggiungono il 37%: come sempre, le prossime elezioni non saranno una partita a chi prenderà più voti, bensì a chi ne perderà di meno, com’è stata l’ultima tornata elettorale.

Ma torniamo alla Fornero.


La notizia era una bufala distribuita da un’agenzia giornalistica, però non c’è stata la smentita di Elsa Fornero: molto probabilmente, lei ha veramente cercato un abboccamento, ma dall’altra parte la risposta è stata tanta gentilezza e porte chiuse. Berlusconi vuole cancellare la sua riforma (vedremo poi, cosa farà) e non può prendersi sul carro la persona più odiata d’Italia.

Perché una simile ansia d’avere un posto? Uno qualunque, in qualsiasi governo ed a qualsiasi costo: è una necessità primaria per la Fornero, altrimenti c’è lo spettro del Max Planck Institut di Monaco di Baviera, che gentilmente s’è offerto d’averla nel suo corpo docente. E col tedesco, come andiamo? Spreche Sie nicht? Ahi, ahi...


La vicenda di Elsa Fornero non può assurgere ai toni della tragedia, bensì rimarrà per sempre confinata nel limbo della farsa. Italiota, per giunta: per questo abbiamo accompagnato l’articolo con la vignetta satirica (e pesante) di Vauro. La vignetta, in sé, non è pesante per l’evidente allusione al noto modo di dire del mondo della prostituzione: la Fornero s’incacchiò mica poco con il vignettista, ma non capì nulla.

La ministra “defensor” dei diritti delle donne, all’epoca non capì una mazza: c’era bisogno di qualcuno che – senza tante chiacchiere – colpisse in modo durissimo sulla previdenza, massacrando gli italiani.

Dalla ordinaria “quota 96” (60 anni e 36 di contributi) si è passati d’un balzo alla “quota 104” (62 anni e 42 di contributi): è del tutto evidente che nessuno può raggiungerla, a meno d’essersi diplomato a 18 anni, aver riscattato 4 anni d’Università e poi, magicamente, aver trovato lavoro subito, ma proprio in un lampo.

Cosa ancora (teoricamente) possibile per le generazioni anni ’50, ma praticamente preclusa alle classi successive, a causa della fine del miracolo economico, che “dilazionò” di molto quei tempi.


Oggi – “fondendo” la precedente riforma Sacconi (ogni tot, tre mesi in più) con la sua – Elsa Fornero ha praticamente annullato la previdenza: chi oggi ha 50 anni può ragionevolmente prevedere di ricevere una pensione decurtata (e parecchio) verso i 69 anni.

Monti è un gran figlio di...ma è furbo: Elsa è la moglie di un suo buon amico, il professor Deaglio, ed ha “sdoganato” la donna aprendole il mondo della pubblicazione nel lontano 1978, quando firmò come coautore il primo libro della Fornero.

La “genesi” della Fornero è un capolavoro piemontese: un mix di libro Cuore, di shopenaueriane ecchimosi filosofiche di Norberto Bobbio, di preghiere al chiarore delle candele nella chiesa della Consolata e di tutti i mal di pancia di una ex capitale divenuta una caccola ai confini del rinnovello impero romano.


Lei, nasce nel 1948 ai bordi della città della FIAT, appena un poco più vicina di Ivrea, la città della Olivetti ed è di famiglia povera: dopo la guerra, se si nasceva poveri s’era davvero poveri ma si sopravviveva. Ci sono ancora due cose che io non riesco proprio a mangiare: il pancotto – chiamato in piemontese “panada” – e riso castagne e latte. Immaginate il perché.

La immagino in una casa dalla grande aia (come le tante che ho visitato nel Canavese), con le galline che razzolano ed i conigli al riparo sotto le arcate nelle gabbie di legno: forse qualche mucca che sbatteva la catena anche di notte, nella stalla, ed il maiale che grugniva nella sua porcilaia, fino a Natale. E’ la stessa casa – ovviamente rimodernata – dove abita oggi, a testimoniare un radicamento con i luoghi terrigno, ancestrale, quasi irrazionale a fronte di tanta razionalità mostrata in pubblico.


Mostra grande attitudine per lo studio e quindi, tutte le mattine – nella nebbia e nella bruma mattutina, quando i pioppi sembrano soldatini ordinati per l’assalto e le macchie luoghi misteriosi, dai quali può scaturire improvvisamente l’unicorno – prende l’autobus che passa per Ciriè, San Maurizio, Caselle...e poi giù, fino al “Peano”. Poiché l’istituto tecnico per ragionieri della città sabauda era uno solo all’epoca, ed era il Peano: quando lei faceva quinta un mio compagno d’Università faceva terza, non s’era così lontani.

Suo compagno di classe fu Cesare Damiano: due ministri usciti dalla stessa scuola...mica male!


Dopo, la strada (all’epoca) era obbligata: Economia e Commercio, dove conosce il suo futuro marito, Mario Deaglio. Qui la sua vita cambia, perché i Deaglio – a Torino – non valgono mica quanto gli sconosciuti Fornero!

Deve abituarsi agli standard dell’alta borghesia: lo fa, ma traspare sempre – anche fosse diventata segretario generale dell’ONU – la sua semplicità contadina, il lessico arruffato, il continuo timore d’essere inadeguata, non compresa.

E ti credo che la gente non ti capisce!


Prima si sente affermare dal presidente dell’INPS che i conti sono in ordine ed il sistema è sostenibile – nel decennio 2001-2011 l’aumento della speranza di vita è stato di un anno, quello della “speranza di pensione” almeno di 5 – poi arriva lei e chiude tutte le porte, come le ha ordinato Monti: fa terminare la scuola il 31 Gennaio, dimenticandosi (?) che la scuola ha un suo calendario, che va dal primo Settembre a quello dell’anno successivo, sul quale si sono sempre regolate le domande di pensione, di trasferimento...tutto. No, arriva lei ed è 31 Gennaio.

En passant, si “dimentica” di qualche centinaio di migliaio d’esodati, termine nuovo per definire ciò che è sempre avvenuto nel privato, il quale non sa più che farsene della gente di 55 anni, figuriamoci dei sessantacinquenni! Sono i tradizionali “prepensionamenti” dell’industria: per lei non esistevano, “non sapeva”.


E’ veramente difficile crederlo, perciò proponiamo un’altra lettura: a Monti serviva una faccia tosta in grado di sostenere tesi inammissibili per incamerare e mettere a bilancio non le pensioni – di quelle gliene frega poco – bensì i TFR/TFS, le liquidazioni. La Fornero, diligente, le sposta a due anni e mezzo dalla fine del rapporto di lavoro e, per i dipendenti pubblici, non è ammesso nessun anticipo.

In questo modo, Monti ottiene un avanzo primario che lo soddisfa: può elargire alle amiche banche tutti i soldi che chiedono, esentare le fondazioni bancarie (che, spesso, possiedono rilevanti pacchetti azionari delle banche stesse) dall’IMU e così Draghi approva, Napolitano approva, l’UE approva...

Il bello – si fa per dire – è che approvano anche Berlusconi, Bersani e Casini, più i sindacati, compresa la CGIL. L’accerchiamento degli anziani è completato dagli iniqui “prelievi di solidarietà” sulle pensioni che scattano dai 1400 euro (lordi) in su: intanto, il Bandito Giuliano continua a godersi 31.000 euro di pensione, ma non è solo, sono migliaia come lui!


Alla fine della storia, la frittata inizia a scoppiare: tutti avevamo pensato che piangesse per il dolore che dava a milioni di persone: non è vero. Piangeva di commozione, come avrebbe fatto qualsiasi figlio di contadini giunto in quella posizione: le sue lacrime erano d’emozione “guardate, papà e mamma, fin dove sono arrivata”, ecco l’amara verità.

Altrimenti, per il suicidio dei tre marchigiani, non si sarebbe limitata a dichiarare la sua “sofferenza” (mai disgiunta da un’oscura sofferenza personale che richiama ad ogni piè sospinto), con l’assurda giustificazione che i tre “avevano sofferto troppo la crisi”.

Provaci tu a campare con 500 euro il mese, poi vedremo per cosa piangi.


Di cosa soffre la Fornero?

La sua paura – dopo una vita passata fuori di casa – è quella di non poter tornare alla sua casa avita. Lei, la pensione ce l’ha, e di quelle che ci stai comodamente dentro. E allora?

Quante persone ha fatto morire la signora? Quante soffrono indicibilmente per le sue “visioni” del 2030, 2040, 2050...mettere a posto i conti per quella data...fare in modo che il sistema pensionistico sia sostenibile, e tutte quelle balle che ci tocca sorbire su INPS ed INPDAP per non toccare la sua riforma o, peggio, per inasprirla ancora.

Una telegrafica risposta: se io sapessi cosa succederà nel 2030, punterei i miei soldi su un “qualcosa” che sarà vincente per quella data. E’ solo un’ipotesi? Allora non vale nulla, come le previsioni di traffico ferroviario per la TAV.


Sempre più persone si stufano di recitare la parte dei topi nella gabbietta: di mangiare, lavorare e prendere tonnellate di psicofarmaci, come ogni persona anziana – cosciente o no – ingurgita. Il consumo di psicofarmaci è giunto al 25% della popolazione, ed una buona parte sono anziani. Il medico ascolta, poi scrive “prenda questo...poi mi dice come va...”. Il più delle volte, l’anziano non sa nemmeno di prendere una pillola che ha il solo scopo di farlo sopravvivere negandogli le emozioni, cosicché viene recluso in un limbo asettico dove le emozioni, soprattutto quelle negative, sono attenuate. E quelle positive? Fanne a meno, tanto sei anziano.


Allora, facciamo due calcoli statistici: non ha gran importanza la precisione, bensì l’ordine di grandezza.

Quante persone ha fatto precipitare nella disperazione miss Fornero?

Ci sono 3-400 mila esodati, più almeno 4-5 leve di lavoratori che si sono visti spostare la pensione di 5 anni: facciamo 2-3 milioni di persone? Fa lo stesso, tanto il risultato sarà eclatante e spiegherà i timori della Fornero.

In Italia sono registrate circa 10 milioni di armi portatili: per la caccia, la difesa od il tiro a segno.

Un ventesimo della popolazione (i tre milioni sopra citati) possiedono, in media, 500.000 armi da fuoco.

Cinquecentomila pistole e fucili nelle mani di chi, per un motivo o per un altro, si è sentito tradito dalla ministra (che, all’inizio, predicava “equità”) e potrebbero, prima d’impiccarsi o gettarsi in mare come hanno fatto i marchigiani, vendicarsi.

Ne basta uno: è sufficiente per avere il sospetto che, oramai, sia una dead woman walking?


L’unica speranza di Elsa Fornero è quella di godere, con certezza, di una protezione a vita: solo rimanendo nelle alte sfere può sperarlo, altrimenti deve correre il rischio. Il Max Planck Insitut? Certo, potrebbe essere una soluzione, ma un pazzo può acquistare anche un biglietto per Monaco di Baviera...e poi...che vita è, confinati fra la Germania ed il portone di casa sbarrato?

Elsa Fornero – per terminare con il grande storico Carlo Maria Cipolla – è una stupida perché è riuscita, contemporaneamente – sempre usando le categorie di Cipolla – a fare del male a se stessa ed agli altri, come solo gli stupidi riescono a fare.

Ecco perché, anche il suo preteso femminismo è tutto di facciata: è stata usata per fare il lavoro sporco e chi lo ha fatto sapeva benissimo d’usarla prima di gettarla nella spazzatura della Storia. Né più e né meno di una qualsiasi Ruby Rubacuori: soltanto per altri scopi e con altri mezzi. Per questo, le donne che ha mandato al lavoro fino a 65 anni, dovrebbero difenderla invece d’odiarla: paradossale, vero?


Infine, il disinteresse per il mondo della previdenza è sì comprensibile, ma è doloroso: è normale che s’inizi a pensare alla pensione dopo i 55 anni, perché è in quel momento che le forze scemano. Prima, neppure io ci pensavo, eppure la trepidazione la leggevo negli occhi dei colleghi più stanchi.

I giovani hanno un pensiero diverso al riguardo: appena sentono la parola “pensione” ritengono che la cosa non li riguardi “perché, tanto, morirò prima”, “io non ci andrò mai” e cose del genere.

Su questa sottile dicotomia nella percezione del fenomeno d’origine psicologica ma, soprattutto, sociologica hanno giocato alla grande gli alti gradi del ministero del lavoro, della funzione pubblica e dell’istruzione, della banca d’Italia...e la risposta è stata: “meglio i cinquantenni che protestano sotto le finestre dei ministeri che i giovani”.

Ergo: telefoniamo a Monti...“hai qualcuno sotto mano per sbattere in pensione la gente a 70 anni?”...“Se po’ fa, se po’ fa...ho la moglie di un mio caro amico che smania...è una di quelle tutto calcoli e previsioni, “vedo e prevedo”, ma non si rende conto del pericolo – questo è il bello! – è un’invasata...non riesce a capire il rischio che corre...per lei andare in televisione è come salire di un grado nella scala sociale...io, alla pari con Maria de Filippi...poveraccia...si rammentasse di Biagi e D’Antona...usa e getta, così fa lo Stato. Va bene, la chiamo io: no, anzi, prima parlo col marito...sapete, le donne...”


Ironia a parte, rimane la spaccatura fra generazioni che è riuscita alla perfezione: in aggiunta, visto che il lavoro i giovani lo vedono con il telescopio, gli anziani devono rimanere al lavoro per mantenerli!

Questo è un dato risaputo: chi frequenta birrerie e paninoteche? Discoteche e locali da ballo? Chi corre dietro all’ultima “firma” del mercato? Chi desidera, con smania, di mettere i piedi a Sharm? Chi vuole l’ultimo tipo di motociclo, d’automobile, di SUV?

Il giovane è un consumatore perfetto perché la vitalità di quegli anni conduce al consumo e, in più, ha buoni motivi per farlo: deve rimorchiare, e sul “rimorchio” non si bada a spese. Deve essere protetto perché è il solo che “propende” per la crescita, eccezioni a parte, ovvio.


Ieri ho incontrato una ragazza di 26 anni, conosciuta in treno: fa la commessa in un negozio di frutta e verdura. La prima cosa che ci ha detto è stata che la madre, sofferente di tumore, era morta: il padre se n’era già andato anni fa.

Ora rimangono loro, 26 e 24 anni, entrambi precari – anzi, peggio, quasi schiavi – lui lavora in una fabbrica dove non si sa fin quando durerà: queste sono le eccezioni del “piano” – mia bella Fornero – al quale non hai pensato. Loro i genitori non li hanno più: per loro la precarietà s’incontra con la vita che non è a singhiozzo, il pane bisogna pagarlo tutti i giorni.


Le teorie così ben congegnate hanno un punto debole, che però non si realizzerà mai in Italia: la rivolta aperta, la contestazione permanente, la piazza. Quante piazze ha riempito l’Italia per nulla, da Masaniello a Cola di Rienzo! Solo più Grillo ci crede, o meglio, mostra di crederci.

E’ sbagliato far credere a dei giovani che il futuro sarà loro perché la gente “userà i bastoni”: informati Grillo, la brigata dei Carabinieri “Granatieri di Sardegna” è sempre dislocata nei dintorni di Roma, ed ha una forza militare in grado di schiacciare qualsiasi rivolta.


Se hai letto Sun-Tzu – caro Beppe – t’appare chiaro e lampante che questa era una classica situazione di “fleet in being”, ossia di trattativa: le forze nemiche sono ben organizzate e preponderanti, in Parlamento e fuori. Si deve cercare di dividerle, di frammentarle mantenendo coese le proprie: mi sembra proprio che stia accadendo il contrario.

Peccato per i sessantenni cui toccheranno altri anni di lavoro, peccato per i giovani che smozzicano un lavoro ogni tanto ed hanno bisogno della famiglia come il pane, per sopravvivere. E nessuno che rompa questo giro perverso: altro che “patto” fra le generazioni.

Vedremo, chi avrà il coraggio e troverà il modo di realizzarlo.