15 luglio 2016

Parole inutili


A che serve piangere i morti? A niente. Non si confortano i vivi, tanto meno si fa qualcosa per i trapassati.
E’ del tutto evidente che – dalla cosiddetta “primavera araba” – l’attacco è salito all’Europa, non avevamo dubbi in tal senso, e riteniamo che anche la vittoria di Brexit faccia parte di questa strategia: isolare la Gran Bretagna dall’Europa toglie all’UE la metà delle potenzialità d’intervento militare nell’area mediterranea, navi, aerei, uomini e, soprattutto, basi.
La NATO? Qualcuno crede ancora nella NATO come “alleanza” militare? A quel presidio militare statunitense in terra europea? Auguri, gli sciocchini possono accomodarsi. C’è, però, ancora un modo per tentare di fa venire a galla i veri mandanti, che non sono “l’America” – come qualcuno crede – ma forze interne all’apparato militare USA, ai servizi segreti, legati a doppio filo col mondo petrolifero. Che è transnazionale.

Serve a qualcosa bombardare quattro scalzacani nel Nord dell’Iraq o nell’Est della Siria? E’ servito a qualcosa? Allora, se vuoi eliminare la malattia, devi colpire i gangli vitali, le fonti di finanziamento: segui i soldi, non seguire le armi o qualche ridicolo califfo. 
L’Arabia Saudita ha mai preso una posizione chiara ed inequivocabile contro il terrorismo, sia esso nella versione 1.0 chiamata Al-Quaeda e sia nella 2.0, denominata ISIS? No, perché Osama Bin Laden faceva parte della famiglia reale saudita, era uno dei 25.000 che hanno questo privilegio, faceva (o fa?) parte della corte di Ryad.
Ha eseguito con dovizia e professionalità i suoi compiti, dalla Bosnia all’Afghanistan, sempre dalla stessa parte: sempre contro i russi ed i loro alleati, e non diteci che Ryad non sapesse nulla…oh my God…non raccontateci frottole da festa di paese!
Poi è arrivato un altro fantoccio, il cosiddetto Califfo: sarà il cognato del mullah Omar? Od il cugino del cognato dello zio di Saddam Hussein?
Per favore: la carne tritata dei bambini di Nizza sanguina ancora sulla promenade des Anglais, non infiorate l’asfalto con parole indegne, stupide e prive di senso.

Certo, Hollande è in un bel guaio. Quasi completamente ereditato, dai tempi di de Gaulle – ricordate quel “Ici est la France!” pronunciato alla folla di Montreal? Gli americani si chiesero: “Why Canada must be French? –  già, eredità malsane se non puoi permettertelo…ma all’Eliseo, oggi, c’è lui, e qualcosa deve inventarsi. Altrimenti, se ne vada.

La Francia, poi, ha aggravato la sua situazione correndo dietro all’atomo di Areva, e allontanandosi troppo dai destini (e profitti) delle Sette Sorelle, come i tedeschi correvano dietro al progetto Desertec: lì non è stato necessario fare molto, è bastato togliere di mezzo il referente in terra africana, ossia Gheddafi, e nemmeno un Watt giungerà mai dal deserto libico. Anche Mattei fece la stessa fine, pur essendo un petroliere ma – diciamo – un petroliere “illuminato”, che era già di troppo nel mondo del barile puzzolente.

Può fare qualcosa Hollande? Dubito, salvo sganciare un po’ di bombe, ammazzando quattro idioti armati e quattromila innocenti disarmati. Può incarcerare sette milioni di francesi d’origine maghrebina? Nemmeno Marine le Pen potrebbe farlo, anche se magari lo dice, tanto per acchiappare qualche voto.
Un lavoro d’intelligence, sul fronte interno, sarebbe auspicabile, ma richiederebbe anni: nel frattempo, rimarrebbe qualcosa delle città francesi? Sarebbe un “lavoro” sullo stile israeliano: la Francia può permetterselo? L’Europa? Non facciamo ridere.

Sapendo che il flusso di denaro per il “califfetto” & i suoi tirapiedi parte da Ryad, proviamo a ribaltare la situazione.
Sarebbe come, se noi radessimo al suolo Algeri, Tripoli od il Cairo, gli altri bombardassero quattro idioti sulle Alpi o nella Foresta Nera. E chissenefrega, sarebbe la risposta più ovvia.

Fatto salvo che ammazzare degli innocenti non serve a nulla – anzi, peggiora la situazione, quindi più niente bombe sulle cittadine orientali – si può provare a fare questo discorso:

“Cari colleghi del governo saudita (ed alleati: Qatar, EAU, Kuwait, ecc) al prossimo attentato in terra francese, arriverà una pioggia di missili su Ryad. La raderemo praticamente al suolo, senza armi nucleari – ovvio – bastano le navi e i sommergibili della Marine Nationale.
Non “se ritirerete l’appoggio”, “se smetterete di finanziare”…eccetera…no, al primo attentato in terra francese scateneremo l’inferno sulla vostra bella “perla”, dove le donne non guidano, dove non si può bere una birra in santa pace e dove il boia affila la scimitarra un giorno la settimana e quello dopo pure.
A voi così piace vivere, vi rispettiamo, ma c’infastidisce un po’ che, qui da noi, si debba lavare l’asfalto così spesso, e che l’acqua sia rossa di sangue.
Dopo, non vi lamentate: siete stati avvertiti.”

Hollande potrebbe inviare la missiva per via diplomatica, ufficialmente, alla luce del sole, in modo che non vi sia nessun fraintendimento: dopo – come diceva Jannacci – sedersi, “per vedere di nascosto l’effetto che fa”. Nel mondo diplomatico, ovvio.

Altrimenti, caro Hollande, vai in Tv e dì ai francesi: “Cari francesi, dobbiamo abituarci ad un paio, forse tre attentati l’anno di questo tipo nella nostra terra. La polizia vigilerà, ammazzerà gli attentatori, i pompieri interverranno, le ambulanze pure e creeremo una bella unità di soccorso psicologico permanente, per spiegare ai francesi che dobbiamo crepare in silenzio, senza far troppo rumore.”

Poi, dimettiti e vai a goderti la pensione in un ameno paesino della Bretagna, con la tua amante ed una bella montagna di Viagra. Fino all’inevitabile infarto: così te ne andrai anche tu, in silenzio, senza disturbare troppo.

Adesso, caro Hollande, scegli.

11 luglio 2016

Brutta storia



I cinque poliziotti uccisi a Dallas – Dallas? Curioso, vero? – rappresentano uno spartiacque da molto tempo mai più oltrepassato. Dai tempi delle Pantere Nere? O dalla rivolta di Sand Creek? Forse. Il presidente nero si limita a commentare “Tutte le persone imparziali dovrebbero essere preoccupate”, e non ci sentiamo di dargli torto, ma riecheggiano ancora, nelle nostre orecchie, le parole di Malcolm X pronunciate all’indomani dell’assassinio di John F. Kennedy: “La violenza che i Kennedy non sono riusciti a calmare ha finito per rivolgersi loro contro”. Purtroppo, nemmeno a questa riflessione riusciamo a dar torto. E si torna a Dallas.

Eppure, qualche segnale, qualche sforzo per cambiare c’era stato, come quando la Guardia Nazionale accompagnò fra i banchi della recalcitrante università dell’Alabama gli studenti neri: la scena è riportata nel film “Forrest Gump”, e molti altri film come “La calda notte dell’ispettore Tibbs” cercarono di “rieducare” un popolo che non vuole e non riesce a comprendere dove finisce la propria libertà ed inizia quella altrui.
Le pistole sono solo il triste epilogo di un pensiero mai evoluto, mai interiorizzato completamente: pur essendo presente un vigoroso patriottismo, l’americano medio, nei suoi sogni proibiti, desidererebbe ogni giorno una bella prateria, solo per lui, con relativi indiani da prendere a fucilate.
La vicinanza lo urta, le mode lo condizionano – se fumate in una strada di una qualsiasi città degli USA, la gente si scansa – soffrono il prato del vicino di casa perché meglio rasato, la macchina nuova del cognato…sono un popolo prigioniero dei media – che devono veicolare consumi – i quali sono decisi dalle lobbies, alle quali basta corrompere poche centinaia di parlamentari per raggiungere i loro obiettivi.

Non volevo parlare di armi, ma togliamoci il sassolino dalla scarpa. I due ingredienti: una costituzione del ‘700 – vergata quando la gente portava naturalmente la spada al fianco – e la fortissima American Rifle Association la quale, ogni volta che si deve votare sulle armi, paga qualche parlamentare e la legge va nel cestino. Cosa cambia se una pistola te la consegnano solo dopo una settimana (Stato di New York)? La moglie l’ammazzi dopo.

Il problema non è qui, come ha spiegato esaurientemente Michael Moore. Il problema è accettare il “diverso” da te, impedire che nascano plotoni di “giusti” e di “diversi”, “Ragazzi della via Pal” che si sparano.
I neri, in America, li hanno portati gli americani stessi: qui c’è una enorme differenza con l’Europa. Per noi si tratta di un fenomeno nuovo: se seminassimo un po’ di bombe in meno, se non distruggessimo gli habitat naturali (le strade, in Ciad, sono disseminate di residui della raffinazione dell’Uranio: leggi AREVA, capisci FRANCIA), se non riducessimo i fiumi a delle cloache ove gettare gli scarti del petrolio (vedi Nigeria, compagnie petrolifere, ENI in testa) forse, la gente non scapperebbe.
Finché non abbiamo realizzato un bel gioco a “RISIKO” in Siria, i siriani stavano a casa loro, in Libia (sotto “il despota” Gheddafi) nascevi con la pensione (o reddito di cittadinanza che dir si voglia) ed era, per reddito pro-capite, la seconda nazione africana, dietro il Sudafrica.
Quindi, chi è senza colpe scagli la prima pietra.

Gli americani, di colpe, ne hanno un intero mazzo. Prendetevene una vista, ma è solo l’antipasto: di queste foto, ce ne sono a decine, e tanto è successo prima dell’invenzione della  fotografia:





Come si uscì da quell’abisso di turpitudine?
Con la promessa, in parte esaudita dal 1960 in poi, d’aprire le porte dell’American Dream anche ai neri. Perché?
Poiché l’alternativa sarebbe stata un ruzzolone non verso una guerra civile, bensì verso la guerriglia senza quartiere fra il KKK ed i Black Panthers. Per questa ragione i neri entrarono nelle Università americane, finì la discriminazione razziale nell’istruzione e nel welfare: per non passare ai massacri a 2, 3, poi 4 cifre. Per giunta endemici: come disse Mao-Tse-Dong, “Il potere passa nella canna del fucile”, e Dio sa quanto è vero!
Cos’è successo oggi?

Il neo-liberismo imperante ha richiesto la chiusura dell’American Style of Life: troppo costoso, che si adattino alla paga minima sindacale, 6 dollari e pochi centesimi l’ora, così i profitti delle Major crescono, le azioni pure ed esporremo in pianta stabile il toro a Wall Street.
I risvolti sociali? Cavoli dei governi, e della Guardia Nazionale. Se vogliamo trovare riscontri in Europa, cavoli dei governi nazionali, l’Europa tira dritto e non si tocca.
Così avvenne: la famosa middle class, la spina dorsale degli USA, iniziò ad essere intaccata dal basso: sempre più americani lasciarono le casette col prato, con la scritta “For sale”. Crollo del mercato immobiliare, come in Italia.

Dopo tanti anni di corsa verso l’integrazione, però, non furono solo più i neri degli slums a pagare il prezzo: una bella fetta di bianchi fini sulla strada, bianchi certificati, WASP in piena regola che campavano coi sussidi statali o le Charities delle fondazioni.
Al contrario, neri “rampanti” s’erano arricchiti ed erano saltati oltre la siepe: Obama ne è una prova, avvocato di grido prima di diventare presidente.
Risultato: io, bianco purissimo, discendente dei Padri Pellegrini, faccio il poliziotto con una paga da fame, che non mi consente certo il reddito del commerciante nero, del medico nero, dell’avvocato nero. Eppure, quello è nero. Giuro che il primo bastardo nero che mi capita sotto, e muove solo un’unghia, lo ammazzo.
Altrimenti, non si spiega la mattanza di neri da parte della polizia americana: c’è il solito odio sotto, quella del mio prato perduto, della mia prateria svanita, della vita di merda che faccio al posto di quella che m’avevano promesso, che hanno avuto i miei genitori.

Qui c’è un parallelo con l’Europa: il tizio che ha ammazzato il nero perché aveva reagito all’insulto (scimmia!) non era certo un banchiere od un capitano d’industria. Viveva in mezzo ai campi in una baracca, e non conosceva i motivi della fuga di Emanuel dall’Africa – ed era inutile spiegarglieli, perché non li voleva capire! – dato che la percezione del sottoproletario è questa, già Marx scriveva dell’incapacità di essere “classe” (o gruppo, unione, ecc) dell’Umproletariat. Il limite dei sottoproletario è proprio quello di non saper riconoscere altri sottoproletari come lui: questioni di razza, religione e colore della pelle lo confondono.

Un altro aspetto, comune alle due sponde dell’Atlantico, è la sostanziale impunità della quale godono le forze cosiddette dell’ordine. In America, pistola elettrica per immobilizzare: quindi, colpo da 357 Magnum in testa per finire il lavoro. In Italia, niente armi da fuoco: bastano le botte ad ammazzare la gente, come nei casi Uva, Cucchi, Aldrovandi…poi la caserma Diaz, chiaro esempio di depistaggio e di insabbiamento.
Per i politici è necessità primaria mantenere la fedeltà delle forze cosiddette dell’ordine: stralciati dalle riforme pensionistiche, favoriti nell’assegnazione delle case popolari e perdonati se alzano troppo le mani. Quando ci scappa il morto, partono i depistaggi e gli attacchi contro magistrati “persecutori”.
Insomma, basta che non rompano i maroni e ci difendano, poi, se ammazzano qualche “tossico” (così definito dal loro alfiere Giovanardi), si perdonano…i nostri padroni non vogliono grane.  
E i padroni del vapore, come la pensano?

I grandi capi (ovunque siano, fate voi) hanno, fra di loro, un dissidio permanente – se riesco a fregarti un pezzo di prato, di banca, di fabbrica, di mercato o d’Ucraina quello è mio, e ci godo – ma una percezione della vita univoca: inizia con il gonfiore alla natica destra, dove tengono il portafogli, e termina con il culo della escort, che hanno pagato, e dunque è merce anch’esso. Una conferma.
Gli altri?

Sono soltanto i destinatari della merce, quella cosa che ti fa guadagnare soldi per il prato, la Ferrari e tutto il resto. A ben vedere, non c’è gran differenza di pensiero fra un sottoproletario ed un iper-capitalista: entrambi reagiscono ad istinti primari, che devono semplicemente soddisfare i loro bisogni. Non hanno alcuna percezione di spazi comuni, perché il mondo termina all’esterno del loro corpo (al più la famiglia, naturale o mafiosa) e dunque sono portati a disinteressarsene.

Ammazzano i neri? E chissenefrega! Ammazzano i bianchi? E chissenefrega! Ammazzano gli Utu? E chi cazzo sono ‘sti Utu?
Il mestiere della politica – che entrambi non riescono a comprendere – è quello, paradossale, di far sopravvivere il loro mondo, che permette il grande Monopoli di un euro il pezzo di profitto. E’ il capitalismo bonario dei Kennedy, di Obama, di Prodi e Berlusconi, di papa Francesco…e di tutti i “buonisti” della terra.
I quali riescono a spacciare questo sistema come “accettabile” fin quando si ammazzano 100.000 persone. Abbastanza lontane che nessuno possa accorgersene, se non di striscio. Dai, c’è la finale degli Europei, c’è il motomondiale, zitto e mosca.

Poi, un giorno qualsiasi, spunta un Micah Xavier Johnson qualunque con il suo fucile d’assalto di ex combattente in Afghanistan ed ammazza 5 poliziotti bianchi. La polizia lo ammazza e, nei giorni seguenti, uccide altri neri.
Per gli uomini di Wall Street non cambia nulla: e chi è mai Micah Xavier Johnson? Come va il titolo di Unilever? E quello della Mac Donnel Douglas? E allora…dammi cinque!
Non sono addestrati a capire, solo ad eseguire.
Gli uomini di governo, in versione “pompiere”, si danno un gran daffare a spedire messaggi nell’etere. Era uno sbandato! Non era legato a nessuna organizzazione! Un cane sciolto! Già, vero.

Non si rendono conto che, in una società come quella americana, Micah Xavier Johnson è già un idolo per i disperati neri, per i quali trovare un ferrovecchio che spara è più facile che, per noi, trovare una bottiglia di birra vuota ai lati di una strada. Quanti decideranno di non farsi più ammazzare in silenzio, per soddisfare le turbe psichiche dei poliziotti frustrati?

I politici?
Non hanno più il potere di far spendere qualche spicciolo in più per mostrare che esistono, per fare in modo d’allargare le maglie, e permettere che un poco di ricchezza in più calmi le acque. Non c’è più la ricchezza di un tempo (per ragioni geopolitiche) e nemmeno la speranza di procurarsela limando le unghie ai profitti: Wall Street nega. In questo, c’è un parallelismo inquietante fra USA ed Europa: il liberismo detta l’agenda, gli altri obbediscano.

Quindi?
In entrambe le sponde dell’Atlantico, il vero problema si chiama liberismo. Non è possibile che, in questa grave situazione, l’indice di Gini (che misura la disparità di ricchezza all’interno delle popolazioni) continui ad aumentare nella direzione di ancor maggiore disparità: ricchi ancora più ricchi e poveri ancora più poveri.
Negli USA, per un fatto singolare – la gran diffusione di armi – tale processo può condurre a mattanze senza fine, ad una situazione di scontro latente: molto dipenderà dal nuovo presidente, perché la Clinton o Trump hanno ricette molto diverse, ed è inutile fare previsioni. Anche se, come scrivevamo poco sopra, il margine di manovra della politica è veramente esiguo.
In Europa è la dissoluzione dell’UE il segnale precipuo: una dissoluzione oramai conclamata che porterà Olanda, Grecia, Svezia…poi tutti gli altri in coda. Ma non risolverà il problema, perché attinente ad altre cause. I vecchi stati nazionali sono ancora più deboli.

Solo una redistribuzione della ricchezza, ed una bella “calmata” sulle velleità imperiali, potrà far virare la nave verso nuovi lidi. In un caso o nell’altro, il capitalismo è spacciato: può scegliere fra una lunga agonia (in mano ai “buonisti”), oppure un colpo alla testa (con le ricette degli iper-liberisti). Altre alchimie non esistono.
Ci vorrebbero teste pensanti per immaginare il futuro, ma non ne esistono più, o molto rare e zittite. I passi da fare sarebbero di portata epocale, e la Storia non si ferma ad attendere chi rimugina senza scegliere.
Semplicemente, lo macina: servirà come concime per nuove società. Così è sempre stato, e così sarà.