27 dicembre 2017

Sera di Natale in Italia


La sera di Natale giunge stanca, e tutti ci domandiamo che festa sia S. Stefano: va beh, è un giorno di festa in più, tanto per avere il tempo di smaltire gli eccessi di sbobba…
Dopo le orate (d’allevamento, comprate al Famila, 6,35 euro/kg) della vigilia, siamo passati ai ravioli di mezzodì: fatti amorevolmente a mano, ma proprio tutto a mano, perché la macchina cinese appena comprata dopo due sfoglie (dov’è finita la vecchia “Imperia” a manovella dei nonni? non mi ricordo, forse è in soffitta…) avviluppa tutto in un melange apocalittico di sfoglie e metallo. Va beh, ci siamo fatti i muscoli a tirare le sfoglie col mattarello…
E viene la sera più noiosa dell’anno, quella “che è festa e qualcosa devi fare”: una scopetta all’asso in quattro, almeno si ride un po’ su chi si dimentica che di Re ce n’era ancora uno in giro…e giù una scopa…oppure, di mazzo, gioca la sua ultima carta con un sapore di vendetta negli occhi. E gira un asso sul tavolo vuoto, perché i sette se ne sono andati. Va tutto bene la sera di Natale, anche chi gioca a poker e dice boriosamente “vedo” con una coppia di dieci in mano…è la sera di Natale, si deve arrivare a domani per festeggiare (!) il patrono d’Italia, al quale avremmo tante cose da chiedere, ma abbiamo imparato a tacere, anche coi santi.

La suocera di mio fratello, 90 anni, ci osserva dalla sedia a rotelle: ogni tanto biascica qualcosa, vede qualcuno morto da trent’anni, saluta un figlio che non c’è…l’Alzheimer galoppa…povera donna, speriamo che queste visioni la sottraggano, almeno un poco, alla sua triste condizione d’inferma, nell’attesa della morte più fulminea e misericordiosa possibile.
Quando, però, strabuzza gli occhi all’indietro e s’abbandona come un cencio slavato, tutti ci fermiamo, agghiacciati, muti, silenti, la carta si ferma nell’aria e non scende nemmeno sul tavolo. Impietriti. Solo lei scatta: l’infermiera di famiglia, alla quale non è permesso lasciarsi prendere dallo scoramento, salta su come un lampo, la regge, poi si volta: “Datemi una mano”.
Dio come pesa questa vecchietta, questi pochi brandelli di pelle e ossa paiono piombo…sembra di tirare su le batterie della barca dalla sentina…finché la sdraiamo sul letto: siamo divenuti tutti pallidi, cerei…sarà il gelo della morte che ti passa accanto…

Ma è già tutto cambiato: con una mano sul cuore, la strapazza. Dove ti fa male? Qui o qui? La poveretta riemerge, riesce a parlare, ma capire se è un dolore allo sterno o allo stomaco è tutto un programma…“dammi il tuo orologio, veloce!” Lo slaccio e faccio partire il cronometro…dopo pochi istanti ci sono già i primi dati: pulsazioni e respirazioni…già, ma che farne? “Chiamiamo il 118”? La figlia, con le lacrime agli occhi “se la portiamo in ospedale ci muore”. Già, con le infezioni ospedaliere che girano…ma, d’altro canto, che si può fare?
La Guardia Medica. Ecco, questo si può fare.
“Il medico è già impegnato in un’altra telefonata: non riagganci, per non perdere la priorità acquisita!” : ma che è, siamo al call centre dell’Ipercoop?!?
Niente. Mezzora ad aspettare, mezzora durante la quale la nonnina si riprende, l’amica/infermiera riesce a parlarle, a farsi raccontare con più precisione i sintomi, e si tranquillizza anche lei. “Mi sembra più una faccenda di stomaco…non un infarto…” ribatto: se era un infarto era già andata…risponde con garbo e fermezza “non è vero per un cazzo di niente, ci sono infarti che ti lasciano anche ore per intervenire!” Taccio, che è meglio.
Prova a chiamare un amico medico, ma non risponde…avrà staccato il cellulare di servizio, è la sera di Natale…tocca alla Guardia Medica…ma dopo 40 minuti desistiamo dal chiamare la Guardia Medica, ci mancano solo le musichette… Nel frattempo la nonnina s’è ripresa, è tornata rosea: con un po’ d’acqua, limone e bicarbonato ha tirato un paio di sonori rutti…è andata bene.

Nessuno, però, può impedirmi di ricordare una sera di quarant’anni fa, al capezzale di una bambina che aveva la febbre alta, troppo alta, e non si lamentava. I genitori, entrambi biologi, erano perplessi: i bambini, ancorché malati, non sono mai così inerti, senza riflessi…è colpa mia, si rattristava la madre, non dovevo metterla in cortile solo con la canottiera…pareva caldo…poi si avvicina alla piccola, le fa passare la mano sotto la nuca e rialza il capo: immediatamente, la piccola geme.
“Questa è meningite” afferma sicura “vado a chiamare il medico.” La risposta del medico fu un poema: “Dagli una bella Aspirina e prendine una anche tu, altrimenti viene a te la meningite.”
Disperata, un’idea le attraversa la mente (era il 1974): “ma non hanno messo quel nuovo servizio…come si chiama… ah sì, Guardia Medica”…elenco telefonico…dopo un quarto d’ora un giovanissimo medico varca la porta, visita la piccola, prende la febbre, compie anche lui la manovra del capo poi, sicuro: “E’ il primo caso che osservo, ma sono più che certo: è meningite o, comunque, infezione meningea.”
La bimba fu immediatamente ricoverata e la mattina seguente era già fuori pericolo: attendere la notte per il ricovero sarebbe stato, probabilmente, fatale (dissero gli infettivologi).

Ora voltiamo la pagina, e domandiamolo a voi – miseri saltimbanchi d’avanspettacolo di paese, che si fingono attori shakespeariani – a voi, che per mesi ci strapazzerete i cosiddetti con le vostre misere sparate, che altrettanto miseri giornalisti strombazzeranno sulle colonne dei quotidiani per far sembrare una cazzata più grande di un’altra, nello sciagurato spettacolo che ci offrirete in un’assurda campagna elettorale.
Non vi chiedo di pensare come pensano i grandi, poiché non ne siete capaci: perciò non vi chiederò di sanare il baratro che oramai separa come un vallo incolmabile la ricchezza ostentata, gravida di scempiaggini, urlata nel silenzio delle notti, esposta al ludibrio dei tanti…da coloro che vivono di poco, che ritagliano anche sul biglietto dell’autobus, che misurano il vino a tavola, quando non devono misurare anche il pane.
Non vi chiederò di stendere piani energetici credibili, impostazioni finanziarie meno disperanti, sovranità – territoriali, industriali, monetarie, culturali… –  svanite…no, vi chiederò solo una cosa: vi siete accorti del danno provocato dalla gestione regionale della Sanità?

100 miliardi l’anno che svaniscono ogni anno come uno sciame di bolle di sapone…gli ospedali vengono ridotti, i reparti chiusi, i servizi decimati…mentre le uniche cose ad aumentare sono i costi per i cittadini ed il numero delle infezioni ospedaliere, dovute anch’esse a “risparmi” sulla sterilità dei mezzi impiegati?
E tutto questo per permettere ai vari Formiconi & similia di trascorrere dorate vacanze in barche da sogno o sulle nevi più gettonate, in club esclusivi, su isole irraggiungibili…tutto questo deve essere rubato sulla pelle della gente? Sei mesi d’attesa per un’ecografia, reparti inaccessibili, Guardie Mediche intasate, gente che aspetta in barella per ore nei Pronto Soccorso?

Chi di voi, in questa sfolgorante campagna elettorale, avrà il coraggio di alzarsi e dire: “E’ stato un colossale errore: abbiamo moltiplicato i costi per 20 e diminuito di 20 volte la nostra capacità di curare la popolazione. Perciò, con la prossima legislatura, la Sanità tornerà allo Stato, seguendo metodologie d’intervento già sperimentate in passato, che davano risultati sicuramente migliori.” Punto.

Chi avrà il coraggio di farlo? (e di attuarlo?)

02 dicembre 2017

Strano ma vero



Il ministro dei temporali
In un tripudio di tromboni,
auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani,
e le mani sui coglioni…”
Fabrizio de André, la Domenica delle salme, 1990

Un’indicibile curiosità mi ha preso quando ho sentito la notizia – strombazzata da tutti i siti istituzional/paranormali – ed ignorata dalla controinformazione: è roba troppo semplice per solleticare le nostre tastiere…sono in campagna elettorale…e allora? Va beh…una dozzina di “rapati” partono da Vicenza e giungono a Como per irrompere in una specie di circolo Pickwick… e allora?
Meglio parlare della Corea o dell’ultimissimo allarme su un possibile – anzi, probabile – colpo di stato negli USA. Ma che ci frega di quei quattro matusalemme che stavano a discutere di negri? Nessuno li avrebbe mai sentiti…tutta pubblicità gratuita…

Non me ne potrebbe fregare di meno, avete ragione, ma si dà il caso che quando ti vedi piombare in casa una dozzina di Skyneads non sai cosa vogliono e, soprattutto, al momento non capisci cosa potrà succedere dopo.
Ma più ancora, m’interessa capire come mai un gruppo di giovani rapati a zero decide d’usare e mettere in pratica una strategia che data a quasi un secolo or sono, una strategia detta “fascista”, perché i fascisti usarono questi mezzi.
Chiamo a testimonianza un personaggio che non può essere discusso da quelle parti: Benito Mussolini.

Ci sono cose che il Duce ben sapeva, e che non sanno i cosiddetti “fascisti” d’oggi, che dal Duce sarebbero presi a pedate nel deretano, senza tanti complimenti.
Vi faccio una domanda: cosa ci faceva Nicola Bombacci fra i fucilati a Dongo?
Beh – la maggior parte dovrà andare a leggere su Wikipedia, ma lasciamo perdere… – sarà stato un gerarca, no?
No, Nicola Bombacci non era un gerarca, e mai ebbe la tessera del PNF in saccoccia. E allora, perché? Poiché l’ex segretario del Partito Socialista Italiano e fondatore del PCI fu appeso a Piazzale Loreto, con la scritta “supertraditore” (1), insieme a Pavolini e Starace? Più facile rispondere su chi farà o vincerà la terza guerra mondiale, vero?

Nicola Bombacci si può affermare senza eccessi che “accompagnò” Mussolini dall’alfa all’omega della sua avventura politica: poco più vecchio di Mussolini, nato anche lui in Romagna, anch’egli amico di Lenin (come il Duce, che lo conobbe personalmente) rimase sempre un socialista “radicale”, diremmo oggi. E mai smise d’avere rapporti con Mussolini, cosa che causò parecchi malumori fra l’entourage dei veri gerarchi del regime.
Addirittura, in piena censura sulla stampa (1935), Bombacci diresse una rivista (La Verità) che mai smise d’essere una rivista che parlava di lavoro, di diritti, di sindacato. Chi lo sosteneva, anche economicamente? Sotto mentite spoglie, il Duce stesso. Perché?

Poiché Mussolini non smise mai d’essere un socialista, e lo dimostrò con riforme (l’IRI, l’INPS, l’ONMI, lo IACP, l’INAIL,  la Banca d’Italia Statale, ecc) che lo resero, nei fatti, in grado di reggere anche alle critiche di un socialista radicale come Bombacci. Il quale, fu conquistato dalle riforme mussoliniane: proprio lui, che lavorò per molto tempo per l’URSS e che iniziò – si deve dirlo – quella collaborazione economica che poi sfruttarono a man bassa i comunisti emiliani nel dopoguerra.

Così, in silenzio, dopo l’8 Settembre 1943, Bombacci raggiunge Mussolini a Gragnano, e diventa un collaboratore assiduo, oltre che l’amico di sempre. Ebbe un vago incarico presso il Ministero dell’Interno ma si sa, nella caligine di Salò dominata dai tedeschi, tutto era vago ed impreciso.
La “socializzazione” dell’Economia è opera sua e, addirittura – non potendo essere messa in pratica durante la pallida Repubblica di Salò – è rimasta come vago cenno anche nella nostra Costituzione, agli art. 3 e 35, laddove però è sparito il riferimento più importante: la gestione comune (imprenditori-lavoratori) dell’impresa, la nota Mitbestimmung tedesca.

Viene spontanea una domanda: perché Mussolini, che ebbe il potere assoluto, non portò avanti questi progetti come Capo del Governo, per tanti anni?
Perché Mussolini, di là delle sue “sparate” ben note, quando incontrava sulla sua strada i dettami del grande capitale, agrario ed industriale, non contava più una cippa.
Vi fu anche un momento storico importante – e per questo i ragazzotti in nero di Vicenza mi fanno più pena che altro – nel quale Mussolini fu giocato proprio dallo squadrismo: il delitto Matteotti.
Vedremo dopo perché.

Oggi, si nota all’interno della Lega il medesimo percorso: Maroni si schiera con chi ricorda che lo squadrismo, in Italia, non portò nulla di buono e, dunque, condanna. Salvini assolve quei “ragazzi”, perché deve prendere i voti alle elezioni, i voti di quelli che credono ancora il “grosso” problema italiano quello dell’emigrazione dall’Africa. Ma non solo: con chi si schiera Salvini? Con Berlusconi, ossia con la sola possibilità che ha ancora la classe politica italiana – unendo, dopo le elezioni, quel che resta del PD con una destra anch’essa raccogliticcia – di continuare le politiche europeiste che ci strangolano e ci strangoleranno ancor più. In altre parole, il grande capitale finanziario transnazionale ha pensato che questa è l’unica soluzione praticabile, poiché l’invio di una “Trojka” è già avvenuto con Monti, e gli italiani se lo ricordano.

In questa situazione, l’UE ritiene troppo pericoloso inviare i suoi Gauleiter in Italia: la Grecia, da sola, può pure marcire nella miseria, ma l’Italia no, è troppo destabilizzante per gli equilibri europei, considerando che anche la Spagna ha i suoi grattacapi. Insomma, il malcontento verso l’UE non deve dilagare – Brexit è tutta un’altra storia – e le classi politiche italiane devono cavare il ragno dal buco da sole.
Ecco, allora, che ciascuno dei partiti cerca voti con i mezzi che ha: Salvini, sa che la sua base è molto sensibile alla vista dei neri per le strade italiane, e allora assolve anche lo squadrismo.
Spicchiamo un salto di quasi cent’anni.

Nel 1924, Mussolini ha stravinto le elezioni e non sa bene come proseguire la sua avventura politica: si è servito, per giungere al potere, del malcontento dei reduci della Grande Guerra, ma questo è soltanto il dato elettorale che gli ha consegnato la maggioranza assoluta nel Paese. Da questo ad avere una linea politica, ce ne passa.
In quei giorni (Maggio/Giugno 1924) apre, metaforicamente, numerose volte la porta ai suoi vecchi compagni socialisti: sa che dall’accozzaglia di parvenu travestiti da gerarchi squadristi può aspettarsi poco e, dai pochi che mostrano un po’ di sale in zucca (Balbo, ad esempio), può solo attendersi sgambetti per prendere il suo posto.

Il Partito Socialista, per bocca di Matteotti, non poteva che rispondere duramente, e così fece: quella sorta di “compromesso storico” ante litteram, necessitava di tempi più lunghi, di lasciar sedimentare le sofferenze degli anni appena trascorsi, l’affogamento nel sangue delle lotte operaie e lo squadrismo.
Con un’alleanza con i socialisti, Mussolini se la sente anche di poter affrontare il suo grande nemico: il Re, con tutta la marmaglia sabauda al seguito.

Ecco allora che si fa avanti un uomo che tornerà a farsi vivo quasi vent’anni dopo, con un ordine del giorno che il 25 Luglio 1943 lo spodesterà: Dino Grandi. Chi era costui? Direbbe il Manzoni.
Dino Grandi era un emiliano, facente parte dell’ala dura fascista, che fu prevalentemente quella dello squadrismo tosco-emiliano.
Legato ai grandi proprietari agrari dell’epoca, non fa certo sconti ai socialisti: duri e puri, con manganello al seguito.

Dopo le vicende del '43, terminò la sua carriera politica come consigliere dell’ambasciata americana a Roma. Buon sangue non mente.

Non voglio, qui, rifare la storia del delitto Matteotti: ci sono già troppe versioni, ricostruzioni e dietrologie di parte, senza ch’io aggiunga le mie contumelie.
Di certo, se c’era una persona alla quale non conveniva – politicamente – il cadavere di Matteotti che gridava vendetta, quello era Mussolini.
Il Duce tentennava, meditò addirittura le dimissioni – almeno, così si racconta nel gran tourbillon dei quei giorni – ma Dino Grandi organizzò una colossale manifestazione di squadristi, a Roma, che gli tolse la parola di bocca.

La storia sappiamo come andò a finire: l’opposizione parlamentare andò all’Aventino, Mussolini governò sempre in coabitazione col Re, fece sì molte riforme “socialiste”, ma poi – come un uomo solo che deve governare senza consiglieri dei quali si può fidare – finì per imboccare il vicolo cieco: Hitler, la rovinosa guerra, la fine.

Qui finisce la storia ma – senza scomodare tragedia, commedia e farsa – chiediamoci perché quindici ragazzi paludati in nero partono da Vicenza per andare a Como (non proprio dietro l’angolo!) e tacitare con un’intimidazione altri ragazzi che stanno semplicemente facendo una riunione. E, come in quei lontani anni, la Lega si divide: Maroni, l’ala “istituzionale”, condanna, Salvini, l’ala “dura”, minimizza e passa sopra un’azione che, pur senza violenza fisica, ha tutti i connotati dello squadrismo.

Ancora una volta, l’obiettivo è il consenso: all’epoca fu il sogno della rivoluzione fascista, oggi, visto che di farsa parliamo, ci si gioca una manciata di voti sulle spalle di quattro immigrati.
Mentre i veri problemi – la Banca d’Italia in mano agli speculatori, il welfare italiano divenuto un “si salvi chi può”, l’industrializzazione che si perde in un sogno di mezza estate, la sanità nella mani di venti Poggiolini famelici, la scuola nelle mani di una persona che, a fronte di Gentile e Lombardo Radice, avrebbe fatto sì e no la servetta, ecc – devono rimanere tali, perché l’Italia deve rimanere al sesto posto planetario dell’indice di Gini, ossia la sesta nazione al mondo per sperequazione della ricchezza.

Non v’inquietate, non ce l’ho con nessuno: né coi fascisti e né con i comunisti…volevo solo spiegarmi il perché hanno scomodato quei ragazzi in nero, come domani potranno scomodare quelli in grigio dei servizi, con il medesimo obiettivo: raccogliere centomila voti qui con una parola d’ordine, centomila là con il suo opposto. Tanto nelle fanfare dell’informazione, tutto si tritura e svanisce. L’importante è che resti il consenso, il voto, la fiducia (!).

La Domenica delle salme
una domenica come tante
il giorno dopo c’erano i segni
di una pace terrificante…
…mentre il cuore d’Italia
da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro
di “vibrante protesta”.

(1) L’estensore dell’epiteto mortuario fu Luigi Longo, PCI e membro del CNL, che forse scivolò in una retorica un po’ fascista ed un po’ futurista, quella d’inneggiare sempre al superlativo assoluto, il “super” appunto. Ma si sa: il linguaggio maschera gli inganni e, chi sa di cosa parlo, capirà.

21 novembre 2017

Riflessioni sui cavalli e sulle loro mosse


I media mainstream l’hanno un presa sotto gamba, quasi con fastidio, altri con ironia: vediamo cosa sottende, dove punta la mossa di Ingroia e Chiesa, a cosa può portare, i suoi punti deboli…insomma…analizziamo un po’ questa sortita e dove può condurre.
Anzitutto gli attori: Giulietto Chiesa non ha bisogno di presentazioni, è stato l’uomo di Mosca per molti anni nel panorama politico italiano. A suo merito, il non averlo mai nascosto, mentre l’uomo di Washington, nel PCI, era altrettanto legato, ma da un legame sotterraneo che si vide in anni futuri a cosa doveva condurre: mi riferisco a Giorgio Napolitano.

Le altre persone che appoggiano tale “movimento” sono altrettanto chiare nei loro intendimenti: il gen. Fabio Mini e Franco Cardini, entrambe note per le loro prese di posizione molto critiche nei confronti dell’establishment, per aspetti molto lontani ma identica chiarezza di vedute. Non conosco il gen. Nicolò Gebbia, perciò mi asterrò dal citarlo nel testo.
Gli aspetti che il gen. Mini ci ha sempre sottoposto – con scritti lucidi e documentati – si riferiscono al costosissimo malfunzionamento delle Forze Armate italiane, e dobbiamo rendergli merito per aver fatto tutto questo, perché non è facile – in quell’ambiente – gettare certi “sassi nello stagno” come lui ha fatto.
Franco Cardini ci ha messo a conoscenza di molti retroscena del passato, per quanto riguarda aspetti economici e di confronto con le istituzioni europee.

Alla base di tutto, i due fondatori puntano l’indice su due aspetti che sono diventati punti cardinali del nostro tempo: la Costituzione italiana e la dicotomia – oramai tramontata e solo apparente – fra destra e sinistra.
Partiamo dalla Costituzione.

Molti dicono che è la più bella del mondo e, da come si scagliano contro di essa i potentati finanziari internazionali, viene da credere loro.
Nata da un lavoro di politici e giuristi con gli “attributi” al posto giusto, la sua gestazione durò solo pochi mesi: fu un lavoro coerente e abbastanza preciso nelle sue indicazioni, quella era gente che sapeva fare queste cose, avevano le idee chiare e riuscirono a “limare” in modo soddisfacente i contrasti che, comunque,  rimasero sottotraccia. Dobbiamo riflette sui loro tempi e sulla loro fretta: c’era un Paese distrutto e sconfitto da rimettere in piedi.
Se avete dei dubbi, riflettete su quanto ci hanno messo gli attuali politici per imbastire una legge elettorale che sarà cassata – anch’essa – dalla Corte Costituzionale: tanto tempo per una ciofeca.

La Costituzione italiana nacque da due “filoni” palesi ed uno occulto: il mondo cattolico (ed atlantista) ed il mondo socialista, legato al “sol dell’avvenire”. Non mancò, però, una importante sezione (soprattutto sul lavoro) che proveniva dalla Costituzione della RSI, che possiamo definire del “Terzo Fascismo”.
La Costituzione della RSI era, per alcune parti, estremamente moderna: tutti sapevano, all’epoca, che era un mero esercizio a “futura memoria”, nulla che si potesse realmente applicare in quel disastro durato nemmeno due anni. Una sorta di “lascito”, forse un’autocritica sugli errori commessi nelle due precedenti fasi del Fascismo: i costituzionalisti se n’accorsero e non vollero tacitare quelle istanze – molto vicine a quelle socialiste dell’epoca – ma, comunque, prodotte dal nemico appena sconfitto. Un rimarchevole atto di pacificazione.

Cosicché, la nuova Costituzione nacque come un buon equilibrio fra le istanze del libero mercato e quelle delle classi subalterne: non fu mai applicata totalmente, ma sotto il lungo regno democristiano fu seguita abbastanza alla lettera. Non approfondiamo i motivi per la quale la classe politica se ne allontanò, altrimenti non finiremmo più.

Nei primi anni della Seconda Repubblica, soprattutto Romano Prodi cercò di non violentarla troppo – laddove c’erano degli evidenti contrasti – con le nuove normative europee: un lavoro più di cesello che di spada, al punto che il dibattito costituzionale, in quegli anni, fu quasi assente. Cardini ha messo all’indice, spesso, quelle “dimenticanze”.
Silvio Berlusconi coniò un neologismo che fu un ossimoro di cattivo gusto, la “costituzione materiale”: un non sense, poiché una Costituzione afferma, perlopiù, concetti ideali: se la si “materializza” perde ogni significato. A dire il vero, riesce anche difficile capire cosa possa essere una “costituzione materiale”.

L’unica riforma costituzionale approvata dagli italiani fu quella del 2001, la riforma del Titolo V che creò quel “mostro” dei 21 sistemi sanitari regionali: dopo quella fregatura, gli italiani – che sono meno scemi di quel che si pensi – respinsero al mittente i due, successivi tentativi, 2006 e 2016.
Qui s’innesta il secondo problema posto da Ingroia e Chiesa: dopo che, per ben due volte, gli italiani hanno mostrato di non fidarsi di destra e sinistra, ha ancora senso definirle così?

Se si passano al setaccio, chiacchiere al vento elettorale a parte, entrambe le posizioni dei due schieramenti si nota una convergenza più che sospetta: entrambi dichiaratamente atlantisti (che significa un appoggio alla NATO come “gendarme internazionale”), entrambi europeisti e favorevoli a rimanere nel sistema dell’euro senza condizioni, entrambi favorevoli ad una riduzione dello stato sociale in tutte le sue forme – sanità, scuola, salari, pensioni, trasporti pubblici, ecc. – ed una spocchiosa tendenza a salvaguardare loro stessi a scapito degli italiani.
Chi rimane fuori?

Poco o nulla.
A destra qualche minuscola formazione – pensiamo a Forza Nuova ed a Casa Pound – cercano visibilità da molto tempo, con risultati pressoché nulli. La troppa caratterizzazione di “destra estrema” li rende inaffidabili per la gran parte dell’elettorato, soprattutto riflettendo che “destra estrema” richiama ad una storia lontana: il gollismo, i colonnelli greci…senza andare al Franchismo od a Hitler o Mussolini. Soprattutto, per una questione di valori che sono fumosi o difficilmente applicabili oggi: riflettiamo che, chi ha letto De Benoist – ad esempio – è una sparuta minoranza.
A sinistra ancora peggio, perché lì qualche probabilità d’entrare in Parlamento ce l’hanno: solo, c’è una tale confusione che non si distingue più che vorrebbe ritornare ai valori di una vera sinistra da chi, il giorno dopo le elezioni, è pronto a presentarsi a Renzi per chiedere il tornaconto in favori e poltrone.

In mezzo, c’è il primo partito italiano, quel M5S che è cresciuto non tanto senza schierarsi di qui o di là, quanto nel non avere posizioni chiare: fideismo, e basta.
Poi, un certo Di Maio va a Washington e rassicura che l’Italia rimarrà legata al carro NATO, ma viene ricevuto da personalità di secondo e terzo piano: chi ce lo fa fare – sembrano dire gli americani – di fidarci di questo signore se avremo a disposizione la grande armata brancaleone di Renzi e Berlusconi?
In altre parole, il M5S paga tutta la sua fulgida crescita ottenuta con le non scelte, col rimandare a tempi futuri qualsiasi programma politico, confidando nel fideismo degli italiani – di una parte degli italiani – sul nulla.

Se l’astensionismo verrà confermato intorno al 50%, significa che 14 italiani su 100 sono grillini, e non il 28%, così come 12 sono PD, altrettanti dell’alleanza tenuta insieme (a fatica) da Berlusconi…e così via. In sostanza, se contiamo i voti veri, sono circa la metà delle percentuali che indicano i sondaggi.
Rimane una platea di (circa) 20 milioni d’italiani, fra i quali c’è di tutto: da chi non va a votare per scelta, a chi è rimasto fregato troppe volte, a chi è malinconicamente convinto che il declino dell’Italia è segnato da almeno un ventennio.

Questa è l’analisi che, probabilmente, hanno fatto Chiesa ed Ingroia, che non ci sembra proprio campata in aria: in fin dei conti, convincere a votarli il 3% degli italiani potrebbe essere alla loro portata. Una seconda opzione potrebbe essere, all’indomani delle elezioni, cercare un’alleanza con il M5S: in fin dei conti, chiedono principalmente le medesime cose, ossia il rispetto della Costituzione (per la quale, lo scorso anno, il M5S si è battuto) e la revisione dei Trattati europei che mortificano la nostra economia (come Cardini ha ampiamente dimostrato).Italia è segnato da almeno un ventennio.
elta, a chi è rimasto fregato troppe volte, a chi è malinconicamente convinto che il de

Dove i due “cavalli” ci sembrano un poco “azzoppati” è sul fronte della comunicazione: strano, visto che Chiesa collabora con Sputnik Italia, e dunque dovrebbe essere esperto in questo campo. Sull’altro versante, il M5S ha evidenziato una enorme carenza sul fronte dell’esperienza politica (e come sarebbe potuto essere diverso?), laddove le personalità che si sono unite ai due “cavalli” sono tutte di larga esperienza politica.

Se questo scenario si realizzasse, all’indomani delle prossime elezioni – lo sappiamo già: in varie salse, dovremo sorbirci altri 5 anni di Renzusconi, con o senza Verdini, con o senza Alfano…non importa…troveranno il modo di mettere insieme maggioranze per la “governabilità”, ossia per continuare a schiaffeggiarci – il M5S potrebbe provare a compiere un’alleanza, perché se aspetta d’avere il 51% non ci arriverà mai e farà la fine che fu del PCI, il “bestione metaforico”, come lo definì Costanzo Preve. “Bestione” perché grande, ma “metaforico” perché solo capace di creare metafore politiche, utili alla sua sopravvivenza.

Non ho – ovviamente – la sfera di cristallo per scrutare il futuro, e dunque rilancio ai lettori questi dubbi, però voglio ricordare una cosa: o noi, da soli, riusciremo a cambiare la classe politica al governo, oppure non c’è da sperare che questi rubagalline rinsaviscano. Il fin dei conti, rubar galline è più comodo che allevarle: chi glielo fa fare?

05 novembre 2017

Ricordando Orwell


Non so se George Orwell, quando scrisse “1984”, si rese conto di cosa e, soprattutto, di “quanto” scrisse in quelle pagine che dovettero transitare nella sua mente come un grande sogno, od incubo, prima di finire impresse sulla carta. Mistero della scrittura onirica: viene da chiedersi se grandi e libere menti, da oltre la “siepe”, ci aiutino nel comunicare, perché si comunichi ad altri, in una catena senza fine.
Stamani, quando mi sono accorto che mancava la corrente, lì per lì mi sono girato dall’altra ed ho continuato il dormiveglia tranquillo ma, sentendo mia moglie armeggiare con i pulsanti di contatore, ho capito che era meglio scendere dal letto.
Tutto nero, senza il minimo rumore: manca il ronzio del frigorifero, il bagliore della stufa a pellet, silenzio assoluto. Fuori, alle prime luci di un’alba scura, piove lentamente e tutto indica tranquillità e sopore ma mia moglie insiste: chiamo l’ENEL.

Dall’altra parte, la solita voce di un call centre che sarà a Bari o a Tirana, risponde d’inserire il codice vattelappesca “che troverà sulla bolletta”: oh certo…al buio, mi metto a scartabellare le vecchie bollette…per fortuna mi salva la domanda di riserva, ossia il numero del vecchio telefono fisso (che, per sola pigrizia, non abbiamo ancora eliminato) e la voce, rassicurante, comunica “che nella zona sono segnalati malfunzionamenti, ma che per le 10 del mattino tornerà la corrente”. Sono le 10.35, ma dell’agognata corrente nemmeno un misero Ampère.

Inutile cercare d’attendere di poter parlare con “l’operatore”: dopo una decina di minuti (dei tre comunicati come tempo d’attesa) preferisco risparmiare la batteria del cellulare. Uno sguardo al web, dal telefonino, non racconta niente: un black out nel savonese di una decina d’ore non merita menzione, così come la Val di Susa bruciata fino alle cime dei monti non doveva esistere come notizia…e qui mi è comparso il vecchio George che diceva “Ricorda…le notizie, la realtà, deve per prima cosa scomparire…noi non sappiamo se l’Alleanza Occidentale combatte con noi o contro di noi, non sappiamo se il bombardamento dei porti del Pacifico sia veramente avvenuto…non sappiamo niente di niente, e rischiamo la vita per sapere qualcosa…”

In compenso, veniamo costantemente informati delle vicende di un tal Briatore, di un certo Sgarbi, o dei ricordi a luci rosse di Sandra Milo: rumore, un fiume di notizie inutili che dovrebbero servire a rallegrare un Paese triste, ma anche ad oscurare – in mezzo a tanto bailamme – ciò che sarebbe meglio che non sapessero.
Come i poveri morti del rifugio appenninico crollato per il terremoto, che – prima d’esser morti – chiamarono fiduciosi il 118, e non vennero creduti.

Richiamo, per sapere novità e la solita vocina aggraziata mi comunica che la riparazione del guasto è posticipata alle 12.30: allora, siamo in presenza di un black out abbastanza importante, non di una misera cabina dove sono bruciati i fusibili.
Il riscaldamento non può partire (pompa di circolazione elettrica), la stufa a pellet per la stessa ragione: si sta al freddo. Ma non è questo il guaio.
Mia moglie, stamani, si è recata in visita presso conoscenti che hanno una persona molto, molto malata e che rimane perennemente a letto. Per alzarla (è molto grassa) si sono attrezzati con un sollevatore meccanico, che funziona a corrente elettrica. Starà nella merda.
Ci sono migliaia o centinaia di migliaia di persone (non so quanto è esteso il black out!) che si trovano a dover risolvere problemi gravi e meno gravi, ma la notizia non s’ha da dare: intorno a me, garriscono i generatori a petrolio dei vicini.

Immagino un consiglio d’amministrazione dell’ENEL, dove presentano le scelte da fare nel prossimo futuro:
1) Incrementare le forniture e gli approvvigionamenti, mediante i quali il fatturato salirà da Tot1 a Tot2. Approvazione piena da parte dei grandi azionisti.
2) Incrementare la manutenzione dei sistemi esistenti, ma – in questo caso – ci saranno dei costi…diciamo che l’incremento da Tot1 a Tot2 sarà esiguo, probabilmente nullo. Coro di disapprovazione.

Ciò di cui non si rende conto questa gente, mentre immagina la grande macchina che produce denaro – svelta ed impeccabile nei risultati – è che non è per niente così: l’imprevisto è sempre in agguato, e questi sono imprevisti da niente. Allarme arancione – anche il lessico fa la sua parte – “Allarme”, ossia “state in guardia”, quando a non stare in guardia sono proprio loro, che a fronte di una Domenica appena un po’ piovosa d’Autunno – senza allagamenti, “bombe d’acqua” (ancora il lessico…), trombe d’aria, venti ad oltre 50 nodi, neve, ghiaccio, ecc – s’arrendono come studentelli alla prima gita scolastica e proclamano il timore d’immani tragedie.
Se non mancasse la corrente, sarebbe solo un’uggiosa ed un po’ noiosa Domenica d’Autunno: perché deve diventare un “allarme arancione”?

I veri allarmi sono altri: li sapranno?

Nel 1883 esplose il vulcano di Krakatoa e si generò lo stretto della Sonda: immane catastrofe, navi catapultate sui monti, enormi massi erratici scagliati a 100 km di distanza, ferrovie contorte come fuscelli, 40.000 morti. L’esplosione fu udita dall’Australia al Madagascar, ossia a 3000 miglia di distanza: viene considerato il più forte boato mai udito in epoca storica. Le polveri lanciate in aria dal vulcano oscurarono parzialmente la radiazione solare per un intero anno: si può affermare che l’agricoltura si “fermò” ovunque, per un’intera stagione agricola.
Siccome in quell’area le zolle tettoniche girano come sulle montagne russe, da quell’esplosione nacque un altro sistema vulcanico, Anak Krakatau (figlio di Krakatoa), che le autorità indonesiane hanno dichiarato zona off limits per la navigazione, vista la brutta abitudine del “giovane” vulcano d’alzare improvvisamente il livello delle acque marine: stavi pescando, e ti ritrovi su una montagnola di cenere. Probabilmente, lì si generò la grande onda anomala che distrusse Sumatra alcuni anni or sono. Ma c’è di peggio.

Nel 1859 ci fu una tempesta magnetica che interessò tutto il Pianeta. Siccome le tempeste magnetiche – in un mondo privo di macchine elettriche, al massimo facevano impazzire le bussole delle navi – non ci furono danni, salvo l’interruzione delle prime comunicazioni telegrafiche.
Non si hanno abbastanza notizie storiche sulla frequenza di questi eventi: oggi, cosa accadrebbe?

I sovraccarichi sulle grandi linee di trasporto elettrico si scaricherebbero sui grandi trasformatori di rete in una frazione di secondo e li brucerebbero all’istante: per ovviare a tali danni, bisognerebbe conoscere in anticipo l’arrivo di una tempesta magnetica e la sua entità per, immediatamente, staccare la rete mondiale dalle fonti di produzione. Una prospettiva che prevedrebbe una struttura mondiale in grado di prendere decisioni di tale portata in pochissimo tempo e senza intralci.
Beh – direte voi – si cambiano i trasformatori…
I trasformatori sono macchine statiche, ovverosia soltanto un anello (o quadrato) di comune Ferro ed avvolgimenti di cavo di Rame: niente di tecnologicamente difficile da produrre.

Il guaio è che queste macchine – proprio perché statiche – sono molto longeve, e dunque la produzione di questi grandi trasformatori è scarsa, praticamente si produce soltanto per nuove linee e centrali di distribuzione dell’energia e per (rare) sostituzioni.
Siccome le aziende produttrici sono poche, e i grandi trasformatori pesano tonnellate, per sostituire tali macchine sulla rete mondiale ci vorrebbero parecchi anni. Altro che black out di 12 ore per una centralina in avaria!
Inutile dire che non esiste nessun piano, concordato anzitempo a livello internazionale, per trovare rimedi a queste calamità che si presentano abbastanza frequentemente nella Storia: in sostanza, sono soltanto aurore boreali d’intensità di gran lunga superiore, dipendenti dai “capricci” del Sole.

Peccato che la Storia delle calamità naturali sia ancora scarsa di dati e poco conosciuta: non andiamo fino al disastro di Toba di 75.000 anni or sono, laddove la popolazione mondiale fu quasi azzerata. Difatti, i biologi s’attendevano una maggior varianza genetica nel genere umano ma, probabilmente, Toba fu una “seconda nascita”: per poco (si stima una sopravvivenza all’evento di poche migliaia o decine di migliaia d’individui) non ci estinguemmo 75.000 anni or sono.

Morale.
Il capitalismo, in realtà, ha smesso da tempo di soddisfare le necessità umane, e di cercare di cautelarsi prevedendo i possibili rischi: si è avvitato in una spirale d’investimenti e profitti che trascende dalla realtà esistente. Si scommette sulla clemenza degli eventi naturali per fare profitti, e si tenta in ogni modo di nascondere ciò che potrebbe suscitare dei dubbi. Una roulette, sulla quale cala un panno quando esce lo zero. Di questa serie fanno parte gli OGM, il riscaldamento globale e tanti argomenti sui quali ci vogliono schierati a chiacchierare e magari ad azzannarci. Senza, ovviamente, prevedere dei rischi che sono reali, comprovati da veri eventi storici: farebbero perdere tempo, troppi pensieri, meno investimenti.

Allo stesso tempo, però, c’è la necessità di far vivere le popolazioni in uno stato d’ansia e d’eccitazione affinché non si ribelli, mediante una comunicazione mirata a debellare ogni speranza d’autosufficienza: un attentato ogni tanto serve, la cronaca nera deve essere assillante, ecc, mentre – sull’altro versante – un mare di notizie ed intrattenimenti che, scatenando la libido, favoriscano la favola dell’eterna cornucopia per molti, ma non per tutti perché gli altri non sono ancora abbastanza “bravi” per godere di quei frutti: corri, ragazzo, corri!
Per questa ragione i giornalisti televisivi sono le figure più pagate dal sistema: ancora una volta, Orwell…

In realtà, solo il 3% della popolazione mondiale gode pienamente i frutti del capitalismo, in Italia circa il 10% (che possiede la metà della ricchezza) e alle masse di diseredati (come ben ricorda Serge Latouche) si presenta il simulacro della scommessa vinta dal mondo Occidentale contro la Natura e contro tutte le avversità. Noi siamo i vincenti: imitateci!

Cosa rispondono?
Beh, se ci sono dei danni, anche gravi…assicuriamoci!
Oh certo, così mangeremo il denaro delle assicurazioni…sempre che, in un Pianeta privo d’energia elettrica per anni, si trovi ancora un assicuratore…vivo!

31 ottobre 2017

Perché si suicidano?

Non so come sono capitato sulla notizia: la Nuova Zelanda ha il record mondiale nei suicidi di giovani in rapporto alla popolazione (1). Chi l’avrebbe mai detto. E pensare che ero andato a finire su un sito neozelandese per questioni di vela e di mare…i “kiwi”, uno degli Stati dove è più difficile stabilirsi per lavoro…un ecosistema incontaminato…ci hanno persino girato “Il signore degli anelli” perché gli scenari naturali sono incantevoli…
E questi si suicidano.
Detto così, sembra quasi inconcepibile visto che la Nuova Zelanda continua la sua crescita economica in piena recessione mondiale e, anzi, ha allentato i cordoni della borsa anche sul fronte immigrazione.
Eppure, i dati sono inconfutabili: il doppio dell’Australia, il triplo della Gran Bretagna…e così via.

Così, mi sono messo a cercare cosa dicevano di questa vera e propria “massa” di giovani che ogni anno si tolgono la vita gli “addetti ai lavori”, ossia sociologi e psicologi ma…a parte qualche intuizione sensata, non mi hanno convinto.
Certo, che la cultura maori sia profondamente maschilista, che i miti della forza siano propalati ai quattro venti…che chi non si sente “macho” al mille per cento fosse un po’ in difficoltà…tutto questo ci sta, ma non spiega questa vera e propria epidemia di suicidi giovanili. I più uomini, ma anche tante donne.

Poi, mi sono imbattuto in questo articolo (2), che ha iniziato a squarciare il velo del “politically correct” ed a fornirmi qualche buona riflessione. E mi è tornato alla mente un ragazzo canadese, che viveva a Torino insegnando yoga, in anni lontanissimi…il quale, la sera, andava a zonzo a Porta Nuova, la stazione centrale.
Bisogna dire che, all’epoca, Porta Nuova non era un luogo pericoloso: ci andavo a comprare la prima edizione della “Stampa”, che usciva intorno all’una di notte. Perché? Un giorno gli chiesi.
La risposta fu strabiliante: “se tu fossi vissuto in un posto dove i tuoi vicini sono a 50 miglia da te, correresti alla stazione tutte le sere, per vedere i visi, tanti, le persone, le espressioni…”
Già, proveniva da una zona del Canada con una popolazione di 1 abitante per chilometro quadrato…eppure in Canada non si suicidano come in Nuova Zelanda…

Siamo abituati a vivere al centro del mondo, e non ce ne rendiamo nemmeno conto: in due ore di volo abbiamo Roma, Parigi, Londra, Vienna, Madrid, Berlino, Amsterdam, Atene…
La Storia dell’umanità abita nella porta accanto: un amico che abitava a Trastevere, al piano terreno, aveva la parte bassa dei muri perimetrali che erano ancora quelli costruiti dai Romani, poi altri costruirono sopra, e via…non lontano da Regina Coeli.
Mentre attraversavo il London Bridge…” recitava una ballata medievale…e noi non ci stupiamo poi neanche tanto: attraversiamo il London Bridge ed entriamo nel quartiere di Banks, la gioia degli investitori internazionali.
Non riusciamo nemmeno ad immaginare cosa vuol dire vivere in una “natura incontaminata” 365 giorni l’anno, con la sensazione che tutto quel che capita nel mondo avvenga a diecimila miglia dal cottage in stile inglese circondato da montagne, che sembra “incapsulato” in un mondo che non vuoi, che ti annoia, al punto di toglierti il gusto della vita.

Fra le ragioni citate dai sociologi una mi ha colpito: “una colonizzazione mai completata”. I Maori non saranno d’accordo, ma le cose sono andate così: gli inglesi avevano i fucili, loro archi e frecce. Bisogna guardare avanti.
La leggenda dei “due cuori e una capanna”, magari al limite di un bosco infinito, si stempera nella realtà di figli che vedono il mondo solo su Internet, quando c’è. Questo è il risvolto delle colonizzazioni inglesi, condite con severi stigmi razziali, senza curarsi del domani: un boccale di birra, la sera, ogni tanto la sbornia all’osteria (miglia e miglia…) e quattro vecchie ballate, uguali nei secoli.
Questi ragazzi, coi loro suicidi, sono paradossalmente dei rivoluzionari: fanno una richiesta estrema, dateci qualcosa per vivere!

Anche altre nazioni del Commonwealth britannico soffrono di simili problemi, come l’Australia (un continente con 24 milioni d’abitanti!) ma non il Canada, che ha saputo prevenirli per tempo. L’agricoltura canadese è gestita in modo assai ingegnoso: le famiglie si spostano nei campi (gestiti con molta tecnologia) solo nella buona stagione. A Luglio mietono il frumento, ad Agosto arano ed a Settembre seminano: poi, via in città (di medie dimensioni, ma con un’offerta culturale e sociale appagante). Che ci stai a fare in luoghi coperti dalla neve, regni di lupi ed orsi, a dieci o venti sotto zero? Ad immaginare le piantine di grano sotto la neve?
Bisogna anche riconoscere che il Canada non è solo anglosassone, una buona dose di sangue francese scorre nelle loro vene: una cultura più permissiva dei tetri luterani anglofoni.

Forse un po’ di sangue latino è quel che ci vorrebbe per mitigare quelle lande desolate, che il British Empire disseminò nel pianeta, macinando le culture autoctone e sostituendole con l’effige di un re che viveva all’altro capo del mondo.

Tutto ciò, però, richiama alla nostra attenzione le migrazioni, sempre esistite dai primordi dell’umanità, spesso accompagnate da guerre, poi da fusioni di culture, infine da periodi di stabilità. Per, poi, tornare da capo con una nuova migrazione.

Va da sé che l’attuale migrazione verso l’Europa sia antistorica: coloro che migrano non giungono in armi per sottomettere un’altra popolazione, bensì vengono addirittura accolti.
Se fosse soltanto un problema economico e sociologico la storia finirebbe qui, giacché non ha nessun senso. E’ vero che, per alcune strutture economiche, la presenza di persone che vivono ancora il rapporto uomo/animale in modo ancestrale – non corrotto dalla Disney! – torna utile: basti riflettere su tutta la “filiera” dei prodotti d’origine animale: carne, latte, formaggi. Solo per il parmigiano ed il grana padano sono decine di migliaia i magrebini, neri o slavi che hanno trovato un’occupazione. E bisogna riconoscere che pochissimi giovani italiani 3.0 ambirebbero a diventare mungitori, mandriani, fattori, ecc. Piuttosto, preferiscono elemosinare un “favore” da parte di un politico, oppure scaldare la poltrona di papà e mamma. Finché dura.

E’ una realtà della quale dobbiamo prendere coscienza: molti anni fa, un ufficiale degli Alpini mi raccontò che la transizione “oltre il mulo” – di là delle questioni d’ordine tattico/strategico – era inevitabile, giacché s’era inaridita la fonte dei ben noti “conducenti di mulo”, ossia la società agropastorale di un tempo.
Non puoi sbattere un ragazzotto cresciuto a pane e nutella a fianco di un mulo, perché manca quella conoscenza dei “segni” che nascono da generazioni d’esperienza. Anche negli eserciti professionali: è il medesimo problema. Eppure, gli Alpini sono andati in Afganistan, caldamente desiderati dai comandi statunitensi: era una guerra di poveri, fatta da gente povera con mezzi primitivi – fucile, razzo, esplosivo – roba di un secolo fa per noi. Ci voleva gente abituata a quegli scenari di guerra in montagna, della guerra dei poveri.

Ma, di là degli scenari bellici – se torniamo alla Nuova Zelanda – forse scopriamo che per l’immigrazione (o completamento della colonizzazione) si è atteso troppo tempo, al punto che la società ha perso la spinta vitale, il senso del vivere.
Osservate questi, sintetici e semplici, dati:

Italia
Superficie: 301 340 km2
Clima: temperato caldo
Abitanti: 60.532.325
Densità della popolazione: 201,1 ab./km2

Nuova Zelanda
Superficie: 267 710 km2
Clima: temperato piovoso
Abitanti: 4.578.900
Densità della popolazione: 17 ab./km2

All’atto dell’Unificazione, l’Italia aveva circa 20 milioni d’abitanti: 4 volte gli abitanti della Nuova Zelanda attuali!
Per avere una densità simile a quella neozelandese, bisogna risalire a prima del 1800!
Abbiamo compreso che l’attuale fase migratoria dall’Africa all’Europa è stata abilmente diretta, distruggendo quel poco di buono che gli africani erano riusciti a creare: osservandole oggi, le cosiddette “primavere arabe” sono state la dissoluzione di qualsiasi tentativo di superare l’eterno medio evo islamico, laddove l’assenza del pensiero illuminista li imbriglia in un mondo ancestrale.
Libia e Siria erano gli Stati nel mirino dei globalizzatori, e Libia e Siria sono state forgiate col fuoco per anni, affinché smarrissero le strade tracciate da Gheddafi e da Assad per accomunarsi nell’indistinto marasma mediorientale, con la conseguente rapina delle risorse destinate alle popolazioni. La lezione di Mossadeq è sempre attuale. La Siria pare, oggi, salva ma domandiamoci: quanto ci vorrà per uscire da questi anni di guerra e distruzione? La Libia è, oramai, uno scatolone di sabbia e basta.

L’immigrazione di massa, dunque – soprattutto in un Paese come l’Italia che vive in recessione da decenni – non è servita a niente: né agli italiani, né agli africani. Forse quella più “centellinata” dei decenni precedenti qualche frutto l’ha dato…riflettendo che, parimenti, c’è un movimento d’emigrazione dall’Italia verso l’Europa e gli USA.

Una nazione con circa 40 milioni d’abitanti potrebbe essere più stabile per il territorio italiano, mentre non è pensabile avere una nazione (Nuova Zelanda) grande pressappoco come l’Italia che non raggiunge i 5 milioni d’abitanti.
L’uomo è un animale sociale, che vive in questa socialità (e, dunque, anche nelle migrazioni) un rapporto di incontro/scontro, laddove gli estremismi (no ai neri! accogliamoli tutti!) non servono ad altro che ad alimentare risse da pollaio. Senza risolvere nulla.

Sappiamo che, generalmente, le società ricche ma con poche fiducie (e sogni) tendono ad un edonismo quasi malinconico, che li dissangua sul fronte della natalità. Fin che ci sono risorse (statali) per alimentare artatamente il cosiddetto “terzo figlio”, queste società riescono a sopravvivere, ma la sperequazione nella ripartizione della ricchezza (fortemente voluta dal sistema finanziario) le conduce verso il cul de sac dell’estinzione.

Il fenomeno neozelandese ci racconta un nuovo aspetto: anche in presenza di un’economia in crescita e di un certo benessere economico, la società soffre, al punto che i giovani si tolgono la vita.
Qual è il punto d’equilibrio?

Oggi, in Italia, si sente urlare da più parti che siamo stati “invasi”, che siamo troppi, che ci dà fastidio la sovrappopolazione, che non sopportiamo questa “gente” a “casa nostra”, ecc.
A ben vedere, questo è quello che (giustamente o no) prova un cittadino, ossia un abitante di una città.
Ma nel territorio, le cose vanno proprio così?
Intere valli si stanno spopolando: prima se ne va la farmacia, poi il giornalaio, quindi il tabaccaio…rimane l’ultimo bar, ma solo per qualche tempo. Poi, poche case abitate, buie, solo riflessi di Tv accese con vecchi che attendono la morte oppure il ricovero nelle strutture per anziani. Muoiono. Figli e parenti ereditano: cosa se ne fanno, gli eredi, di queste case?
Le vendono per quattro soldi – se ci riescono – oppure le chiudono e vanno in rovina.
Qualcuno dice: potrebbero darle ai migranti, se non sanno dove andare, cosa fare, ecc…non discuto la validità (oppure no) di queste ipotesi, però faccio notare una cosa.

Per pianificare un simile intervento – che si tratti di giovani italiani o migranti – bisogna avere la capacità di strutturare un piano pluriennale, seguirlo, correggerlo dove non funziona…in altre parole, attuarlo. Abbiamo una classe politica in grado di farlo?
Anni fa, quando s’iniziò a meditare sulle biomasse per il riscaldamento domestico, una delegazione di imprenditori del settore si recò dal governo (non ricordo quale) e chiese: se procediamo con queste scelte, dobbiamo saperlo per tempo, perché dovremo progettare e costruire nuove macchine agricole, una tecnologia diversa da quella attuale.
Pensate che qualcuno abbia risposto? Ecco.
Negli stessi anni, un ricercatore dell’ENEA stese un piano per recuperare le cadute d’acqua un tempo sfruttate dai mulini ad acqua o da altre, simili strutture. Erano circa 800 MW di potenza idroelettrica (una stima minimale), l’equivalente di una grande centrale a carbone.
Se ne fece qualcosa? Ecco.

Oggi importiamo quasi la totalità del pellet che usiamo, mentre – ogni tanto – qualcuno rialza la testa e chiede centrali nucleari.
Siccome le risorse sono sul territorio, e a nessuno importa niente di trovare i modi per utilizzarle, tutto va a ramengo: come vedete, non è una questione di scelta fra italiani o migranti, è la scelta di fare o non fare degli interventi, poi, chi devono essere gli attori del piano non m’interessa, m’interesserebbe che qualcuno meditasse d’averne uno.

Così, viviamo una situazione paradossale: atmosfere da banlieu parigina in – stimiamo – un centinaio di città e situazioni “neozelandesi” nel territorio, invaso da cacciatori, cicloturisti, guardoni di uccelli, boy scout quarantenni, comitive dell’associazione ex combattenti, gitanti sperduti ed ammennicoli vari.
Metà della popolazione non ha i mezzi per campare decentemente nei centri abitati – la deindustrializzazione ha colpito duro – mentre l’altra metà saprebbe come fare, ma la distruzione della società agropastorale non è stata avvertita per tempo, ed il “collante” fra gli attori sociali è andato perduto.
In Nuova Zelanda la colonizzazione non è stata “completata”, mentre da noi diciamo che è andata perduta.

A parte i morti per rissa, alcool, droghe e coltellate varie…a quando i primi suicidi d’adolescenti?

2) http://www.italiansinfuga.com/2012/02/27/in-nuova-zelanda-non-ci-tornerei-a-vivere-neanche-morta/

27 ottobre 2017

Questa sera ho provato un brivido

Che strana giornata. Apri il notiziario e ti raccontano due cose: che la Catalogna s’è dichiarata indipendente e che la Corte Europea ha condannato l’Italia per i fatti del G8 di Genova. Cos’è comico e cos’è tragico? Niente, non c’è nulla di tragicomico nelle due notizie, perché – per entrambe – non riusciamo a cogliere la vera portata: non cosa “ci sta dietro” – perché dietro non c’è proprio niente – ma cosa ci sta attorno. E’ dagli attributi che si definisce una realtà, non dalla sua enunciazione.
Questa sera, in tutti gli edifici pubblici di Barcellona, la bandiera spagnola è stata ammainata ed è stata sostituita dal classico stendardo catalano. E’ una questione seria, ma non perché la vicenda della separazione sia seria, perché – a differenza degli italiani – gli spagnoli sono gente seria, serissima.

Spesso pensiamo di trovare negli spagnoli una “sponda” che ci faccia sentire “d’essere a casa” perché siamo due popoli fratelli, in qualche modo cugini, con lo stesso sangue. Niente di più falso. Pensiamo agli spagnoli come agli “amiconi” di sempre perché più simpatici dei boriosi francesi o dei malinconici lusitani, e non parliamo dei greci – “una faccia, una razza” – quando non c’è proprio nulla che avvicini due vicini così distanti.
Con gli spagnoli cadiamo in un tranello linguistico: è vero, in qualsiasi luogo della Spagna, parlando lentamente ed aiutandosi con la gestualità, alla fine si riesce a farsi capire. Ma tutto finisce lì.
Storicamente, siamo agli antipodi.

Noi, nazione giovane, preda per secoli di tutte le case regnanti europee, abbiamo finito con l’imparare ad usare la nostra debolezza, a farla diventare una minima forza. Pensate alla Napoli del ’44, od a Totò che cerca di vendere la fontana di Trevi a due ignari turisti.

Loro, alle prese con un impero che andava dalle Filippine a Madrid – perduto, vero – ma la mentalità imperiale li ha nutriti per quasi cinque secoli, cinque secoli durante i quali noi stavamo proni al cospetto di un viceré od un governatore, spagnolo, francese od austriaco che fosse.

E voi, credete che le parole di Rajoy siano acqua, pronte a lisciare le pietre sotto il ponte? Immaginate che ci sarà qualche “patto” della crostata o della pagliata, della polenta o della salsiccia che metterà tutto a posto?
Signori, non siamo in Italia, rammentatelo.

Nella stessa giornata, da noi, un movimento che nacque trent’anni fa con l’obiettivo di liberare il Nord dalla (a loro dire) sanguisuga romana, ha deciso di cancellare la parola “Nord” dal simbolo. Sarà semplicemente “Lega”: non si sa di che cosa e perché (Renzusconi lo sa, ovvio) ma state certi: per il popolo di Pontida, per quelli che si nutrono di corna celtiche e d’altre, simili facezie, sarà sempre il Verbo. Anzi, il SalVerbo.

Sempre oggi, una Corte Europea ha sanzionato che imprigionare le persone, farle denudare per poi fare loro gridare “Viva il Duce, viva il Fascismo!” è una cosa che non va, non va proprio bene. E, soprattutto, una certa caserma Diaz è in contrapposizione con un certo codicillo chiamato “Habeas Corpus” di matrice anglosassone (certo: anche loro l’hanno scordato) che data al XII secolo.
Ciò conferma che la regia di quella operazione fu nelle mani dell’allora ministro dell’interno, un certo Fini, divenuto fascista perché all’uscita del cinema assistette ad una rissa fra “rossi e neri” e si sentì dalla parte dei neri (sue parole).
Un certo Fini poi trasmigrato fra i palazzinari di mezza tacca, uno che s’è venduto l’appartamento del partito alla gentil nuova consorte, passando attraverso la mediazione di un mafioso dei Caraibi. Sembra la trama di un film poliziesco/comico, un film alla Thomas Milian, che rideva di se stesso (lui, grande latinista!) prestando la sua faccia per tinteggiare il peggio del poliziotto “de no antri”, quasi volesse fare il verso al grande Alberto Sordi.

Ora, signori miei, io non so se si arriverà ai carri armati, ma so soltanto una cosa: dipenderà dai catalani, non dagli abitanti di “Castilla y Léon”, perché se una regola è una regola, per uno spagnolo è legge, per un italiano è una pinzillacchera da fottere, o da rimaner fottuti, ma sempre nell’ottica di Flajano “la situazione è tragica, ma non è seria”. Purtroppo (o per fortuna) uno spagnolo non potrà mai comprendere Flajano.

12 ottobre 2017

Essere naif, l’unica possibilità

Funzione (o campana) di Gauss
Rotolano sui giornali notizie a valanga: legge elettorale, Rosatellum (cos’è, un vino?), Italicum (beh, siamo tutti italiani…), “sbarramento” (beh, siamo abituati alle strade sbarrate…sono libere solo per i soliti noti…), Mattarellum (di pertinenza dell’inquilino del colle), alla francese, tedesca, spagnola (sono forse variazioni del kamasutra?), fino a proposte incomprensibili: “Verdinellum”, “Consultellum”…tutte figlie di una sola madre, detta Porcellum. Dichiarata illegale: tutte queste persone che blaterano ed occupano gli spazi televisivi, fra una pubblicità e l’altra, sono dunque fasulli, degli impostori, dei guitti di ennesima categoria. Perché i veri guitti sono persone serie.

Confesso una certa noia a parlare di questo argomento, però me la sono scrollata di dosso per cercare di capire come mai si occupino così tanto di come si vota, sottraendo così tempo prezioso alla ricerca di tangenti o finanziamenti occulti da parte di chi “tiene bisogno” di lor signori.
E’ vero che il vero potere si nasconde fra le lobby finanziarie – a Bruxelles sono ufficialmente accreditati 15.000 lobbisti – più varie società segrete e consigli d’amministrazione dove, spesso, le due funzioni si sovrappongono.

C’è, però, la necessità di mantenere una sorta di “credibilità politica”, tanto per poter affermare “siamo stati eletti”. Già: con leggi dichiarate incostituzionali a raffica, ma tant’è.
La vera ragione che questi signori adducono per le loro manovre occulte, è sempre la “governabilità”, e qui il discorso si fa più interessante.

“Governabilità”, lessicalmente, dovrebbe significare “possibilità di governare”, da non confondere con la “capacità” di governare.
Per poter governare (come, poi…), questi signori ci raccontano che devono nascere dalle elezioni governi “forti”, ossia dotati di ampia maggioranza: spesso ci ricordano che la “stabilità politica” ci è richiesta dall’Europa, cosa alquanto nebulosa. Il Belgio ha avuto una stagione politica di circa un anno e mezzo senza un governo che avesse la maggioranza, ossia col vecchio governo, dimissionario, sempre in carica per “l’ordinaria amministrazione”. Eppure, nessuno s’è suicidato per questo, mentre il “fortissimo” governo Monti lasciò una scia di suicidi fra lavoratori ed imprenditori che ancora ricordiamo con orrore.
E allora? Come si fa?

Con la nuova legge, ad esempio, se prendi meno del 3% non becchi niente (almeno, così sembrerebbe): ciò significa che se circa un milione e mezzo d’italiani votano Tizio (e non raggiungono il 3%), Tizio non ha nemmeno il diritto di dire la sua in Parlamento. Nel nome di un milione e mezzo di persone.
E non è detto che il fenomeno non si ripeta con Caio e Sempronio: in altre parole, “tagliano” le ali marginali della nota campana di Gauss, mantenendo solo le posizioni centrali.
Ovvio che la politica susseguente dovrà cercare di soddisfare la sezione centrale della campana, quello che un tempo era definito “classe media”, la quale, oggi, si sta velocemente estinguendo. La necessità di tagliar fuori gli scontenti diventa essenziale: mica siamo fessi.

Si dà il caso che ci siano gli scontenti e gli scontenti “organizzati”, ossia il M5S: anche qui, la soluzione è presto scovata.
Tre partiti (o coalizioni) si giocano la torta, senza fastidi di partitini “insolenti”: è già chiaro da oggi come finirà.
Dividendo in tre parti, pressappoco uguali, la sezione centrale della campana di Gauss – e poi alleandosi due parti (la governabilità!) – anche gli scontenti organizzati saranno fregati: prepariamoci ad un bel governo Renzusconi, credo che lo abbiate già capito da soli.

Basti riflettere sulla gazzarra che sta capitando nella cosiddetta “sinistra”: tutti blaterano, ma tutti lavorano (non alleandosi)  per quel risultato.
Sull’altro versante forse sono meno stupidi e s’accodano, in silenzio e a capo chino: fu Berlusconi stesso a dire di Renzi “Eh…ne avessimo uno così in Forza Italia!”.
Se non considerassimo tutte le varie ed eventuali che l’UE ci metterebbe fra le ruote per tenerci al guinzaglio, quale potrebbe essere una soluzione?

Finalmente ci sono arrivati anche i cinque stelle, dopo aver acconsentito ai vari Mattarellum (et similia) pur di andare a votare: non hanno capito che prima del risultato del voto, ci sono le modalità del voto stesso, senza le quali nulla ha senso. Come si risolverebbe?

Un proporzionale puro e semplice, senza nessuna aggiunta: ossia, si devono eleggere circa 600 deputati e 300 senatori? Si opera una semplice divisione col numero dei votanti e si stabiliscono le dimensioni dei collegi. I cosiddetti “resti” si ripartiscono sui cosiddetti “primi non eletti”: ancora più semplice ed essenziale di come si faceva prima che la febbre maggioritaria sbarcasse nel Belpaese.
Perché è importante questo passaggio?

Un parlamento così eletto, sarebbe lo specchio del Paese e non sarebbe facile trovare la cosiddetta “governabilità”, ma sarebbero anche persone che sono state votate con le preferenze (rigorosamente semplici, tipo numeri di lista in ordine crescente e basta: gli italiani non sono stupidi e se vogliono fare a meno delle mafiette elettorali sanno farlo) e, dunque, sarebbero persone di una certa levatura, gente in gamba.
Perciò, si metterebbero seduti con pazienza per cercare una maggioranza, che sarebbe lo specchio delle mille volontà – oggi represse – dell’Italia.

Sarebbe difficile ed oneroso arrivarci, ma riflettiamo: oggi, dove stiamo andando? In qualche posto dove ci porteranno Renzi e Berlusconi, senza sapere come e perché, solo perché loro saranno stati eletti, grazie ad un meccanismo da loro stessi preparato e collaudato.
In Europa?
Certo! In questa Europa dove non si muove foglia che Berlino non voglia, dove le banche falliscono e…chi mettono a regolare il sistema bancario? Casini! Nomen omen.

Lo so, il sogno è stato bello e la realtà è molto distante, diametralmente opposta.  Però, quando l’Italia vorrà veramente uscire da questo pantano dovrà per forza ripartire da zero, mandando a casa tutti i farabutti che ci governano e cercare nuovi visi, nuovi volti, nuove volontà.
Cosa fare adesso? Non c’è scelta giusta, non c’è scelta sbagliata: quando il mazzo è truccato, non c’è niente da fare.