27 dicembre 2017

Sera di Natale in Italia


La sera di Natale giunge stanca, e tutti ci domandiamo che festa sia S. Stefano: va beh, è un giorno di festa in più, tanto per avere il tempo di smaltire gli eccessi di sbobba…
Dopo le orate (d’allevamento, comprate al Famila, 6,35 euro/kg) della vigilia, siamo passati ai ravioli di mezzodì: fatti amorevolmente a mano, ma proprio tutto a mano, perché la macchina cinese appena comprata dopo due sfoglie (dov’è finita la vecchia “Imperia” a manovella dei nonni? non mi ricordo, forse è in soffitta…) avviluppa tutto in un melange apocalittico di sfoglie e metallo. Va beh, ci siamo fatti i muscoli a tirare le sfoglie col mattarello…
E viene la sera più noiosa dell’anno, quella “che è festa e qualcosa devi fare”: una scopetta all’asso in quattro, almeno si ride un po’ su chi si dimentica che di Re ce n’era ancora uno in giro…e giù una scopa…oppure, di mazzo, gioca la sua ultima carta con un sapore di vendetta negli occhi. E gira un asso sul tavolo vuoto, perché i sette se ne sono andati. Va tutto bene la sera di Natale, anche chi gioca a poker e dice boriosamente “vedo” con una coppia di dieci in mano…è la sera di Natale, si deve arrivare a domani per festeggiare (!) il patrono d’Italia, al quale avremmo tante cose da chiedere, ma abbiamo imparato a tacere, anche coi santi.

La suocera di mio fratello, 90 anni, ci osserva dalla sedia a rotelle: ogni tanto biascica qualcosa, vede qualcuno morto da trent’anni, saluta un figlio che non c’è…l’Alzheimer galoppa…povera donna, speriamo che queste visioni la sottraggano, almeno un poco, alla sua triste condizione d’inferma, nell’attesa della morte più fulminea e misericordiosa possibile.
Quando, però, strabuzza gli occhi all’indietro e s’abbandona come un cencio slavato, tutti ci fermiamo, agghiacciati, muti, silenti, la carta si ferma nell’aria e non scende nemmeno sul tavolo. Impietriti. Solo lei scatta: l’infermiera di famiglia, alla quale non è permesso lasciarsi prendere dallo scoramento, salta su come un lampo, la regge, poi si volta: “Datemi una mano”.
Dio come pesa questa vecchietta, questi pochi brandelli di pelle e ossa paiono piombo…sembra di tirare su le batterie della barca dalla sentina…finché la sdraiamo sul letto: siamo divenuti tutti pallidi, cerei…sarà il gelo della morte che ti passa accanto…

Ma è già tutto cambiato: con una mano sul cuore, la strapazza. Dove ti fa male? Qui o qui? La poveretta riemerge, riesce a parlare, ma capire se è un dolore allo sterno o allo stomaco è tutto un programma…“dammi il tuo orologio, veloce!” Lo slaccio e faccio partire il cronometro…dopo pochi istanti ci sono già i primi dati: pulsazioni e respirazioni…già, ma che farne? “Chiamiamo il 118”? La figlia, con le lacrime agli occhi “se la portiamo in ospedale ci muore”. Già, con le infezioni ospedaliere che girano…ma, d’altro canto, che si può fare?
La Guardia Medica. Ecco, questo si può fare.
“Il medico è già impegnato in un’altra telefonata: non riagganci, per non perdere la priorità acquisita!” : ma che è, siamo al call centre dell’Ipercoop?!?
Niente. Mezzora ad aspettare, mezzora durante la quale la nonnina si riprende, l’amica/infermiera riesce a parlarle, a farsi raccontare con più precisione i sintomi, e si tranquillizza anche lei. “Mi sembra più una faccenda di stomaco…non un infarto…” ribatto: se era un infarto era già andata…risponde con garbo e fermezza “non è vero per un cazzo di niente, ci sono infarti che ti lasciano anche ore per intervenire!” Taccio, che è meglio.
Prova a chiamare un amico medico, ma non risponde…avrà staccato il cellulare di servizio, è la sera di Natale…tocca alla Guardia Medica…ma dopo 40 minuti desistiamo dal chiamare la Guardia Medica, ci mancano solo le musichette… Nel frattempo la nonnina s’è ripresa, è tornata rosea: con un po’ d’acqua, limone e bicarbonato ha tirato un paio di sonori rutti…è andata bene.

Nessuno, però, può impedirmi di ricordare una sera di quarant’anni fa, al capezzale di una bambina che aveva la febbre alta, troppo alta, e non si lamentava. I genitori, entrambi biologi, erano perplessi: i bambini, ancorché malati, non sono mai così inerti, senza riflessi…è colpa mia, si rattristava la madre, non dovevo metterla in cortile solo con la canottiera…pareva caldo…poi si avvicina alla piccola, le fa passare la mano sotto la nuca e rialza il capo: immediatamente, la piccola geme.
“Questa è meningite” afferma sicura “vado a chiamare il medico.” La risposta del medico fu un poema: “Dagli una bella Aspirina e prendine una anche tu, altrimenti viene a te la meningite.”
Disperata, un’idea le attraversa la mente (era il 1974): “ma non hanno messo quel nuovo servizio…come si chiama… ah sì, Guardia Medica”…elenco telefonico…dopo un quarto d’ora un giovanissimo medico varca la porta, visita la piccola, prende la febbre, compie anche lui la manovra del capo poi, sicuro: “E’ il primo caso che osservo, ma sono più che certo: è meningite o, comunque, infezione meningea.”
La bimba fu immediatamente ricoverata e la mattina seguente era già fuori pericolo: attendere la notte per il ricovero sarebbe stato, probabilmente, fatale (dissero gli infettivologi).

Ora voltiamo la pagina, e domandiamolo a voi – miseri saltimbanchi d’avanspettacolo di paese, che si fingono attori shakespeariani – a voi, che per mesi ci strapazzerete i cosiddetti con le vostre misere sparate, che altrettanto miseri giornalisti strombazzeranno sulle colonne dei quotidiani per far sembrare una cazzata più grande di un’altra, nello sciagurato spettacolo che ci offrirete in un’assurda campagna elettorale.
Non vi chiedo di pensare come pensano i grandi, poiché non ne siete capaci: perciò non vi chiederò di sanare il baratro che oramai separa come un vallo incolmabile la ricchezza ostentata, gravida di scempiaggini, urlata nel silenzio delle notti, esposta al ludibrio dei tanti…da coloro che vivono di poco, che ritagliano anche sul biglietto dell’autobus, che misurano il vino a tavola, quando non devono misurare anche il pane.
Non vi chiederò di stendere piani energetici credibili, impostazioni finanziarie meno disperanti, sovranità – territoriali, industriali, monetarie, culturali… –  svanite…no, vi chiederò solo una cosa: vi siete accorti del danno provocato dalla gestione regionale della Sanità?

100 miliardi l’anno che svaniscono ogni anno come uno sciame di bolle di sapone…gli ospedali vengono ridotti, i reparti chiusi, i servizi decimati…mentre le uniche cose ad aumentare sono i costi per i cittadini ed il numero delle infezioni ospedaliere, dovute anch’esse a “risparmi” sulla sterilità dei mezzi impiegati?
E tutto questo per permettere ai vari Formiconi & similia di trascorrere dorate vacanze in barche da sogno o sulle nevi più gettonate, in club esclusivi, su isole irraggiungibili…tutto questo deve essere rubato sulla pelle della gente? Sei mesi d’attesa per un’ecografia, reparti inaccessibili, Guardie Mediche intasate, gente che aspetta in barella per ore nei Pronto Soccorso?

Chi di voi, in questa sfolgorante campagna elettorale, avrà il coraggio di alzarsi e dire: “E’ stato un colossale errore: abbiamo moltiplicato i costi per 20 e diminuito di 20 volte la nostra capacità di curare la popolazione. Perciò, con la prossima legislatura, la Sanità tornerà allo Stato, seguendo metodologie d’intervento già sperimentate in passato, che davano risultati sicuramente migliori.” Punto.

Chi avrà il coraggio di farlo? (e di attuarlo?)

02 dicembre 2017

Strano ma vero



Il ministro dei temporali
In un tripudio di tromboni,
auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani,
e le mani sui coglioni…”
Fabrizio de André, la Domenica delle salme, 1990

Un’indicibile curiosità mi ha preso quando ho sentito la notizia – strombazzata da tutti i siti istituzional/paranormali – ed ignorata dalla controinformazione: è roba troppo semplice per solleticare le nostre tastiere…sono in campagna elettorale…e allora? Va beh…una dozzina di “rapati” partono da Vicenza e giungono a Como per irrompere in una specie di circolo Pickwick… e allora?
Meglio parlare della Corea o dell’ultimissimo allarme su un possibile – anzi, probabile – colpo di stato negli USA. Ma che ci frega di quei quattro matusalemme che stavano a discutere di negri? Nessuno li avrebbe mai sentiti…tutta pubblicità gratuita…

Non me ne potrebbe fregare di meno, avete ragione, ma si dà il caso che quando ti vedi piombare in casa una dozzina di Skyneads non sai cosa vogliono e, soprattutto, al momento non capisci cosa potrà succedere dopo.
Ma più ancora, m’interessa capire come mai un gruppo di giovani rapati a zero decide d’usare e mettere in pratica una strategia che data a quasi un secolo or sono, una strategia detta “fascista”, perché i fascisti usarono questi mezzi.
Chiamo a testimonianza un personaggio che non può essere discusso da quelle parti: Benito Mussolini.

Ci sono cose che il Duce ben sapeva, e che non sanno i cosiddetti “fascisti” d’oggi, che dal Duce sarebbero presi a pedate nel deretano, senza tanti complimenti.
Vi faccio una domanda: cosa ci faceva Nicola Bombacci fra i fucilati a Dongo?
Beh – la maggior parte dovrà andare a leggere su Wikipedia, ma lasciamo perdere… – sarà stato un gerarca, no?
No, Nicola Bombacci non era un gerarca, e mai ebbe la tessera del PNF in saccoccia. E allora, perché? Poiché l’ex segretario del Partito Socialista Italiano e fondatore del PCI fu appeso a Piazzale Loreto, con la scritta “supertraditore” (1), insieme a Pavolini e Starace? Più facile rispondere su chi farà o vincerà la terza guerra mondiale, vero?

Nicola Bombacci si può affermare senza eccessi che “accompagnò” Mussolini dall’alfa all’omega della sua avventura politica: poco più vecchio di Mussolini, nato anche lui in Romagna, anch’egli amico di Lenin (come il Duce, che lo conobbe personalmente) rimase sempre un socialista “radicale”, diremmo oggi. E mai smise d’avere rapporti con Mussolini, cosa che causò parecchi malumori fra l’entourage dei veri gerarchi del regime.
Addirittura, in piena censura sulla stampa (1935), Bombacci diresse una rivista (La Verità) che mai smise d’essere una rivista che parlava di lavoro, di diritti, di sindacato. Chi lo sosteneva, anche economicamente? Sotto mentite spoglie, il Duce stesso. Perché?

Poiché Mussolini non smise mai d’essere un socialista, e lo dimostrò con riforme (l’IRI, l’INPS, l’ONMI, lo IACP, l’INAIL,  la Banca d’Italia Statale, ecc) che lo resero, nei fatti, in grado di reggere anche alle critiche di un socialista radicale come Bombacci. Il quale, fu conquistato dalle riforme mussoliniane: proprio lui, che lavorò per molto tempo per l’URSS e che iniziò – si deve dirlo – quella collaborazione economica che poi sfruttarono a man bassa i comunisti emiliani nel dopoguerra.

Così, in silenzio, dopo l’8 Settembre 1943, Bombacci raggiunge Mussolini a Gragnano, e diventa un collaboratore assiduo, oltre che l’amico di sempre. Ebbe un vago incarico presso il Ministero dell’Interno ma si sa, nella caligine di Salò dominata dai tedeschi, tutto era vago ed impreciso.
La “socializzazione” dell’Economia è opera sua e, addirittura – non potendo essere messa in pratica durante la pallida Repubblica di Salò – è rimasta come vago cenno anche nella nostra Costituzione, agli art. 3 e 35, laddove però è sparito il riferimento più importante: la gestione comune (imprenditori-lavoratori) dell’impresa, la nota Mitbestimmung tedesca.

Viene spontanea una domanda: perché Mussolini, che ebbe il potere assoluto, non portò avanti questi progetti come Capo del Governo, per tanti anni?
Perché Mussolini, di là delle sue “sparate” ben note, quando incontrava sulla sua strada i dettami del grande capitale, agrario ed industriale, non contava più una cippa.
Vi fu anche un momento storico importante – e per questo i ragazzotti in nero di Vicenza mi fanno più pena che altro – nel quale Mussolini fu giocato proprio dallo squadrismo: il delitto Matteotti.
Vedremo dopo perché.

Oggi, si nota all’interno della Lega il medesimo percorso: Maroni si schiera con chi ricorda che lo squadrismo, in Italia, non portò nulla di buono e, dunque, condanna. Salvini assolve quei “ragazzi”, perché deve prendere i voti alle elezioni, i voti di quelli che credono ancora il “grosso” problema italiano quello dell’emigrazione dall’Africa. Ma non solo: con chi si schiera Salvini? Con Berlusconi, ossia con la sola possibilità che ha ancora la classe politica italiana – unendo, dopo le elezioni, quel che resta del PD con una destra anch’essa raccogliticcia – di continuare le politiche europeiste che ci strangolano e ci strangoleranno ancor più. In altre parole, il grande capitale finanziario transnazionale ha pensato che questa è l’unica soluzione praticabile, poiché l’invio di una “Trojka” è già avvenuto con Monti, e gli italiani se lo ricordano.

In questa situazione, l’UE ritiene troppo pericoloso inviare i suoi Gauleiter in Italia: la Grecia, da sola, può pure marcire nella miseria, ma l’Italia no, è troppo destabilizzante per gli equilibri europei, considerando che anche la Spagna ha i suoi grattacapi. Insomma, il malcontento verso l’UE non deve dilagare – Brexit è tutta un’altra storia – e le classi politiche italiane devono cavare il ragno dal buco da sole.
Ecco, allora, che ciascuno dei partiti cerca voti con i mezzi che ha: Salvini, sa che la sua base è molto sensibile alla vista dei neri per le strade italiane, e allora assolve anche lo squadrismo.
Spicchiamo un salto di quasi cent’anni.

Nel 1924, Mussolini ha stravinto le elezioni e non sa bene come proseguire la sua avventura politica: si è servito, per giungere al potere, del malcontento dei reduci della Grande Guerra, ma questo è soltanto il dato elettorale che gli ha consegnato la maggioranza assoluta nel Paese. Da questo ad avere una linea politica, ce ne passa.
In quei giorni (Maggio/Giugno 1924) apre, metaforicamente, numerose volte la porta ai suoi vecchi compagni socialisti: sa che dall’accozzaglia di parvenu travestiti da gerarchi squadristi può aspettarsi poco e, dai pochi che mostrano un po’ di sale in zucca (Balbo, ad esempio), può solo attendersi sgambetti per prendere il suo posto.

Il Partito Socialista, per bocca di Matteotti, non poteva che rispondere duramente, e così fece: quella sorta di “compromesso storico” ante litteram, necessitava di tempi più lunghi, di lasciar sedimentare le sofferenze degli anni appena trascorsi, l’affogamento nel sangue delle lotte operaie e lo squadrismo.
Con un’alleanza con i socialisti, Mussolini se la sente anche di poter affrontare il suo grande nemico: il Re, con tutta la marmaglia sabauda al seguito.

Ecco allora che si fa avanti un uomo che tornerà a farsi vivo quasi vent’anni dopo, con un ordine del giorno che il 25 Luglio 1943 lo spodesterà: Dino Grandi. Chi era costui? Direbbe il Manzoni.
Dino Grandi era un emiliano, facente parte dell’ala dura fascista, che fu prevalentemente quella dello squadrismo tosco-emiliano.
Legato ai grandi proprietari agrari dell’epoca, non fa certo sconti ai socialisti: duri e puri, con manganello al seguito.

Dopo le vicende del '43, terminò la sua carriera politica come consigliere dell’ambasciata americana a Roma. Buon sangue non mente.

Non voglio, qui, rifare la storia del delitto Matteotti: ci sono già troppe versioni, ricostruzioni e dietrologie di parte, senza ch’io aggiunga le mie contumelie.
Di certo, se c’era una persona alla quale non conveniva – politicamente – il cadavere di Matteotti che gridava vendetta, quello era Mussolini.
Il Duce tentennava, meditò addirittura le dimissioni – almeno, così si racconta nel gran tourbillon dei quei giorni – ma Dino Grandi organizzò una colossale manifestazione di squadristi, a Roma, che gli tolse la parola di bocca.

La storia sappiamo come andò a finire: l’opposizione parlamentare andò all’Aventino, Mussolini governò sempre in coabitazione col Re, fece sì molte riforme “socialiste”, ma poi – come un uomo solo che deve governare senza consiglieri dei quali si può fidare – finì per imboccare il vicolo cieco: Hitler, la rovinosa guerra, la fine.

Qui finisce la storia ma – senza scomodare tragedia, commedia e farsa – chiediamoci perché quindici ragazzi paludati in nero partono da Vicenza per andare a Como (non proprio dietro l’angolo!) e tacitare con un’intimidazione altri ragazzi che stanno semplicemente facendo una riunione. E, come in quei lontani anni, la Lega si divide: Maroni, l’ala “istituzionale”, condanna, Salvini, l’ala “dura”, minimizza e passa sopra un’azione che, pur senza violenza fisica, ha tutti i connotati dello squadrismo.

Ancora una volta, l’obiettivo è il consenso: all’epoca fu il sogno della rivoluzione fascista, oggi, visto che di farsa parliamo, ci si gioca una manciata di voti sulle spalle di quattro immigrati.
Mentre i veri problemi – la Banca d’Italia in mano agli speculatori, il welfare italiano divenuto un “si salvi chi può”, l’industrializzazione che si perde in un sogno di mezza estate, la sanità nella mani di venti Poggiolini famelici, la scuola nelle mani di una persona che, a fronte di Gentile e Lombardo Radice, avrebbe fatto sì e no la servetta, ecc – devono rimanere tali, perché l’Italia deve rimanere al sesto posto planetario dell’indice di Gini, ossia la sesta nazione al mondo per sperequazione della ricchezza.

Non v’inquietate, non ce l’ho con nessuno: né coi fascisti e né con i comunisti…volevo solo spiegarmi il perché hanno scomodato quei ragazzi in nero, come domani potranno scomodare quelli in grigio dei servizi, con il medesimo obiettivo: raccogliere centomila voti qui con una parola d’ordine, centomila là con il suo opposto. Tanto nelle fanfare dell’informazione, tutto si tritura e svanisce. L’importante è che resti il consenso, il voto, la fiducia (!).

La Domenica delle salme
una domenica come tante
il giorno dopo c’erano i segni
di una pace terrificante…
…mentre il cuore d’Italia
da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro
di “vibrante protesta”.

(1) L’estensore dell’epiteto mortuario fu Luigi Longo, PCI e membro del CNL, che forse scivolò in una retorica un po’ fascista ed un po’ futurista, quella d’inneggiare sempre al superlativo assoluto, il “super” appunto. Ma si sa: il linguaggio maschera gli inganni e, chi sa di cosa parlo, capirà.